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NO ALLE CULLE-RUOTA

Sì ALL’ASSISTENZA ALLE GESTANTI E AL NEONATO

Sì AL DIRITTO ALLA SEGRETEZZA DEL PARTO

Con vivissima preoccupazione dobbiamo segnalare le iniziative intraprese in diverse località (Milano, Firenze, Genova, Monza) per l’istituzione di culle termiche presso ospedali cittadini finalizzate, nell’intenzione dei loro promotori a contrastare “l’abbandono dei neonati nei cassonetti”.

Queste iniziative, sostenute e a volte promosse anche da rappresentanti delle istituzioni, ci riportano indietro nel tempi, secoli fa, quando erano state create le “ruote degli esposti” allo scopo di assicurare la sopravvivenza ai neonati che le partorienti non intendevano o non potevano allevare. A nostro avviso, queste culle, pur se attrezzate secondo le tecniche più moderne, hanno lo scopo analogo alle ruote di medioevale memoria e sono, al di là delle intenzioni dei loro promotori, del tutto negative, in quanto non tengono conto né delle esigenze delle donne in gravi condizioni di disagio e dei loro nati, né delle leggi vigenti.

In base alla nostra normativa infatti tutte le donne, comprese quelle sposate (come sancito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 171/19949), hanno la facoltà di non riconoscere il proprio nato e a loro è garantito il diritto a partorire in ospedale in assoluta segretezza.

Il parto in ospedale assicura al neonato e alla donna la necessaria assistenza sanitaria.

Nel caso in cui non sia stato effettuato il riconoscimento, l’atto di nascita del bambino è redatto con la dizione “nato da donna che non consente di essere nominata” e l’ufficiale di stato civile, dopo aver attribuito un nome e un cognome, procede entro dieci giorni alla segnalazione al Tribunale per i Minorenni ai fini della dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge 184/1983.

In tal modo a pochi giorni dalla nascita, il piccolo viene inserito in una famiglia adottiva, scelta dal Tribunale fra quelle che hanno presentato domanda di adozione al Tribunale stesso.

Pertanto la donna che decide di non riconoscere il proprio nato compie una scelta “responsabile” che merita il rispetto di tutti: quel piccolo non è abbandonato, ma viene affidato alle istituzioni perché possa trovare al più presto un papà e una mamma. L’uso della parola “abbandono” nei confronti di bambini non riconosciuti nati in ospedale, è un uso improprio che andrebbe evitato e che rischia di avere ripercussioni, anche gravi, nei confronti dei bambini stessi durante il periodo dell’adolescenza e nella costruzione serena della loro identità.

Iniziative come queste della ruota, non solo sono a nostro avviso totalmente inefficaci a realizzare l’obiettivo che i suoi promotori si prefiggono (nessun neonato è stato fino ad ora deposto nelle culle-ruota già attive ), ma rischiano di incentivare i parti “fai da te” in ambienti inidonei privi della più elementare assistenza sanitaria con gravi pericoli per la salute e la sopravvivenza stessa della donna e del neonato.

Infatti, come è ovvio, le donne in condizione di grave disagio personale e socio-economico non hanno alcuna possibilità di sopportare le spese che comportano i parti a domicilio effettuati con le necessarie garanzie sanitarie per la donna e il neonato: presenza costante di una ostetrica durante tutta la durata del travaglio e nella giornata successiva al parto, possibilità di ricorso all’intervento immediato di un ginecologo e di un neonatologo in caso di complicazioni impreviste, ecc.

Oltre alla garanzia del diritto al parto in segreto, la legge 2838/1928, richiamata dalla legge sulla riforma dell’assistenza n.328/2000, obbliga le Province – a meno che la legislazione regionale abbia attribuito detti compiti ad altri organismi – ad assistere gratuitamente non solo le gestanti in condizioni di disagio personale, sociale ed economico, comprese quelle che vivono clandestinamente nel nostro paese, ma anche i loro nati riconosciuti o non riconosciuti.

Occorre quindi che le istituzioni, in ottemperanza della normativa vigente, garantiscano il sostegno di personale preparato (psicologo, assistenti sociali, educatori, ecc,) che aiuti la gestante prima, durante e dopo il parto, la accompagni a decidere responsabilmente se riconoscere o meno il bambino e la sostenga fino a quando è in grado di provvedere autonomamente a se stessa e, se ha riconosciuto il bambino, al proprio figlio. La donna in difficoltà ha diritto a non essere lasciata sola né prima, né durante, né dopo il parto. Spesso l’intervento assistenziale di supporto è necessario anche per le gestanti e madri coniugate con situazioni personali e familiari difficili.

La Regione Piemonte, anche dietro forte sollecitazione da parte del Coordinamento Sanità-Assistenza di Torino (coordinamento di cui fa parte l’Anfaa) ha trasferito dalle otto Province piemontesi a quattro istituzioni (Comuni di Torino e di Novara, Consorzi dei servizi socio-assistenziali dell’alessandrino e del cuneese) le funzioni relative alle gestanti e alle madri (comprese quelle prive del permesso di soggiorno), nonché ai minori con legge n.16/2006, perfezionata con le disposizioni contenute nella delibera 22-4914 del 18 dicembre 2006

Anche la Lombardia, così come deliberato in altre regioni, con legge regionale 34/2004 ha trasferito queste competenze dalle Province ai Comuni, ma le ha attribuite indistintamente a tutti i Comuni senza individuare specifici comuni capofila come invece più volte richiesto dall’Anfaa, anche in un petizione popolare indirizzata alla Regione. Ma i Comuni di piccole dimensioni non sono in grado di fornire i servizi altamente specializzati che queste situazioni richiedono. E’ pertanto necessario e urgente operare, e sarebbe auspicabile che anche i promotori di queste iniziative, riconsiderando le loro intenzioni in merito all’installazione di nuove “culle termiche”, se ne assumessero l’impegno, affinché anche tutte le Regioni e le Province Autonome deliberino provvedimenti analoghi a quelli approvati dalla Regione Piemonte.

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