NOTIZIARIO DALLA SEDE NAZIONALE
(tratto da Prospettive assistenziali n. 172-173)
IMPORTANTE DOCUMENTO SULL’AFFIDAMENTO FAMILIARE DI MINORI A SCOPO EDUCATIVO
Le Associazioni e le Reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie, da anni impegnate in percorsi di confronto e di riflessione sulla tutela del diritto dei minori alla famiglia, hanno proposto, in occasione della seconda Conferenza nazionale della famiglia, svoltasi a Milano nei giorni 8, 9 e 10 novembre 2010 e indetta dal Dipartimento per le politiche della famiglia presso la Presidenza del Consiglio, dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, il documento “Dieci punti per rilanciare l’affidamento”, su cui i firmatari hanno chiesto alle istituzioni competenti ed alla società civile di concentrare l’impegno dei prossimi anni. La proposta si inserisce nel solco della riflessione e dei documenti maturati nel pluriennale confronto delle Associazioni/Reti con il Cnsa (Coordinamento nazionale dei servizi affidi pubblici) (1) e prende a riferimento l’analisi condivisa con altri organismi del Terzo Settore in seno al Gruppo Crc (Gruppo di lavoro per la convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza). Il documento è sottoscritto da 73 organizzazioni fra cui anche l’Anfaa. La versione integrale è reperibile sul sito www.gruppocrc.net.
TESTO DEL DOCUMENTO
“DIECI PUNTI PER RILANCIARE L’AFFIDAMENTO”
La legge n.184/1983 ha affermato:
– il minore ha diritto ad essere educato prioritariamente nell’ambito della propria famiglia, precisando che le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, a favore della quale vanno disposti interventi di sostegno e di aiuto;
– il minore temporaneamente privo di un ambiente famigliare idoneo è affidato ad un’altra famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno;
– il minore di cui sia accertata dal Tribunale per i minorenni la situazione di abbandono perché privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio, è dichiarato adottabile e deve essere adottato da coniugi aventi i requisiti che sono previsti dalla stessa legge n.184/1983;
– l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare è consentito quando non sono attivabili gli interventi sopra riportati.
Il diritto del minore a crescere in famiglia non è però un diritto esigibile in quanto la realizzazione degli interventi (aiuti alle famiglie d’origine, affidamento, ecc.) è condizionato dalla disponibilità delle risorse dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. Si ritiene necessario un rinnovato e corale impegno che passi innanzitutto attraverso l’adozione di livelli essenziali degli interventi a favore dei minori, delle famiglie di origine, delle famiglie affidatarie e adottive e lo stanziamento delle necessarie risorse finanziarie. In particolare, sul tema dell’affidamento familiare, si propone l’implementazione delle seguenti attenzioni prioritarie:
1. Promozione e priorità. Occorre rilanciare a tutti i livelli, istituzionali e non, la promozione dell’affidamento familiare inteso come strumento che integra, senza sostituire, il ruolo delle figure genitoriali, assicurando ai minori adeguate cure, mantenimento, istruzione e relazioni affettive. Occorre altresì attuare i percorsi di affidamento familiare con sempre maggiore consapevolezza declinando, senza erronei automatismi, il principio normativo della prioritaria scelta dell’affido rispetto all’inserimento in comunità ed integrandolo nel più ampio ventaglio degli interventi e servizi sociali per i minori e la famiglia.
2. Normazione. Occorre portare a compimento l’azione di regolazione della materia, assicurando l’adozione di linee guida nazionali che risolvano alcuni nodi interpretativi ed attuativi della legislazione vigente e che fissino periodicamente i macro-obiettivi e la cornice generale d’intervento, di leggi regionali e regolamenti locali che assicurino l’esigibilità del diritto alla famiglia definendo competenze e responsabilità, percorsi di rete e di integrazione, procedure e modalità di intervento, standard delle prestazioni, coperture finanziarie, di protocolli operativi tra tutti i soggetti coinvolti nell’affido (servizi sociali territoriali, servizi affidi, Tribunali per i minorenni, associazioni/reti di famiglie affidatarie…) per una funzionale gestione dei progetti di intervento.
3. Organizzazione. Occorre assicurare in tutti i territori del Paese l’istituzione dei servizi per la famiglia e, tra questi, dei servizi per l’affido, dotati di sufficiente e stabile personale socio-assistenziale e sanitario, preposto alla realizzazione ed al sostegno degli affidamenti familiari ed alla promozione dell’istituto dell’affido e della più ampia solidarietà familiare e supportato con percorsi di formazione congiunta tra i diversi operatori, coinvolgendo anche i referenti delle associazioni di famiglie affidatarie, al fine di rendere comunicanti i linguaggi.
