Per una cultura dei diritti dei più deboli.
Una proposta di teatro-forum
(a cura di Emilia De Rienzo e Claudia Saccoccio)
Riportiamo in questa rubrica una proposta teatrali che Emilia De Rienzo in collaborazione con le attrici/autrici Adriana Zamboni e Manuela Massarenti hanno elaborato e proposto anche all’interno della scuola. Secondo noi infatti, compito della scuola è anche quello di garantire, attraverso iniziative culturali, una formazione di base sui diritti e su come renderli esigibili, su come ottenerli e farli rispettare (come esempio fra tutti, la legge sulle barriere architettoniche, disattesa dalle amministrazioni pubbliche e dai cittadini).
La rappresentazione teatrale è una nuova modalità, per diffondere la cultura dei diritti utilizzando strumenti diversi dai soliti. Cultura dei diritti che deve essere vista, quindi, anche come occasione di educazione permanente per tutti i cittadini, educazione a una cittadinanza solidale e non individualista.
Sì, io sono uno scarabocchio,
io lo sono, ma lo sei anche tu, e tu, e tu…
Tutti siamo scarabocchi.
Siamo tratti confusi, colori mescolati, linee incise nel vento che si incontrano o si spezzano.
Non siamo tutto… Forse un po’ di tutto.
In me c’è un po’ di cielo, un po’ di sole, nuvole e pioggia, notte e giorno, parole e silenzio.
Siamo come gli scarabocchi, irripetibili, complicati, strambi, originali, confusi… tutti speciali.
Non siamo un “che cosa” ma siamo un “chi”.
Non c’è cornice che ci contenga, né descrizione che ci comprenda
Con il titolo “Io sono uno scarabocchio e tu?” le due attrici Adriana Zamboni, Manuela Massarenti insieme a Emilia de Rienzo hanno messo in scena una piece teatrale che è stata rappresentata nel coro di Santa Pelagia a Torino grazie all’OMI (Opera munifica Istruzione).
In questo lavoro si è voluto raccontare quanto ogni individuo sia paragonabile ad uno “scarabocchio” in quanto traccia significativa, unica ed irripetibile.
Uno scarabocchio è composto da tratti geometrici, da colori e linee variamente combinate fra di loro che rendono la complessità e la variabilità che abita ognuno di noi.
Lo Scarabocchio “racconta” la complessità di ogni individuo e il suo bisogno di presentarsi all’altro così com’è.
Parola e disegno sulla scena si alternano e si intrecciano accompagnati dalla musica.
Poi lo “Scarabocchio” si squarcia e il taglio rivela il “volto”, così si dipana la storia. Sono tutti pronti ad ascoltare, l’attenzione di tutti è alta: prendono vita le testimonianze, quelle di ragazzi che hanno trovato nella classe che hanno frequentato uno spazio dove imparare non solo nozioni, ma anche a parlare ed ascoltare. Racconti quindi veri a cui la piece teatrale ha voluto restituire la dignità e l’importanza che meritano.
Le testimonianze parlano del desiderio di poter mettere “in comune” ciò che caratterizza la storia che ognuno si porta dentro a volte inascoltata ed esprimono il desiderio di costruire attraverso il dialogo un luogo in cui la parola possa trovare il suo spazio.
“Solo la narrazione della nostra storia – dice Karen Blixen – può rispondere alla domanda “chi sono io?” Una domanda che secondo la scrittrice sgorga prima o poi dal moto di ogni cuore. L’identità di una persona per essere svelata necessita di una narrazione, si costruisce attraverso la narrazione. L’individuo, per farsi conoscere, racconta se stesso, quello che fa, quello che sente, quello che era o spera di essere e diventare”.
“Se perdessimo definitivamente – dice Tabucchi – la capacita di narrare non riusciremmo più a vivere dentro noi stessi, la vita diventerebbe un caos completo, una grande schizofrenia in cui esplodono come in un fuoco d artificio i mille pezzi delle nostre esistenze, perché per ordinare e capire chi noi siamo dobbiamo raccontarci”.
Abbiamo bisogno, però, dell’ascolto dell’altro e della narrazione che l’altro fa di noi. La costruzione della propria identità si muove, infatti, su due canali: “come mi sento e che cosa sento all’interno” (quali sensazioni, pensieri, emozioni ho dentro di me), e “come sono visto dal di fuori” (quale immagine ha l’altro di me).
“E tu chi sei?” domandò il Bruco.
Non era incoraggiante come inizio di una conversazione. Alice rispose, un po’ timidamente: “Io… a questo punto quasi non lo so più, signore… o meglio, so chi ero quando mi sono alzata stamane, ma da allora credo di essere stata cambiata parecchie volte”.
Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie
Il desiderio che anima il narratore è quello di riconoscersi, ma anche quello di veder riconosciuta la propria esistenza da parte del destinatario del suo racconto.
Di questo hanno bisogno anche i ragazzi a scuola, che nella classe vorrebbero sentirsi accettati nella propria diversità, qualsiasi storia abbiano alle spalle e così avere la forza di costruire il proprio futuro. La narrazione non incasella, non imprigiona l’individuo nella “definizione”, “rivela il finito nella sua fragile unicità” e la valorizza.
La storia rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi. Intollerabile non è una vita che è sempre stata un “no” ma una vita che risulta insignificante”, una vita che non interessa nessuno.
Hanna Arendt
Per approfondire questo tema sono state poi previste a questo riguardo due giornate di seminario con educatori ed insegnanti.
Chiunque fosse interessato a riproporre questo tipo di iniziativa anche all’interno della scuola può mettersi in contatto con noi.