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Raccontarsi a scuola
(a cura di Emilia De Rienzo e Claudia Saccoccio)

Raccontare Raccontarsi

Un mio allievo una volta ha detto: “Io da scuola mi porto a casa nuove conoscenze, ma anche tutto l’affetto che ho sentito per me e per i miei compagni” un modo semplice per dirci con le parole dello psicoanalista Carotenuto che“la sfera affettiva intreccia una continua relazione e scambio comunicativo con la dimensione più propriamente cognitiva della nostra psiche, ed è da questa dinamica inter-relazionale che scaturisce la soggettività di ogni essere umano, le sue peculiarità psicologiche, il suo modo di essere e di mostrarsi al resto del mondo” (1).
Non riuscire, infatti, ad instaurare rapporti soddisfacenti con il mondo esterno, venire esclusi dal gruppo dei pari, non avere amici sono tutte circostanze estremamente dolorose, laceranti che nessun bambino dovrebbe mai provare. E’ per questo che è importante nella scuola aiutare i ragazzi a costruire una classe dove si possa “stare bene”.
E allora come valorizzare e guidare i ragazzi ad accettarsi l’un con l’altro, a vedere le loro diversità come possibilità di arricchimento e di confronto? Come aiutare i bambini adottati ed affidati a sentirsi a proprio agio con la propria storia e con i loro problemi?
Non è la diversità a costituire un problema. Quello che è problematico è come viene percepita la diversità, qualunque essa sia, nella classe, nella scuola: e questo è un problema di tutti i bambini.
Dobbiamo aver ben presente che ogni bambino potrà trovare una spiegazione alla sua storia personale solo se capirà che la sua storia è compresa, accettata. 
Dice, infatti la Arendt: “La storia rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi. Intollerabile non è una vita che è sempre stata un “no” ma una vita che risulta insignificante, una vita che non interessa nessuno”.
Perché quindi la storia, la nostra storia abbia un significato abbiamo bisogno del riconoscimento dell’altro, abbiamo bisogno che l’altro non si interessi a noi solo perché figlio adottivo, ma a noi come persona, come individuo. Allora “Tutti i dolori sono sopportabili se li si inserisce in una storia” in un clima di ascolto e di attenzione.
I bambini hanno bisogno di parlare dei loro sentimenti e delle loro emozioni, ma lo faranno solo se troveranno un clima adatto.

Solo la narrazione della nostra storia può rispondere alla domanda “chi sono io?” L’individuo per farsi conoscere ha bisogno di raccontare se stesso, quello che fa, quello che sente, quello che era o spera di essere e diventare.
Ma l’individuo conosce se stesso anche grazie alla narrazione che gli altri fanno di lui, all’impronta che lui lascia negli altri
La narrazione non incasella, non imprigiona l’individuo nella “definizione”, ma come dice la Cavarero “rivela il finito nella sua fragile unicità” e la valorizza.
In classe l’insegnante dovrebbe, quindi, dare ai ragazzi spazi e possibilità di parlare di sé, a confrontarsi fra di loro, per imparare ad accettarsi e ad aiutarsi.
Solo così i ragazzi capiranno che la fragilità, il dubbio, la paura, la contraddizione sono di tutti nel senso più generale del termine, ma che questi sentimenti ognuno li riempie con i propri vissuti e contenuti, con il modo di porsi e di essere di ognuno.
In questo osservarsi, osservare e voler conoscere, più che il contenuto, prende senso la qualità del legame che si crea con “i grandi” e tra di loro che diventa un legame di fiducia in cui l’adulto è disponibile ad ascoltare anche le debolezze, le incongruenze, le contraddizioni, i dubbi assieme agli aspetti positivi e costruttivi. Conoscere se stessi vuol dire accettare di essere come tutti conservando il sentimento dell’essere diverso dagli altri: unico e particolare come ogni altro essere umano.
Il farlo presuppone di vivere in un ambiente accogliente. Si parla molto nelle scuole di “fare accoglienza”, ma bisognerebbe parlare di “essere accoglienti”.

Il verbo “accogliere” deriva dal latino Ad-colligere che è ad un tempo “andare verso” e “un ricevere in sé”.
Tenere insieme intelligenza ed affettività (l’intelligenza del cuore come la chiama Maria Zambrano o avere un cuore intelligente come diceva Flaubert) è la sfida che ogni insegnante dovrebbe continuamente aprire con se stesso.