4. Monitoraggio. Occorre completare e potenziare il sistema di monitoraggio dei servizi ed interventi di tutela del diritto dei minori alla famiglia al fine di assicurare rilevazioni ed analisi aggiornate e puntuali sugli aspetti quantitativi e qualitativi del fenomeno e di attivare banche dati nazionali e regionali dei minori fuori famiglia.
5. Prevenzione e flessibilità. Occorre potenziare il ricorso alle forme di accoglienza e di sostegno che prevengono l’allontanamento del minore dal nucleo familiare, quali l’affidamento diurno, il mutuo-aiuto tra famiglie, l’accoglienza congiunta madre-bambino, nonché favorire interventi precoci che agendo quando i minori sono ancora piccoli ed i problemi non ancora incancreniti, ridimensionino o evitino del tutto il crearsi di situazioni pregiudizievoli. Parimenti occorre sviluppare forme di intervento sempre più flessibili ed adeguate ai variegati bisogni di cui i minori e le famiglie sono portatori (affidi di neonati, affidi omoculturali, affidi di disabili, accompagnamento all’autonomia degli affidati che raggiungono la maggiore età…).
6. Valutazione, progettazione, vigilanza. Occorre assicurare che la realizzazione degli affidamenti familiari si basi su adeguate valutazioni diagnostiche e prognostiche della situazione familiare e personale dei minori, si sviluppi secondo un progetto individuale condiviso dai vari attori, si accompagni ad un costante monitoraggio dell’andamento del percorso.
7. Ascolto e consenso. Occorre che nei percorsi di affidamento familiare siano garantiti adeguati spazi di ascolto del minore – in misura della capacità di discernimento – e della famiglie di origine, dei quali va promosso e sostenuto il consenso ed il coinvolgimento attivo, anche nei casi in cui si rendono necessari provvedimenti di allontanamento favorendo, ove ve ne siano le condizioni, il ricorso agli affidamenti consensuali disposti dai servizi sociali locali, anche al fine di riequilibrare il rapporto percentuale tra questi e gli affidamenti giudiziari. Parimenti va assicurato l’ascolto degli affidatari nei procedimenti civili in materia di potestà, affidamento e adottabilità dei minori affidati.
8. Sostegno e continuità. Occorre assicurare forme adeguate di preparazione, sostegno ed accompagnamento ai minori, alle famiglie d’origine ed alle famiglie affidatarie, in preparazione, durante ed al termine dei percorsi di affidamento familiare, anche al fine di custodire, per quanto possibile e nell’interesse del minore, la continuità delle relazioni affettive tra i soggetti coinvolti.
9. Chiarezza e durata. Occorre tenere ben distinte le diverse finalità dell’affidamento familiare e dell’adozione dei minori, superando improprie commistioni e confusioni, regolamentando bene le adozioni in casi particolari, sviluppando con le istituzioni preposte (Regioni, enti locali, magistratura minorile…) condivise modalità di intervento nei casi di affidamenti ad esito incerto, definendo le condizioni per il contenimento della durata degli affidi e per un corretto e consapevole ricorso agli affidamenti di lungo periodo che devono comunque essere sostenuti da un progetto monitorato con regolarità.
10. Responsabilità e sussidiarietà. Per raggiungere questi obiettivi è fondamentale che le Istituzioni riconoscano la responsabilità civica dell’associazionismo tra famiglie affidatarie nella promozione del bene comune e ne valorizzino il ruolo per migliorare l’integrazione degli interventi e l’approccio di rete all’affidamento familiare.
IL PROGETTO DEL GOVERNO
“PREFERIRE LA VITA” NON RISPETTA
LE VIGENTI NORME DI LEGGE
Riportiamo la nota inviata l’8 marzo u.s. dall’Anfaa al Sottosegretario Giovanardi e al Consorzio Preferire la vita sul progetto “Un’alternativa all’aborto: l’adozione!” siglato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche della famiglia e dallo stesso Consorzio.
