a cura di Piergiorgio Gosso, giurista, consigliere ANFAA, Presidente Onorario Aggiunto della Corte di Cassazione
Proposte di legge in materia di accesso dell’adottato alle informazioni sulla propria origine e sull’identità dei genitori biologici: profili giuridici di irragionevolezza
1) Le proposte di legge nn. 1899 (on. Zinzi e altri), 2919 (on. Paniz) e 3030 (on. Bossa e Murer) hanno tutte un comune obbiettivo: quello di permettere anche all’adottato non riconosciuto alla nascita, una volta raggiunti i venticinque anni, di conoscere l’identità dei propri genitori naturali, ove costoro vi acconsentano, così abolendo il divieto opposto al riguardo dal vigente articolo 28, comma 7°, della Legge 4 maggio 1983 n. 184 (così come modificato dall’articolo 177, comma 2°, del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196). Tale accesso, secondo la proposta di legge n. 2919, verrebbe altresì consentito, anche a prescindere dall’assenso dei genitori biologici, qualora l’adottato abbia compiuto i quarant’anni.
Inoltre la proposta di legge n. 2919, a modifica del disposto di cui all’articolo 28, comma 5°, della Legge 4 maggio 1983 n. 184, attribuisce all’adottato riconosciuto alla nascita che abbia compiuto i venticinque anni il diritto incondizionato a ottenere tutte le informazioni riguardanti la propria origine e l’identità dei suoi genitori biologici.
Per valutare la fondatezza e la sostenibilità di tali proposte, è indispensabile aver ben chiaro il principio fondamentale che sta al centro dell’intera disciplina dell’adozione dei minori configurata dalla citata Legge 4 maggio 1983 n. 184 e dalle sue successive modifiche (Legge 31 dicembre 1998 n. 476, Legge 28 marzo 2001 n. 149, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 476) e secondo il quale il legame genitoriale è costituito da quel complesso di cure morali e materiali dalle quali ogni minore ha diritto di essere sempre circondato e che, in caso di totale e irreversibile incapacità della sua famiglia biologica, gli vengono assicurate dai genitori adottivi. Come è stato scritto (1), «si è genitori nella misura in cui si è contribuito allo sviluppo fisico e psichico del soggetto, accompagnandolo amorosamente nel suo difficile apprendistato», e pertanto la qualità di genitori adottivi dà luogo a un rapporto di filiazione piena ed esclusiva, in forza del quale l’adottato beneficia di un contesto relazionale che non si differenzia in alcun modo da quello di cui gode chi vive nello stesso ambiente che lo ha visto nascere, e la tradizionale distinzione tra “famiglia di sangue” e “famiglia adottiva” (che considerava quest’ultima come una forma incompleta e artificiale di parentela, un surrogato della “famiglia vera”) non conserva più alcuna ragion d’essere, superata com’è da un unico concetto di genitorialità responsabile, caratterizzata dalla totalità e completezza degli affetti.
Nella sua premessa, la Carta dell’ONU sui diritti dell’infanzia (New York, 20 novembre 1989) dispone che, per il pieno e armonioso sviluppo della sua personalità, il bambino deve crescere in un ambiente familiare che gli assicuri «un’atmosfera di felicità, di amore e di comprensione». Nell’esperienza adottiva questo clima esige, per essere instaurato, un percorso di reciproca accettazione che deve passare anche attraverso una corretta e graduale informazione del minore in merito alla sua condizione di figlio adottivo, ed è proprio in adesione a questa primaria esigenza che il legislatore del 2001 ha inserito nella normativa adozionale la disposizione secondo la quale «il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e nei termini che essi ritengono più opportuni» (articolo 28, comma 1°, Legge 184/83): informazione, questa, che, se ben gestita, non può che favorire l’armonico sviluppo psicofisico del minore, rendendo più saldo e significativo il legame genitoriale, e sotto questo profilo non è errato riconoscervi, se non un vero e proprio diritto, quanto meno un rilevante interesse del minore, poiché in tal modo non viene rimossa od occultata una parte essenziale della sua storia di vita (2). Le frustrazioni che si manifestano nei figli adottivi che, divenuti adulti, lamentano l’ignoranza sulle proprie origini non è altro che la conseguenza di informazioni tardive o reticenti – se non addirittura taciute o mascherate dall’inganno – da parte di chi avrebbe dovuto responsabilmente provvedervi. L’esigenza di colmare questi vuoti – ove emerga – non ha, dunque, nulla a che vedere con la costruzione della propria identità personale, cui invece fanno concorde ma generico riferimento le presentazioni delle proposte di legge in argomento prendendo le mosse da un’affermazione errata e fuorviante, o comunqueinconferente, e ciò per la semplice ragione che l’identità personale è frutto della formazione educativa che deve accompagnare l’età evolutiva e che, in quanto tale, non può essere in alcun modo ritardata o aggirata (3). Appare, viceversa, di tutta evidenza che le riforme auspicate dai proponenti – oltre tutto, di contenuto ambiguo e contraddittorio (4) – sono espressione di esigenze esclusivamente adultocentriche e che la loro finalità si pone in termini antitetici rispetto all’interesse dei minori adottati e delle famiglie adottive.
