di Emilia di Rienzo
Sono tanti anni ormai che giro l’Italia per discutere di scuola, per fare corsi di formazione e mi sono chiesta tante volte perché continuo a parlare di insegnamento visto che sono tante le passioni che ho lasciato, per ovvie ragioni di tempo, un po’ in disparte quando lavoravo. Sono andata in pensione, ma la scuola, i suoi problemi, i ragazzi non sono usciti dalla mia vita.
E la domanda mi è arrivata un giorno da Michela, una maestra che partecipava ad un corso: “Posso farle una domanda? – ha esordito timidamente – Come riesce a occuparsi e a battersi per la scuola ancora con tanto entusiasmo ?”.
Già, come facevo? Confesso che la domanda mi ha spiazzato e sinceramente in quel momento le ho risposto che non lo sapevo.
Ma il quesito non mi ha lasciato per tanti giorni ed esigeva almeno un abbozzo di risposta.
Sono tornata indietro nel tempo. Mi sono pensata come studentessa per niente brillante: ero una ragazza timida e molti professori mi facevano davvero “paura”, ero insicura, ero davvero convinta di non avere poi tanto cervello. Poi c’è stata un’insegnante che, quando ero già all’università, ha notato la mia ritrosia, il mio farmi da parte durante il suo seminario e, un giorno, mi ha chiamato in disparte per dirmi: “Io vedo che ha tante cose da chiedere e da dire, lo vedo dal suo sguardo, quindi si dia da fare, vinca la timidezza!”.
La mia battaglia contro me stessa è iniziata. Ho cominciato a fare timide domande, poi ad esprimere i miei pensieri e così via. La mia carriera scolastica è cominciata davvero quel giorno. Qualcosa finalmente si era attivato in me. Quando Pennac dice che spesso basta un insegnante a donarti un po’ di fiducia, penso che abbia, almeno in molti casi, ragione.
Poi c’è stato mio figlio che ho adottato quando aveva quattro anni e ho vissuto con lui tutta la sua fatica. Ho cercato insegnanti che avessero voglia di aiutarlo, nonostante soffrisse di profondi problemi per una infanzia segnata. Sono stata fortunata perché le ho trovate e, come non le ha dimenticate lui, non le ho dimenticati nemmeno io.
Ancora oggi mi chiedo cosa avrebbe fatto mio figlio senza quelle insegnanti: l’hanno saputo accompagnare con molta competenza e tanto, tantissimo cuore (parola in disuso in questi tempi).
Lo scrittore ed insegnante Lodoli ha scritto un articolo su La Repubblica che credo si intitolasse “Basta con la scuola del cuore”. Mi chiedo quanti siano gli alunni che possono dire di avere incontrato “una scuola del cuore”; io so di aver conosciuto “insegnanti di cuore”, ma una scuola di cuore non credo di averla mai vista.
Grazie a questi insegnanti (di cuore) mio figlio ha potuto frequentare una scuola dove è stato accettato per quello che era e dove è stato seguito per quello che man mano riusciva ad apprendere; sicuramente è riuscito ad imparare a leggere e scrivere solo quando ha sentito che aveva un posto nella mente e nel cuore anche delle sue insegnanti. E’ così diventato un uomo che vive sereno la sua vita.
Io ho capito nel tempo che “si poteva”; sì, si poteva far molto anche per ragazzi molto segnati dalla vita: quale sarà il loro futuro dipende molto dagli adulti che incontrano. Non importa se diventano dottori o ingegneri, quello che davvero conta è che diventino persone, uomini e donne, che stanno bene al mondo e che hanno imparato ad affrontare le difficoltà che man mano la vita presenta loro.
E’ quel “si può” che mi ha portato a parlare di scuola, di relazione educativa e affettiva, di dialogo, di ascolto, di responsabilità, ovunque ho potuto farlo.