1. Preferire la vita: un progetto inaccettabile
Il Progetto – per cui è stato stanziato dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri un milione di euro secondo il comunicato stampa Ansa del 3 marzo 2010 – si propone di creare attraverso il Consorzio Preferire la vita costituito dall’Associazione Giovanni XXIII, dall’Associazione Amici dei bambini e dal Movimento per la vita «il più rilevante organismo a livello nazionale in grado di rispondere alle esigenze che emergono in materia in ogni ambito territoriale» con lo scopo «di coordinare, progettare, realizzare e gestire iniziative mirate al:
« – sostegno e affiancamento delle gestanti, e in generale dei futuri genitori, nella prosecuzione della maternità e nello sviluppo delle competenze genitoriali;
« – sostegno e accoglienza in apposite strutture di gestanti in stato di difficoltà e/o multiproblematiche;
« – sostegno e affiancamento delle gestanti che decidono di portare a termine la gravidanza anche a fini adottivi».
Tali attività sono attivate partendo da analisi del contesto che comprende:
« – analisi delle cause che inducono le gestanti ad interrompere volontariamente la gravidanza;
« – sentimenti rispetto all’aborto e all’adozione, e quali fattori culturali determinano la maggiore accettazione dell’aborto rispetto alla scelta di permettere la nascita del figlio inatteso, offrendogli l’opportunità di essere accolto e amato da un’altra famiglia idonea ad accoglierlo e amarlo come un figlio proprio».
Questo progetto non è accettabile e deve essere profondamente modificato, in quanto non fa riferimento al fatto che l’assistenza a tutti i minori, nonché alle gestanti e madri in difficoltà che intendono o non intendono riconoscere i loro nati, è assegnata dall’articolo 117 della Costituzione alle Regioni, le quali, ai sensi dell’articolo 8, comma 5 della legge 328/2000, sono tenute a disciplinarne «il trasferimento ai Comuni o agli enti locali». Invece di richiamare le istituzioni alle loro specifiche competenze e ai loro obblighi (che dettaglieremo nel punto successivo), il Dipartimento per le politiche della famiglia e il Consorzio Preferire la vita, li ignorano!
A nostro avviso, poi, il messaggio trasmesso dal titolo del progetto “Un’alternativa all’aborto: l’adozione!” rischia di banalizzare il significato della scelta adottiva, presentata solo come alternativa all’aborto. A nostro avviso l’adozione è la modalità con cui si diventa madre o padre di un figlio non procreato. La personalità non è determinata tanto dall’apporto ereditario, quanto dall’ambiente, in particolare dall’ambiente familiare che educa il figlio (procreato o adottivo), forma i lati essenziali del carattere e costituisce in sostanza la base della sua personalità. È questo il punto centrale dell’adozione.
Papa Giovanni Paolo II ha sostenuto a questo proposito, il 5 settembre 2000, che «adottare dei bambini, sentendoli e trattandoli come veri figli, significa riconoscere che il rapporto tra genitori e figli non si misura solo sui parametri genetici. L’amore che genera è innanzitutto dono di sé. C’è una “generazione” che avviene attraverso l’accoglienza, la premura, la dedizione. Il rapporto che ne scaturisce è così intimo e duraturo, da non essere per nulla inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica. Quando esso, come nell’adozione, è anche giuridicamente tutelato, in una famiglia stabilmente legata dal vincolo matrimoniale, esso assicura al bambino quel clima sereno e quell’affetto, insieme paterno e materno, di cui egli ha bisogno per il suo pieno sviluppo umano. Proprio questo emerge dalla vostra esperienza. La vostra scelta e il vostro impegno sono un invito al coraggio e alla generosità per tutta la società, perché questo dono sia sempre più stimato, favorito e anche legalmente sostenuto».
2. Le leggi vigenti ignorate dal progetto
Come già richiamato, le Regioni hanno competenza esclusiva in materia di assistenza in base all’articolo 117 della Costituzione e quindi anche in merito a tutti i minori, nonché alle gestanti e madri in difficoltà che intendono o non intendono riconoscere i loro nati.
L’ancora vigente regio decreto legge n. 798 del 1927, convertito in legge n. 2838 del 1928, concernente l’ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi, abbandonati o esposti all’abbandono, dispone che siano le Amministrazioni provinciali a dover assistere i minori, figli di ignoti e quelli nati fuori dal matrimonio riconosciuti dalla sola madre e in condizioni di disagio socio-economico.
