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Pubblichiamo  una seconda significativa  testimonianza (la  precedente è stata pubblicata  sul n. 1-2/2009 del Bollettino ANFAA) da parte dei genitori adottivi di un ragazzo che, adottato con adozione legittimante, ha conservato un rapporto con alcuni parenti della famiglia di origine: i genitori  ne hanno riferito anche nel recente Convegno nazionale  su ““Adozione e Affidamento familiare a lungo termine promosso il 9 novembre 2009 a Torino daLL’ ANFAA con il contributo della Regione Piemonte e con la collaborazione della Fondazione Promozione sociale e della rivista Prospettive Assistenziali.

Da oltre due anni siamo genitori adottivi di E. Il provvedimento, disposto dal Tribunale dei Minori di Torino su nostra richiesta avanzata nel 2002, è giunto dopo un lungo periodo di affido. E., che oggi ha 16 anni, è entrato nella nostra famiglia quando aveva compiuto da poco un anno, trascorso in gran parte presso una comunità di accoglienza istituita dal Comune di Torino. La situazione in cui si trovava allora la sua famiglia di origine aveva indotto il Tribunale a disporne il ricovero in comunità, delegandone la cura ai Servizi Sociali del Comune, da cui il bambino ci venne poi affidato.
Dopo un primo periodo, caratterizzato da una certa comprensibile diffidenza, i rapporti con la famiglia di origine si sono sviluppati in modo positivo, nonostante il desiderio di riavere  E. al più presto con se manifestato in particolare dalla mamma, cosa che la sua situazione personale e di coppia continuava a sconsigliare  Quando parliamo di famiglia di origine va precisato che da subito il Tribunale aveva disposto il mantenimento dei contatti del bambino solo con la mamma stessa e i genitori di lei, non ritenendo opportuno il coinvolgimento del padre e dei suoi parenti. Gli incontri con la mamma e i nonni materni  sono avvenuti  per alcuni anni in ambiente neutro con cadenza quindicinale (un’ora circa ad ogni incontro). Quando E. aveva da poco iniziato la scuola elementare la mamma è deceduta; non per questo gli incontri con i nonni sono stati interrotti, continuando con le stesse modalità fino a quando, alcuni anni dopo, essi sono tornati a vivere nella loro regione di origine. I contatti sono poi proseguiti allora prevalentemente per telefono; tuttavia in alcune circostanze E. ha potuto rivedere i nonni in occasione di loro visite ai parenti rimasti a Torino, mantenendo così vivo il rapporto che gli era familiare fin dalla più tenera età.
Anche a noi stava a cuore mantenere il collegamento con quella parte della famiglia di origine che in qualche modo non lo aveva mai abbandonato e che manifestava lo stesso interesse. Questo medesimo desiderio lo abbiamo più volte espresso ai giudici con cui abbiamo avuto colloqui durante il lungo iter procedurale per l’adozione, che, anche grazie all’appoggio fornitoci dall’A.N.F.A.A. di Torino, abbiamo richiesto e ottenuto nella formula più piena, quella legittimante, una volta decaduta la patria potestà paterna e realizzatesi le condizioni per aprire la pratica di adottabilità. E’ noto che dal punto di vista giuridico questa formula cancella integralmente i legami dell’adottato con la famiglia di origine, diversamente da ciò che si verifica con quella “Nei casi particolari” ex art. 44 della legge 183/1984 e successive modificazioni, secondo la quale, tra l’altro, E. avrebbe conservato il suo cognome originario da aggiungere al nostro. Vista la buona qualità delle relazioni e nonostante la conservazione del nostro anonimato (in atto fin dall’inizio dell’affido) abbiamo considerato importante e positivo valorizzare il rapporto di E. con le sue radici, aprendoci alle possibilità utili per la sua crescita e il suo equilibrio futuro che da esso potrebbero derivare.
Dopo un buon periodo di riflessione abbiamo così deciso di venire incontro al desiderio più volte espresso dai  nonni di averlo ospite dove essi risiedono attualmente. Nelle nostre rifles­sioni non sono mancati alcuni dubbi e timori per un passo di cui ignoravamo le conseguenze. Come avremmo reagito, lui e noi, in un ambiente e a contatto con una mentalità diversa rispetto alla realtà con cui quotidianamente conviviamo? Nonostante la loro disponibilità al provvedimento di adozione, per di più nella forma più completa, avremmo forse percepito qualche resistenza e/o “rivendicazione” di tipo affettivo, di sangue? Ci saremmo trovati in imbarazzo anche davanti ai famigliari che non avevamo mai conosciuto?
La realtà in cui abbiamo vissuto per alcuni giorni è stata fortunatamente di tutt’altro segno e i nostri timori si sono dissolti davanti a un’ospitalità semplice ma davvero cordiale. Abbiamo percepito, fra l’altro, che c’era stata piena accettazione della nuova condizione di E. e nelle conversazioni è stato fatto solo qualche accenno a momenti significativi vissuti nel lungo periodo precedente. Questo ci conferma la bontà della nostra scelta e ci incoraggia a mantenere il clima positivo e i buoni rapporti  in atto da (quasi) sempre. Non sempre, lo sappiamo, è invece possibile riscontrare una condizione di questo genere nel rapporto tra famiglie affidatarie o adottive e famiglie di origine dei bambini e ragazzi che sono stati affidati alle nostre cure. Siamo fortunati è vero, ma si tratta di una “fortuna” che abbiamo costruito insieme, anche grazie al contributo di chi, più esperto e documentato di noi, ci è stato vicino nei momenti positivi come in quelli di fatica (oltre all’A.N.F.A.A. non dimentichiamo il gruppo di Auto Mutuo Aiuto con cui ancora oggi continuiamo a confrontarci). E’ un motivo di conforto e di speranza in più da mettere a disposizione di E. per la sua crescita il più possibile serena ed equilibrata.
Giovanna e Paolo

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