Bisogna invece aver ben chiaro che la trama relazionale che viene a formarsi attorno all’’universo psichico del bambino diventa il nutrimento vitale per permettere la sua crescita.
E’ l’ambiente – dice Winnicot – che fa sì che il fanciullo si sviluppi; in difetto di idonee condizioni ambientali lo sviluppo personale del fanciullo non può aver luogo”.

Solo se le emozioni e i sentimenti degli allievi sono accolti e riconosciuti come aspetti strettamente legati all’esperienza e non come ostacolo o disturbo allo svolgimento del programma, il bambino può trovare la forza di raccontarsi, di appropriarsi della propria storia, anche se a volte dolorosa, come un valore e non come un motivo di esclusione da tutti gli altri, può imparare a costruire quello che lo psicoanalista Soulè chiama il “suo romanzo familiare”, può piano iniziare ad apprendere nella misura in cui non si sente giudicato, ma aiutato, quando non sentirà dire “non c’è nulla da fare”, ma “c’è sempre qualcosa da fare”.

Bisogna saper accompagnare i bambini senza allarmismi e con molta fiducia, perché di questo hanno bisogno, di credere che la loro vita ha una possibilità di riscatto, che c’è la possibilità di uscire dal passato non per dimenticarlo, ma per coniugarlo col presente e con il futuro.
Fare questo vuol dire aprirli alla speranza e la speranza è apertura al “possibile”, la speranza attiva, mette in movimento, il tempo che abbiamo davanti si apre alla realizzazione dei progetti che costruiamo forgiandoli sulla nostra persona e non modellandoli su stampi già precostituiti e come tali mai raggiungibili.
Sperare, infatti, non significa – dice Galimberti – solo guardare avanti con ottimismo, ma soprattutto guardare indietro per vedere come è possibile configurare quel passato che ci abita, per giocarlo in possibilità a venire
Avrà bisogno di una buona dose di stima dell’altro per poter veder crescere dentro di sé un po’ di autostima, per poter contrastare le forze dentro di sé che frenano un suo cambiamento.
Cambiare vuol dire abitare un mondo ancora sconosciuto, intraprendere un viaggio come dice Saramago “verso un’isola che ancora non c’è”.
Troppo spesso la storia, infatti, può essere come una gabbia che chiude al futuro, si rischia cioè di essere ancorato alle definizioni che gli altri hanno dato di noi, a quello che gli altri ricordano, ad una definizione di noi stessi che impedisce di emanciparsi.
E’ importante poter raccontare il passato, le proprie emozioni, quello che si sente nel presente, ma è ugualmente importante immaginare in modo concreto e reale il proprio futuro che più del passato appartiene ad ognuno di noi
Insomma è importante che sia il soggetto, sia chi si relaziona con lui non considerino il passato come qualche cosa da cui non si può più uscire. In questo modo si negherebbe la possibilità di cambiamento.

Ogni bambino deve imparare a sentire di avere una storia di cui può diventare protagonista e non solo soggetto passivo, che se il passato in un certo senso gli è stato dato, il futuro può appartenergli.
Cosa può diventare un’aula scolastica in quest’ottica? Faccio mia la definizione della Zambrano: uno spazio di speranza aperto a tutti.

* * *
Attività svolta sul territorio di Bologna

TUTTI I COLORI DELLA FAMIGLIA
Progetto dell’Associazione Famiglie Adottive Bologna “Ci vuole un villaggio onlus”.
Responsabile del progetto Maria Bonato – e-mail: civuoleunvillaggio @ alice.it