La legge n. 328 del 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” all’articolo 8, comma 5, ha attribuito alle Regioni il compito di disciplinare il trasferimento ai Comuni o ad altri enti locali delle funzioni del regio decreto citato concernenti le prestazioni obbligatorie relative alle gestanti e madri, ai nati fuori dal matrimonio e ai minori non riconosciuti. Alle Regioni compete, in base alla stessa legge n. 328/2000, di definire il trasferimento ai Comuni o ad altri enti locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali occorrenti per l’esercizio delle funzioni suddette.
A tutt’oggi ci sono Regioni che non hanno ancora legiferato in materia e altre (per esempio Lombardia ed Emilia Romagna) che hanno legiferato attribuendo però a tutti i Comuni tali competenze, non tenendo quindi conto che ci sono partorienti che necessitano di interventi specifici legati alla loro difficile condizione. Attribuendo inoltre le competenze a tutti i Comuni vengono di fatto violate le norme sul segreto del parto.
Va tenuto conto che in base alla normativa vigente in Italia:
• la donna ha il diritto di riconoscere o meno il neonato come figlio, diritto che vale sia per la donna che ha un bambino fuori dal matrimonio che per la donna coniugata, ai sensi della sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 della Corte costituzionale;
• il diritto alla segretezza del parto deve essere garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti; nei casi in cui il neonato non venga riconosciuto dalla donna, nel suo atto di nascita (che deve essere redatto entro dieci giorni dal parto), risulta scritto: «figlio di donna che non consente di essere nominata». L’ufficiale di stato civile, a seguito della dichiarazione del personale sanitario che ha assistito al parto, attribuisce al neonato un nome ed un cognome, procede alla formazione dell’atto di nascita e alla segnalazione alla Procura della repubblica presso il tribunale per i minorenni per la dichiarazione del suo stato di adottabilità; con la pronuncia dell’adozione il minore (dopo un anno di affidamento preadottivo) assume il cognome degli adottanti di cui diventa figlio legittimo e «cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvo i divieti matrimoniali» (articolo 27, comma 3 della legge 184/1983);
• l’articolo 11 della legge n. 184/1983 stabilisce inoltre che il Tribunale per i minorenni può disporre la sospensione dello stato di adottabilità per un periodo massimo di due mesi su richiesta di chi afferma di essere uno dei genitori biologici «sempre che nel frattempo il bambino sia assistito dal soggetto di cui sopra o dai suoi parenti fino al quarto grado permanendo comunque un rapporto con il genitore naturale». Se il neonato non può essere riconosciuto perché il o i genitori hanno meno di 16 anni, l’adottabilità può essere rinviata anche d’ufficio dal tribunale per i minorenni fino al compimento dei sedici anni di almeno uno dei genitori; un’ulteriore sospensione di due mesi può essere concessa al compimento del 16° anno di età dallo stesso tribunale per i minorenni.
3. Le priorità di intervento
Ci sono gestanti che vivono situazioni di grave emarginazione, sovente giovani o giovanissime, che necessitano di supporti non solo sanitari (a livello consultoriale o ospedaliero) ma anche socio-assistenziale prima, durante e dopo il parto. Questi supporti assistenziali sono necessari in quanto esse possono trovarsi in gravi emergenze (ad esempio perdita o mancanza di lavoro e/o della casa, mancanza di reddito, ecc.) che non possono affrontare da sole e vanno prese in carico dai servizi sociali; possono avere bisogno di accoglienza (in comunità, famiglie, appartamenti protetti) o di sussidi economici (2).
Molte di loro decidono di riconoscere il loro nato, di prendersene cura anche rivolgendosi ai servizi socio- assistenziali del proprio territorio per ottenere gli interventi di sostegno e supporto di cui necessitano. A questo riguardo riteniamo estremamente negativo e discriminante, proprio nell’ottica di “Preferire la vita”, il fatto che le donne extracomunitarie senza permesso di soggiorno, in base alla normativa vigente, non possano avere accesso ai servizi socio-assistenziali.
Ci sono poi anche altre donne che sono invece incerte, non sanno che cosa fare di sé e del loro piccolo, se riconoscerlo o meno, oppure altre che hanno già deciso di non riconoscerlo, avvalendosi del diritto alla segretezza del parto: in questi casi, anche in base alle esperienze finora realizzate (v. al riguardo anche la sintesi del convegno “Il diritto di tutti i bambini fin dalla nascita e la prevenzione dell’abbandono”, tenutosi a Torino il 21 ottobre 2005) è importante offrire alla gestante la possibilità anticipata di riflettere, di verificarsi e di decidere con serenità ed autonomia, ma con le informazioni necessarie sugli aiuti cui ha diritto sia se decide di diventare la mamma del proprio piccolo, sia se decide di partorire in anonimato.