2. Tutto ciò premesso in linea generale, occorre mettere in rilievo, sotto un profilo giuridico, i principali aspetti di inaccettabilità delle riforme legislative poste all’esame di codesta Commissione:
A) Consentire all’adottato che ha compiuto i venticinque anni di età di accedere indiscriminatamente a tutte le informazioni riguardanti la propria origine e l’identità dei suoi genitori biologici, facendo obbligo agli enti e alle istituzioni pubbliche e private di mettere a sua disposizione tali dati nella loro interezza – e ciò senza alcun controllo dell’autorità giudiziaria -, significherebbe introdurre nel panorama adozionale una frattura del tutto eccentrica e dirompente rispetto ai suoi principi ispiratori (cui sopra si è fatto sintetico accenno), che di conseguenza verrebbero ad essere completamente stravolti. Pertanto, ove fosse accolta, una simile innovazione confliggerebbe in maniera insanabile e ingiustificabile con il corpus legislativo attualmente vigente in materia, così violando il principio costituzionale di ragionevolezza, con specifico riferimento all’articolo 3 comma 1° della Costituzione (5). Non soltanto, ma la particolare riservatezza con la quale la legge a tutt’oggi protegge i dati personali relativi alle vicende adottive sarebbe, con il raggiungimento dei venticinque anni di età dell’adottato, completamente elusa, dando ulteriormente luogo alla lesione – ai danni sia dei genitori adottivi che dei genitori naturali dell’adottato (6) – di un diritto inviolabile della personalità, anch’esso di rilievo costituzionale (articolo 2 Costituzione); così come verrebbe ad essere violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare solennemente tutelato dall’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (cui l’Italia ha aderito con la Legge di ratifica 4 agosto 1955 n. 848, assumendo l’obbligo di ottemperarvi). E, ancora, un ulteriore profilo di violazione delprincipio costituzionale di ragionevolezza verrebbe a configurarsi in ordine al mancato rispetto di quel complesso di disposizioni a tutela della segretezza della vita privata contenute negli articoli 2, 11 e 137 del Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196) e ivi sanzionate agli articoli 162 e 170 (7);
B) Ancora più palesi appaiono, poi, i profili di illegittimità che inficiano le tre proposte di legge per quanto riguarda la facoltà che si vorrebbe attribuire, all’adottato non riconosciuto alla nascita, di far interpellare i propri genitori biologici ai fini della loro identificazione e della loro eventuale rinuncia all’anonimato (e addirittura senza alcun filtro, una volta raggiunti i quarant’anni di età da parte del richiedente). Il diritto alla segretezza del parto e al non riconoscimento del nascituro, tutelato da una serie di norme improntate a un’alta scelta di civiltà e di prevenzione sociale (articolo 30 comma 1° del D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396; articolo 93 del citato D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196) (8), verrebbe, in caso di accoglimento delle suddette proposte, ad essere posto nel nulla, con conseguentevulnus sia del principio costituzionale di ragionevolezza – anche in riferimento agli articoli 2 (tutela dei diritti inviolabili della persona), 3 (divieto di disparità di trattamento) e 32 (tutela del diritto alla salute) della Costituzione – e sia del richiamato principio costituzionale di inviolabilità dei diritti della persona (articolo 2 della Costituzione). Altrettanto priva di valida giustificazione si presenterebbe la patente violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8) e del divieto di discriminazione(articolo 14) tutelati dalla ricordata Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950.
