Una famiglia affidataria commenta alcuni brani del libro di Emilia De Rienzo “STARE BENE INSIEME A SCUOLA SI PUò?”, alla luce delle proprie esperienze.
Ho pensato di proporre, in questo mio intervento, alcuni spunti di riflessione su situazioni legate alle nostre esperienze di affidamento in riferimento alla scuola.
La nostra famiglia ha iniziato il suo cammino di famiglia affidataria nel 1995 e per diversi anni ha seguito bambini in affidamento diurno.
Nell’affido diurno gli affidatari sono anche un sostegno alla genitorialità e, spesso, si trovano a fare da “ponte” tra la famiglia di origine e gli insegnanti.
I bambini per cui si attiva l’affido diurno (non raramente a percorso scolastico già avviato, anche da diversi anni) sono spesso bambini che hanno difficoltà a relazionarsi con gli altri, che reagiscono con aggressività e rabbia e perciò non sono accettati e accolti nel gruppo.
La loro gestione all’interno della classe è molto complessa e non raramente si sviluppano percorsi paralleli fra il bambino e il resto della classe, con programmi ed attività diverse.
«[…] Gli insegnanti delle elementari ce lo avevano presentato come un “ascolastico”, un bambino “ritardato mentale” e “violento”. Non erano riusciti a tenerlo in classe, la direttrice scolastica gli regalava ogni giorno figurine dei calciatori con il relativo album per farlo star buono. Con l’album delle figurine era arrivato alle medie e nella sua testa la scuola sarebbe continuata così […]» (E. De Rienzo).
Il rapporto delle famiglie di origine con la scuola si presenta spesso problematico. La scuola è vissuta come “una cosa da fare” e, se difficoltà di apprendimento vi sono, è sicuramente “colpa” della scuola.
Con i bambini affidati si procede a piccoli passi e gli obiettivi sono mirati a recuperare inizialmente gli aspetti non tanto scolastici, quanto soprattutto di rapporto affettivo, di fiducia, di apertura e curiosità per il “mondo” e, partendo da ciò che il bambino sa fare, si cerca di puntare sul recupero e lo sviluppo delle sue potenzialità.
Per questo è fondamentale collaborare con gli insegnanti, tenendo conto della storia di ogni bambino, essendo «[…] consapevoli che nessun bambino è uguale ad un altro e che per crescere ha bisogno di intrecciare nella sua vita relazioni significative[…] Non può esserci sviluppo del singolo individuo se questo non è all’interno di una rete, di una situazione di aiuto […]» (E. De Rienzo).
Ci si trova certamente a fare i conti con il senso di impotenza e di frustrazione, con la difficoltà a recuperare, ma sicuramente anche con la gioia della piccole conquiste e dei piccoli (ma grandissimi) obiettivi che si raggiungono.
Dietro tutti questi comportamenti si nascondono spesso bambini che hanno alle spalle situazioni familiari difficili, che fanno i conti con la solitudine profonda di chi ha sofferto e soffre e cerca di nascondere le sue fragilità dietro una corazza.
Di fondamentale importanza è insegnare a tutti i bambini il rispetto e che in classe si crei un buon clima fra i ragazzi. Nel caso di bambini affidati e adottati (ma certamente non solo!), che questi si integrino con i compagni e si sentano accolti, pur fra mille difficoltà, perché spesso sono loro stessi che, provocatoriamente, fanno il possibile per farsi escludere o, comunque, per mettere tutti a dura prova.
Per le due piccole che sono oggi con noi, al momento di iscriverle alla scuola materna il nostro desiderio era di trovare persone in grado di avere nei loro confronti una sorta di “leggerezza” (non certo superficialità) nell’affrontare la loro “storia”, persone che non “appesantissero” eventuali situazioni problematiche, ma persone in grado di essere pazienti di fronte alle possibili difficoltà delle bambine a “fidarsi” e ad allargare la loro rete di relazioni.