La riservatezza è un elemento fondamentale da tutelare per garantire la vita stessa del nascituro e per rassicurare le donne interessate sul loro effettivo diritto alla segretezza del parto. Questa riservatezza viene a mancare se la gestante, che è ancora incerta o che ha già deciso di non riconoscere il proprio nato, è costretta a rivolgersi ai servizi del proprio territorio, dove potrebbe essere riconosciuta (pensiamo ai piccoli Comuni…).
4. Integrare la normativa esistente
Per queste ragioni chiediamo che siano approvate al più presto le proposte di legge n. 1266 del Consiglio regionale del Piemonte, n. 3303 dell’On. Lucà ed altri, nonché l’articolo 18 della n. 1353 presentata dall’On. Livia Turco. Esse prevedono giustamente che siano le Regioni ad individuare alcuni Comuni singoli o associati cui attribuire le competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti di queste gestanti, interventi che devono essere forniti su semplice richiesta dell’interessata, indipendentemente dalla sua residenza anagrafica, quindi anche alle donne extracomunitarie senza permesso di soggiorno.
5. Un esempio positivo: la legge n. 16/2006
della regione piemonte
Le suddette proposte recepiscono quanto disposto dalla legge 16/2006 della Regione Piemonte, che ha stabilito gli interventi socio-assistenziali riguardanti «le gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto» (quindi non solo quelle che hanno deciso di non riconoscere il loro nato!) e «sono erogati su richiesta delle donne interessate e senza ulteriore formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica». Nella successiva delibera n. 22/4914 del 18 dicembre 2006 la Giunta della Regione Piemonte oltre ad aver individuato i quattro Enti gestori degli interventi assistenziali cui attribuire le funzioni di cui sopra, ha definito i criteri, le procedure e le modalità di esercizio di queste funzioni, precisando anche che destinatarie degli interventi sono «le gestanti comunque presenti sul territorio regionale, che nel periodo della gestazione e nei due mesi successivi al parto, qualora sia stata presentata richiesta di sospensione dei termini ai sensi dell’art. 11 della legge n. 184/1983 e s.m.i. necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o al non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto».
6. Proposte conclusive
1) Un intervento diretto del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri perché venga approvata al più presto una legge che riprenda i contenuti della proposte attualmente in discussione presso la commissione Affari sociali del Parlamento (3) con l’allocazione di risorse finanziarie adeguate alle necessità;
2) l’annullamento della Convenzione stipulata fra il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Consorzio Preferire la vita, destinando i relativi finanziamenti alle Regioni e alle Province di Trento e Bolzano, competenti in base alle attuali norme sopra citate.
(1) Fanno parte delle associazioni e reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie le seguenti organizzazioni: Aibi, Associazione amici dei bambini; Anfaa, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie; Associazione famiglie per l’accoglienza; Associazione Papa Giovanni XXIII; Cam, Centro ausiliario per i problemi minorili, Milano; Cnca, Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza; Coordinamento affido Roma, Coordinamento degli organismi del privato sociale iscritti all’albo per l’affido del Comune di Roma; Coremi Fvg, Coordinamento regionale tutela minori del Friuli Venezia Giulia; Progetto famiglia, Federazione di enti no-profit per i minori e la famiglia; Ubi Minor, Coordinamento per la tutela dei diritti dei bambini e dei ragazzi, Toscana.
(2) La stessa legge n. 184/1983 “Diritto del minore a una famiglia” afferma all’articolo 1 che «Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia» precisando anche che «le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuti».
(3) Una raccomandazione in tal senso è anche contenuta nel 2° Rapporto supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, pubblicato nel novembre 2009, in cui il Gruppo di lavoro, costituito da oltre settanta organizzazioni e coordinato da Save the Children Italia, raccomanda al Parlamento «di approvare una legge che, in attuazione dell’articolo 8, comma 5 della legge 328/2000, preveda la realizzazione da parte delle Regioni di almeno uno o più servizi altamente specializzati, gestiti dagli enti gestori delle prestazioni socio-assistenziali in grado di fornire alla gestanti, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e cittadinanza, le prestazioni necessarie e i supporti perché possano assumere consapevolmente e libere da condizionamenti sociali e/o familiari le decisioni circa il riconoscimento o il non riconoscimento dei loro nati».