Il coraggio me l’hanno dato anche tanti miei ex allievi che dopo molti anni si sono ricordati di me e mi hanno cercato su Facebook (quel luogo virtuale terribile, ma a volte utile e bello) per dirmi il loro “grazie”: grazie per aver parlato con loro, per aver creduto in loro, per averli ascoltati e seguiti…
Ecco fatto. La scuola mi ha regalato proprio da insegnante quello che forse mi aveva tolto da studentessa: la gioia di imparare, di fare della cultura qualcosa di vivo, di vitale, di importante per la vita e mi ha dato la gioia di comunicarla a tanti ragazzi che mi sono passati davanti e che mi hanno fatto sentire la loro “maestra”. Già, perché non è così scontato esserlo: maestri si diventa, si guadagna questo titolo sul campo, non con un pezzo di carta.
Carlo, Chiara, Roberta, Piera, Giulia, Giacomo, Rashid, Cesar, Domenico, Laura, Paola, Paolo, Enrico… sono dentro di me e dentro di me è Daniela che un giorno, quando aveva già 28 anni, incontrandomi mi ha detto: “Dica a tutti gli insegnanti che non è vero che, se non c’è la famiglia dietro, non si può fare nulla per noi. Si può fare molto, non tutto, ma quello che serve per andare avanti: un passo per volta”.
Ed è proprio questo che continuo a dire: l’aula dove tu sei con i tuoi ragazzi deve diventare, come dice la filosofa M. Zambrano, “uno spazio aperto di speranza per tutti”
Ecco perché in questi ultimi mesi ho deciso di collaborare con l’ANFAA all’organizzazione del Convegno che si terrà a Reggio Emilia il prossimo 10 marzo 2012.
La scuola, tutti lo sanno, sta perdendo i suoi obiettivi più sani. Sta diventando non la scuola di tutti e per tutti, ma un luogo dove si torna a selezionare, invece che accompagnare, a formulare programmi a tavolino che non tengono conto delle diversità, delle difficoltà, delle storie personali di ogni ragazzo.
La scuola, che nasce in una Repubblica democratica, dovrebbe fare della democrazia la propria bandiera, proprio perché la bandiera della democrazia non è di parte, ma è di tutti, dovrebbe fare dei principi costituzionali il proprio fine. Ultimamente ho avuto l’impressione che questo semplice principio non sia così chiaro e scontato.
Credo che sia importante sottolineare quanto nella scuola ci sia bisogno di una formazione democratica. E formazione democratica vuol dire certo studiare i principi fondanti della democrazia, ma imparare anche a metterla in pratica, a farla vivere nel nostro agire quotidiano. Vuol dire imparare giorno dopo giorno l’arte della convivenza, del dialogo, dell’ascolto rispettoso e attento. Vuol dire avere un atteggiamento di ricerca che non si arrende di fronte alle difficoltà e alle sfide che si trova ad affrontare in una società in movimento. Vuol dire diventare cittadini appassionati che hanno capito che per insegnare bisogna prima di tutto dare l’esempio. Vuol dire non dare più nulla per scontato perché la democrazia ha bisogno di cittadini veramente democratici e una scuola che sappia fare della democrazia la propria pedagogia.
“La scuola ci riguarda tutti”, perché dalla scuola passano tutti per tanti anni, perché la scuola forma i futuri cittadini, trasmette cultura e valori.
Mi sembra che oggi non ci sia un pensiero collettivo, che si rifletta troppo poco e che, di fronte alle difficoltà, si cerchino “ricette” che non esistono e non possono esistere data la complessità del mondo della scuola e dei problemi che ci si trova ad affrontare. Ci sembra soprattutto che la scuola non venga più vista come bene comune da costruire insieme per tutti, che sia vista invece in modo parcellizzato. Tutti siamo consapevoli della crisi in cui verte questa importante istituzione, ma si è portati più a scaricare l’uno sull’altro le responsabilità, piuttosto che mettersi in modo dialettico al lavoro con spirito di ricerca e grande senso di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni.