Va, infine, sottolineato che, così come è formulata, la norma di legge contenuta nelle proposte di legge, ove entrasse in vigore, dispiegherebbe il suo effetto anche nei confronti delle donne che negli anni antecedenti alla sua promulgazione si erano avvalse della segretezza del parto e del diritto all’anonimato nella certezza che questa loro scelta non avrebbe subito alcuna intrusione negli anni a venire. Si determinerebbe, cioè, un effetto retroattivo della norma che confliggerebbe con uno dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico: infatti, come è noto, all’articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale (le cosiddette “preleggi”) è stabilito che «la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo». Anche sotto questo aspetto, dunque, si ravvisa un insormontabile vizio di illegittimità nella invocata riforma legislativa.
(1) Alfredo Carlo MORO, Il bisogno di scoprire le proprie radici: un nuovo diritto?, in Il bambino incompiuto, n. 3, luglio 1993.
(2) Cfr. Dante GHEZZI, L’adozione: diventare madri, padri e figli, in Minorigiustizia, n. 4, aprile 1999: «Una buona informazione arricchisce e consolida l’adozione».
(3) Come esattamente rileva Dante GHEZZI (op. cit.), «la vera adozione si costruisce attraverso un percorso anche di anni che comporta negli attori vissuti complessi e movimenti interni alla coscienza e alla dimensione emozionale», e già Alfredo Carlo MORO osservava che «l’identità di una persona si specifica e si costruisce nella storia e nelle molteplici esperienze e relazioni umane che ogni soggetto, specie nei primi anni di vita, realizza» e che «il problema delle origini è particolarmente pressante nel momento preadolescenziale e adolescenziale in cui principalmente si costruisce la propria identità» (op. cit.).
(4) Infatti i proponenti non operano alcuna distinzione tra conoscenza della condizione adottiva del minore e accesso ai dati anagrafici dei suoi genitori biologici, e cioè tra due ben diversi aspetti dell’accesso alle proprie origini che, per la loro diversa natura, richiedono trattamenti assolutamente differenziati nella fase educativa dello sviluppo.
(5) Come è noto, il principio di ragionevolezza trova riconoscimento e tutela nella costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, e ciò a partire quanto meno dal 1960 (cfr. sentenza n. 16 del 29 marzo 1960), fino alla più recenti pronunce del 2008 (cfr. n 102 del 13 febbraio 2008 e n. 324 del 30 luglio 2008). Cfr., da ultimo, anche le ordinanze nn. 5 e 7 del 12 gennaio 2009.
(6) Come osserva con particolare efficacia una psicoterapeuta della famiglia (Maria Teresa PEDROCCO BIANCARDI, La ricerca delle origini tra illusioni, ossessioni, equivoci: una possibile trappola per i figli adottivi, in Prospettive assistenziali, n. 130, luglio-settembre 2004), «i genitori biologici che hanno rinunciato a prendersi cura dei loro figli vogliono essere lasciati in pace ».
(7) Merita ricordare al riguardo che da ultimo, con provvedimento dell’8 aprile 2010, il Garante per la Protezione dei dati personali ha applicato le citate disposizioni di legge disponendo in via d’urgenza il blocco del trattamento dei dati personali contenuto in una serie di trasmissioni televisive (in onda su RAIUNO) aventi ad oggetto la ricerca dei parenti biologici da parte di persone adottate, non autorizzata dalla magistratura.
(8) Come è noto, la tutela della segretezza del parto è in vigore in Italia fin dal lontano 1923: cfr., nell’ordine, il R.D. 30 dicembre 1923 n. 2841, il R.D.L. 8 maggio 1927 n. 798, convertito in Legge 6 dicembre 1928 n. 2838; il R.D. 29 dicembre 1927 n. 2822; il R.D.L. 15 ottobre 1936, convertito in Legge 25 marzo 1937 n. 921.