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Intervento dell’Anfaa all’audizione del 15 aprile 2010 presso la Commissione GIUSTIZIA della Camera

L’Anfaa che fin dalla sua fondazione si batte affinché nella cultura e nel diritto si affermi una nuova concezione della filiazione e della genitorialità non più fondata prioritariamente sui legami biologici (c.d. “di sangue”), ma fondata sui rapporti affettivi, è contraria all’approvazione delle proposte di legge n. 2919 presentata dall’Onore­vole Paniz, n. 1889 presentata dall’Onorevole Zinzi ed altri e n. 3030 presentata da Bossa e Murer per le ragioni che brevemente esponiamo, segnalando fin d’ora la disponibilità ad approfondire quanto scritto.

1. L’identità di una persona, si costruisce nell’ambito di un processo dinamico di interazione con la realtà, all’interno delle relazioni affettive più significative stabilite con le figure di massimo riferimento, particolarmente nel tempo della prima infanzia.

è nel quotidiano esplicitarsi di queste relazioni che si definisce la personalità di ciascuno di noi, indipendentemente dal patrimonio genetico di cui siamo portatori. È l’ambiente familiare che educa il figlio e ne forma i lati essenziali del carattere, costituendo la base della sua personalità.

Questo principio fondamentale consente di riscoprire il significato autentico non solo della “filiazione naturale”, ma anche e soprattutto dell’“adozione”.

Papa Giovanni Paolo II, a questo proposito, il 5 settembre 2000 ha affermato: «Adottare dei bambini, sentendoli e trattandoli come veri figli, significa riconoscere che il rapporto tra genitori e figli non si misura solo sui parametri genetici. L’amore che genera è innanzitutto dono di sé. C’è una “generazione” che avviene attraverso l’accoglienza, la premura, la dedizione. Il rapporto che ne scaturisce è così intimo e duraturo, da non essere per nulla inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica. Quando esso, come nell’adozione, è anche giuridicamente tutelato, in una famiglia stabilmente legata dal vincolo matrimoniale, esso assicura al bambino quel clima sereno e quell’affetto, insieme paterno e materno, di cui egli ha bisogno per il suo pieno sviluppo  umano. Proprio questo emerge dalla vostra esperienza. La vostra scelta e il vostro impegno sono un invito al coraggio e alla generosità per tutta la società, perché questo dono sia sempre più stimato, favorito e anche legalmente sostenuto».

2. La legge italiana riconosce al figlio adottivo il diritto alla corretta informazione sul proprio status. (L. 184/1983 e s.m. art. 28 comma 1). Il rapporto genitore-figlio deve essere alimentato da un dialogo continuo, sincero e chiaro. Solo la fiducia cementa le relazioni umane.

L’Anfaa ha da sempre sostenuto la necessità che i figli adottivi fossero tempestivamente e adeguatamente informati dai genitori, sulla loro situazione adottiva e sulla loro storia personale.

Il figlio adottivo è portatore di un vissuto pregresso, spesso doloroso, che non deve essere minimizzato o ignorato, ma raccontato e spiegato, in termini verosimilmente comprensibili rispetto alla maturità psicologica del singolo soggetto.

Se un figlio si sente accettato per quello che è, con la sua storia e i suoi ricordi, verosimilmente sarà più disponibile ad esprimere liberamente le ansie e le frustrazioni legate al proprio passato, accogliendo con fiducia l’aiuto e il sostegno che i genitori adottivi potranno offrirgli.

La verità negata o comunicata con eccessivo ritardo può incrinare irreversibilmente il patto fiduciario stipulato tra l’adulto e il bambino, con conseguenze non sempre prevedibili.

In altre parole, un genitore adottivo reticente o timoroso, può dare l’impressione di non aver assunto il proprio ruolo con convinzione e di vivere l’adozione come una soluzione di ripiego, rispetto ad un rapporto biologico inconsciamente preferito.