Per questo l’Anfaa ha lanciato un appello anche ad altre associazioni di volontariato che si occupano di bambini, e in particolare di bambini che hanno una storia più difficile di altri. Ha promosso un convegno: La scuola ci riguarda tutti per ritrovare insieme parole d’ordine, per promuovere una scuola in cui si crede a quel “si può”, di cui ho parlato prima.
“Si può” perché l’abbiamo sperimentato e vogliamo sperimentare ancora di più, perché vogliamo unire genitori e insegnanti in un progetto comune invece di metterli in contrapposizione, perché crediamo in quel dialogo costruttivo che ci indica l’ascolto come unica via per trovare strade e percorsi nuovi, perché a quei bambini che hanno avuto un passato difficile vogliamo regalare la possibilità del riscatto oggi e domani, giorno dopo giorno, senza sentirci onnipotenti, ma senza mai mollare. Ma soprattutto “si può” se non ci chiudiamo nei nostri particolarismi per camminare insieme, se costruiamo insieme degli obiettivi comuni anche nelle nostre diversità.
Per preparare il convegno abbiamo messo in piedi un blog in cui si può venire a leggere e a parlare, a raccontare, a chiedere.
Per anni ho ascoltato genitori in difficoltà alle prese con una scuola che molto spesso non capisce i problemi dei loro figli che arrivano da storie particolari. Io vorrei che quei genitori rendessero pubblico il loro disagio, le difficoltà che i loro bambini hanno incontrato, che ne parlassero perché l’esperienza dovrebbe essere il sale di ogni teoria che non deve nascere solo dalla testa di un esperto.
Comprendo la difficoltà di esporsi, di scrivere, di parlare, sono passata anche io da queste difficoltà. Quando l’insegnante di mio figlio mi ha chiesto di intervenire in un’assemblea di classe mi sono sentita persa, ma l’ho fatto anche se il cuore sembrava impazzito per l’emozione. L’ho fatto perché era giusto che io facessi la mia parte, che dessi una mano a quegli insegnanti che lottavano contro molti per l’inserimento di bambini con handicap, per difendere un bambino con comportamento aggressivo, per aiutare un bambino che aveva difficoltà nell’apprendimento, per insegnare la solidarietà e il rispetto.
Ecco perché oggi chiediamo a tutti voi di venire al convegno, di impegnarvi per divulgarlo, di venire a leggere ciò che scriviamo, perché è importante informarsi e non accontentarsi di facili semplificazioni, perché è importante parlare, raccontare, scambiarsi idee, partecipare. Se non ve la sentite di scrivere, noi siamo pronti a venirvi ad ascoltare.
E’ importante pensare ai nostri figli in quanto adottivi, ma prima dobbiamo pensarli come figli e basta che, come tali, hanno bisogno di una scuola accogliente per tutti; lo stesso vale per i bambini e ragazzi a noi affidati. Questo ovviamente non significa minimizzare le specificità della loro situazione, ma il loro inserimento e la loro integrazione scolastica riescono se la loro scuola, la loro classe sono accoglienti, se li si fa stare bene insieme agli altri allievi.
“La democrazia è l’unico ordine politico creato per tenere insieme le diversità, la varietà e l’infinita ricchezza della razza umana: la molteplicità di lingue e dialetti, aspirazioni e inclinazioni, capacità, intelligenze e bisogni, convinzioni religiose e morali, ideologie politiche o economiche.
Per tutte queste ragioni, la democrazia non è soltanto un ordine politico, ma anche, in ugual misura, un sistema di convivenza e di vita. Una cornice entro cui l’umanità tutta intera, e non solo una minoranza, può prosperare. Questo va tenuto sempre presente, perché molti sono arrivati a pensare che la democrazia sia semplicemente un regime politico. Invece è anche un clima morale e unaforma di convivenza, di rispetto reciproco. Un modo di favorire la creatività del maggior numero possibile di persone”. (Giner – Le ragioni della democrazia)
Emilia De Rienzo