LETTURE ANIMATE IN BIBLIOTECA
PREMESSA
Cos’è una famiglia? Ma che domande! Ci sono un papà, una mamma, e poi nascono i bambini …
Ma è sempre così semplice? Ancora oggi, tutti i libri scolastici in vigore nelle scuole primarie propongono un modello di famiglia tradizionale, la mamma e il papà, possibilmente uniti in matrimonio, da cui nascono i figlioli.
Da un recente studio (Delavigne et al., 2002),in cui gli autori hanno analizzato 65 libri di testo delle scuole elementari, è emerso che neppure una volta è citata la possibilità che una famiglia si formi diversamente da quella biologica, e tutte le altre “diversità” (separazione dei genitori, morte di un genitore, diversità di religione o cultura, pelle, handicap o malattia eccetera) non trovano rappresentazione, né visiva né scritta.
Questo modello bio-giuridico (matrimonio e nascita, rigorosamente in quest’ordine) non regge più il confronto con la molteplicità e la frammentazione delle famiglie di oggi.
Molti bambini che vivono in famiglie cosiddette tradizionali non riconoscono alcune delle forme familiari più “moderne”. Si chiedono perché il loro compagno di scuola non abbia il papà, oppure perché la cuginetta non sia nata dalla pancia della sua mamma, o ancora perché il vicino di casa abbia una mamma, un papà, una vice-mamma e un vice-papà, e poi ben 8 nonni…
E i bambini che di queste famiglie “moderne” sono protagonisti non vedono, in contesti sociali allargati, rappresentata la propria realtà, con importanti ripercussioni sulla consapevolezza di sè e sulla propria autostima. (Non meritano uno sguardo, una spiegazione, non meritano attenzione, non sono interessanti, o sono anche solo troppo complicati perchè si perda un po’ di tempo per descrivere e comprendere la loro storia).

Il progetto
Il progetto si rivolge ai bambini di età compresa tra i 4 e i 7 anni e consiste in un percorso di letture animate sul tema della famiglia, proposto nelle biblioteche di quartiere e nelle scuole primarie di Bologna e della Provincia..

Obiettivi del Progetto
Il ciclo di letture ha lo scopo di promuovere la percezione, il riconoscimento, l’interiorizzazione e la piena legittimazione dei nuovi modelli in cui si esprime e si realizza oggi l’istituzione familiare. Con particolare attenzione alla rappresentazione delle famiglie adottive, affidatarie, ricostruite, monoparentali, separate, allargate, omoparentali, miste, immigrate… Con il fine ultimo di raggiungere una più adeguata integrazione di ogni bambino nel contesto sociale allargato e una piena realizzazione del diritto di ciascuno alla diversità.

Contenuti
Il percorso si articola in un ciclo di quattro incontri, ognuno dei quali prevede una lettura animata di uno o più racconti, seguita da una rosa di laboratori creativi che sviluppino nel bambino, attraverso un approccio ludico, la riflessione sui temi trattati nella lettura.
Tale lettura verrà coadiuvata dalla proiezione di immagini e/o dall’uso dei burattini.
Per ogni incontro verrà proposto ai bambini di ripercorrere le tappe fondamentali della storia attraverso un’improvvisazione teatrale guidata dall’operatrice. Variano invece le proposte grafiche studiate per ogni lettura. Alla fine di ogni incontro il bambino avrà in ogni caso realizzato un manufatto che potrà portare a casa, come segno tangibile del percorso svolto.
Comune a ogni incontro sarà la lettura iniziale del libro di Pittar Gill e Morrel Cris, Milly e Molly e i tanti papà, EDT : la storia aiuta a visualizzare l’esistenza di nuclei familiari diversi rispetto a quelli classici introducendo le varie tematiche, che si articoleranno secondo lo schema seguente. Per ogni incontro vengono proposte altre 2 letture, che la biblioteca potrà scegliere di sostituire con storie alternative, a seconda di interessi e disponibilità.

Primo incontro: le famiglie adottive
Letture + Laboratori:
• Improvvisazione e giochi teatrali basati sulle storie
• L’albero genealogico? No, il fiore! Il bimbo viene posto al centro mentre ogni petalo della corolla rappresenta una persona importante per il suo vissuto.

Secondo incontro: Le famiglie affidatarie
Letture + Laboratori:
• Improvvisazione e giochi teatrali basati sulla storia letta
1. Identikit di una mamma attraverso il disegno guidato.

I successivi incontri sono riferiti alle famiglie separate e le famiglie immigrate con modalità simili ai primi incontri

Metodologie
Ogni laboratorio si servirà di un duplice approccio: quello teatrale, finalizzato all’esplorazione dell’altro, e quello grafico-pratico, teso invece all’esplorazione del sè e della propria realtà.
Attraverso il disegno e la realizzazione dei laboratori grafici (il pup up della propria casa, l’albero/fiore genealogico, il disegno guidato ecc), il bambino riflette sulla propria realtà identifican­done, attraverso il ricordo, le tappe e la quotidianità.
Il confronto con gli altri bambini determinerà un’ occasione per il riconoscimento della propria realtà come positiva , simile ma non necessariamente identica a quella altrui.

(1) Aldo Carotenuto – Il tempo delle emozioni – 2003 Bompiani,  Milano.

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