Non a caso, la richiesta di conoscere le proprie origini biologiche viene avanzata frequentemente da parte di quei figli adottivi che non sono stati tempestivamente o correttamente informati (1) (e cioè a partire dalle prime domande: «Dov’ero prima di nascere?» ,«Da dove sono venuto?»). Costoro infatti, delusi dalle reticenze o dalle bugie dei genitori adottivi, nel tentativo di riscrivere inutilmente la loro storia, cercano di instaurare un nuovo legame con coloro che li hanno procreati, illudendosi di trovare in costoro affetto e sicurezza e trovando invece molto spesso persone estranee e problematiche, certamente inadeguate a rispondere ai loro bisogni e a stabilire alcun valido rapporto.

3. Se si assume che il cosiddetto “legame di sangue” deve sempre prevalere, perché gli si attribuisce una forza maggiore rispetto alla reale esperienza del rapporto tra genitore e figlio, se ne deduce l’inevitabile delegittimazione della famiglia adottiva la quale, sulla base di tali premesse, non può che assumere la mera funzione di sostituto minore di quella comunque ritenuta legittima; l’adozione legittimante, allora, sarebbe tale solo sul piano formale non certo sostanziale.

La nuova formulazione dell’articolo 28 della legge n. 184/1983 introdotta dalla legge 149/2001, nel consentire l’accesso all’identità dei procreatori ai figli adottivi ultraventicinquenni riconosciuti alla nascita, ha inferto un grave colpo all’essenza stessa dell’adozione, intesa come genitorialità e filiazione “vere”.

Tale riforma ha favorito una progressiva e pericolosa delegittimazione delle famiglie adottive, che non vengono più riconosciute dalla legge come le “uniche” ed “autentiche” famiglie dei loro figli adottivi.

Riconoscere la permanenza di un ruolo fondamentale ai procreatori, benché non abbiano mai provveduto al loro nato o siano stati giudicati inidonei a svolgere tale compito, significa disconoscere l’importanza e la preminenza dei legami affettivi ed educativi sullo sviluppo della personalità dei figli, deresponsabilizzando tutte le famiglie (in primis quelle biologiche!) e anche gli operatori del settore.

Gli esiti degli incontri autorizzati dai tribunali per i minorenni, peraltro molto esigui nel numero, confermano i timori sopracitati.

Se da un lato c’è l’innegabile esigenza da parte di alcuni figli adottati già grandicelli di incontrare i loro genitori biologici (di cui ricordano il nome, il cognome, l’indirizzo…) per cercare di ricostruire le fasi più oscure della propria vita, nell’illusione di poter dare un nuovo senso alla propria storia, è tangibile la concreta difficoltà di instaurare rapporti significativi con persone spesso problematiche, certamente diverse da quelle idealizzate.

Questi viaggi verso l’ignoto rischiano non solo di non dare alcuna positiva risposta agli interrogativi più profondi dei figli adottivi, ma di porli di fronte a situazioni pregiudizievoli che possono condizionare pesantemente la loro vita futura.

4. La procedura di accesso all’identità dei genitori biologici deve essere attribuita a quell’unico soggetto che, per comprovata capacità organizzativa e culturale, può offrire concrete garanzie di indipendenza ed imparzialità: il tribunale per i minorenni.

Attualmente il tribunale per i minorenni deve sempre vagliare le richieste di accesso, subordinandone l’accoglimento all’audizione di tutte le persone coinvolte, alla comprovata sussistenza di valide ragioni che le giustifichino e all’accertamento negativo di pericoli per l’equilibrio psicofisico del richiedente. Appare dunque pericoloso prospettare un ampliamento di tali conoscenze, che nell’ottica del proponente finiscono per identificarsi con un accesso indiscriminato a notizie che, se non debitamente controllate, esporrebbero a serio rischio la serenità sia dei genitori adottivi che di quelli biologici, propiziando il riacutizzarsi di antiche ferite che il tempo aveva rimarginato, se non addirittura la commissione di veri e propri reati, contro il patrimonio o la persona dei soggetti coinvolti.

5. La garanzia alla segretezza del parto e il diritto all’anonimato, consacrati dall’articolo 30, comma 1, del D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 (“Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile”) e dall’articolo 93, comma 2, del D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (“Codice in materia di protezione di dati personali”), costituiscono una conquista civile non negoziabile che non può formare oggetto di addomesticamenti legislativi comunque motivati, trattandosi di normativa ispirata all’esigenza di difendere la vita e la salute sia dei nascituri che delle gestanti. Solo la garanzia di un parto anonimo può indurre una donna a rivolgersi ad una struttura pubblica per portare a termine una gravidanza indesiderata evitando soluzioni più drammatiche quali l’aborto clandestino, l’abbandono nel cassonetto o, addirittura, l’infanticidio.

Da decenni la garanzia assoluta del segreto del parto è stata ed è la condizione sine qua non che ha consentito ogni anno a centinaia di bambini non riconosciuti di nascere e di essere inseriti dopo pochi giorni presso famiglie che, espletate le procedure previste dalla legge, li hanno adottati rendendoli loro figli legittimi a tutti gli effetti. Nel 2007, ultimo dato disponibile, su 1344 minori adottabili 641 sono stati quelli non riconosciuti alla nascita, nel 2006 erano stati 501 su 1254, nel 2005 erano 429 su 1168, mentre nel 2004 erano 410 su 1064, come risulta dal 2° Rapporto Supplementare alle Nazioni unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.

Purtroppo questo fondamentale diritto viene messo in discussione nel momento in cui si consente il rintraccio della donna che non ha riconosciuto il proprio nato, per accertare (sia pure per interposta persona) se è disponibile a rimettere in discussione la sua precedente decisione; in tal caso, infatti, è possibile che numerose persone vengano a conoscenza della sua identità:

– il presidente e i giudici del Tribunale per i minorenni a cui si rivolge l’adottato, che   devono provvedere  all’espletamento della richiesta;
– i cancellieri che provvedono alle registrazioni e alle comunicazioni interne ed esterne;
– il direttore sanitario dell’ospedale in cui è avvenuto il parto, al quale viene chiesto di ricercare il nominativo della donna e di individuare e trasmettere i relativi dati anagrafici (cognome, nome, luogo e data di nascita, ecc) al fine di poterla ricercare;
– il o gli operatori ai quali il direttore sanitario affida la ricerca di cui sopra e la trasmissione dei dati raccolti;
– il o gli addetti alla ricerca del recapito della donna, alla comunicazione alla stessa dell’istanza presentata ed a raccogliere la sua decisione.

L’alto numero delle persone coinvolte, peraltro, rende assai probabile la segnalazione a terzi (giornalisti della TV, della radio e della carta stampata) del nominativo della donna che non ha riconosciuto il proprio nato e praticamente impossibile l’individuazione del soggetto responsabile di tale violazione di legge.

Ci si chiede anche se sia corretto “perseguitare” una persona, chiedendole di rileggere le pagine dolorose del suo passato e di rimettere in discussione anche il suo presente, spesse volte assolutamente risolto con la creazione di una nuova famiglia completamente ignara delle sue scelte pregresse.

Nessun appiglio per legittimare una deroga al diritto alla segretezza del parto può essere tratto né dal riferimento agli articoli 7 (“Il fanciullo ha diritto […] di conoscere i suoi genitori”) e 8 (“Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a conservare […] le sue relazioni famigliari”) della Convenzione ONU del 1989 sui diritti dell’infanzia, che mirano a proteggere i legami familiari dei minori da ogni interferenza illegale; né tanto meno dal dettato dell’articolo 30 della Convenzione dell’Aja del 1993 sulla protezione dei minori (“1. Le autorità competenti di ciascuno Stato contraente conservano con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all’identità della madre e del padre ed i dati sui precedenti sanitari del minore e della sua famiglia. 2. Le medesime autorità assicurano l’accesso del minore o del suo rappresentante a tali informazioni, con l’assistenza appropriata, nella misura consentita dalla legge dello Stato”), che riguarda il solo campo delle adozioni internazionali e che in ogni caso attribuisce ai singoli Stati la competenza esclusiva a legiferare in merito alle informazioni relative all’identità dei genitori biologici del minore adottato.

Anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 425 del 16 novembre 2005, ha sancito la piena legittimità del divieto di conoscenza contemplato dal citato articolo 28 della legge 184, affermando la conformità di tale disposizione ai principi fondamentali della Costituzione (articolo 2: tutela dei diritti inviolabili dell’uomo; articolo 3: uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; articolo 32: tutela del diritto alla salute) ed escludendo che la stessa confligga con le disposizioni delle Convenzioni internazionali sopra citate.

Il rapporto di filiazione piena che si instaura tra genitori adottanti e minore adottato trova, nel rispetto delle cautele predisposte dal vigente art. 28 della legge sull’adozione, un presidio che non può essere intaccato ponendo mano a riforme che sembrano rispondere più che altro ad esigenze adultocentriche ed emozionali non particolarmente meritevoli di riconoscimento.

PROPOSTE CONCLUSIVE

È sostanziale rafforzare la tutela di tutti i soggetti protagonisti dell’adozione, a partire dalle gestanti che non intendono riconoscere il loro nato, sino alla famiglia adottiva, che va protetta da ogni possibile indebita ed arbitraria intrusione e da ogni fattore di disturbo. A tal fine chiediamo di:

sostenere l’iniziativa del Consiglio Regionale del Piemonte che ha presentato alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 1226 “Interventi a favore delle gestanti e madri per garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati” diretta a garantire su tutto il territorio italiano gli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o non riconoscimento del loro nato e al segreto del parto, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica (quindi, anche alle donne clandestine!!!)

integrare la legislazione vigente (articolo 26 comma 4 L. 184/1983), attribuendo alla trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile l’efficacia di un vero e proprio nuovo atto integrale di nascita dell’adottato.

sottoporre al controllo preventivo delle autorità competenti i programmi giornalistici o radiotelevisivi che coinvolgono minori in affidamento o in adozione, in relazione al rischio del pregiudizio che può loro derivare dalla diffusione delle informazioni che riguardano la loro storia personale e famigliare;

chiudere i siti Internet che permettono l’incontro tra genitori biologici e figli adottivi, aggirando le procedure previste dalla legge; la violazione di legge in questo caso è tanto più grave perché favorisce l’adescamento di minori da parte di sedicenti genitori biologici motivati da ben altri scopi;

prevedere la raccolta di informazioni cliniche sullo stato di salute della partoriente al momento del parto o la raccolta di materiale genetico (es. conservazione di cellule staminali attraverso la creazione di “banche dei cordoni ombelicali”) al fine di agevolare la diagnosi e la cura di eventuali futuri stati patologici del figlio non riconosciuto.

(1) Dalla ricerca effettuata dalla rivista Prospettive Assistenziali nel 1999, i cui esiti sono riassunti nell’articolo “Estremamente rare le richieste di accesso all’ identità dei propri procreatori da parte dei figli adottivi” emerge quanto segue: “Hanno in totale risposto 22 Tribunali per i minorenni su 29. Complessivamente si tratta di 48 richieste di cui 16 provenienti da adottati non riconosciuti, persone che, dunque, in qualsiasi caso, non potranno avere notizie sulla loro madre biologica, che si è avvalsa del diritto alla segretezza del parto. Va notato inoltre che 3 richieste provengono da figli adottivi che hanno saputo del loro status solo in età adulta”.

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