«[…] I bambini non sono scatole vuote, essi entrano nella scuola con un loro bagaglio di conoscenze, di sentimenti, di ricordi e di emozioni, di vissuti insomma di cui non si può non tener conto quando ci si accosta loro. E’ da qui che dobbiamo partire. Noi insegnanti dobbiamo imparare a conoscerli. La conoscenza non è, però, semplicemente quella raccolta di dati anamnestici, quell’accumulo di notizie che ci dà l’illusione di sapere già tutto quello che si deve sapere e che soprattutto ci permette di catalogare fin dal primo approccio il bambino in una casella piuttosto che in un’altra. Un accumulo di notizie che invece di tenerci lontano dal pregiudizio, può rafforzarlo. […]» (E. De Rienzo).
Insegnanti, quindi, con cui instaurare relazioni significative per le bambine (collaborazione/dialogo), come ogni genitore, naturale/affidatario/adottivo, desidera, ma all’interno di una relazione di aiuto certamente “particolare”.
La particolarità, la diversità è che stiamo costruendo una storia, la loro storia e non sappiamo (come spesso accade nelle storie di affidamento, a differenza ad esempio dall’adozione) come sarà domani e per quanto tempo sarà.
Le parole chiave AMORE/ FIDUCIA/ SERENITA’/ SOSTEGNO/ PAZIENZA/ CAPACITA’ DI ATTENDERE/ RISPETTO assumono un significato ed un valore molto importante nella loro particolarità.
« […] E’ sempre la pazienza che ci deve guidare, la capacità di attendere, di non perdere la rotta. Il tempo poi fa la sua parte. […]» (E. De Rienzo).
Ho chiesto ad alcune amiche di parlarmi del percorso scolastico dei loro bambini in affido e, in un caso, di adozione.
Ve ne espongo alcune, da cui emergono elementi secondo me molto significativi.
F. 8 anni. Peruviano. In affido dall’età di 4 mesi, adottato dalla stessa famiglia nell’aprile 2006.
«Gli anni della scuola materna sono stati i più impegnativi, in quanto partecipava a degli incontri con la mamma naturale che lo sconvolgevano profondamente. Le insegnanti si sono dimostrate attente ai suoi bisogni e capaci di inserirlo bene nel gruppo. Hanno cercato di non sottovalutare i segnali di malessere, coinvolgendo sempre la famiglia affidataria e l’hanno aiutato nei momenti di crisi che stati molti e molto sofferti.
Con l’inizio della scuola elementare ci sono stati problemi di tipo diverso. Le maestre hanno accolto molto bene il bambino, hanno ascoltato la sua storia spiegandosi così il perché di certi atteggiamenti e gli sono venute incontro nel momento dell’adozione.
Non sempre, però, riescono a comprendere fino in fondo gli stati d’animo causati dai ricordi e dal vissuto del bambino.
Problemi si sono avuti con certi compagni che non hanno saputo accettare la diversità di colore e che fanno battutine continue riguardo a ciò. Le maestre sono poco pronte ad intervenire, anche perché non sempre al corrente dei litigi tra i bambini. Questo aspetto continua ad essere presente ferendo il bambino nonostante le nostre segnalazioni».
M. 7 anni. Marocchino, sindrome di down/ ipovedente. In affido dall’età di 3 anni.
«Inserimento scolastico buono, soprattutto grazie al lavoro di sensibilizzazione e integrazione dei compagni di classe da parte degli insegnanti e al progetto dell’insegnante di sostegno per la comunicazione aumentativa, che permette al bambino di esprimere bisogni e desideri, di poter essere “compreso”, di poter “parlare” con gli altri.».
S. 11 anni. Italiana. In affido dall’età di tre anni.
«Come genitore affidatario penso che sarebbe auspicabile che gli insegnanti non si limitassero a prendere atto della particolare situazione del bambino, dando la colpa a questa se vi sono difficoltà a livello scolastico, ma dovrebbero conquistare la sua fiducia, entrare in confidenza per poterlo aiutare non solo a livello nozionistico. Spesso si riscontrano atteggiamenti di compassione che non solo non aiutano, ma possono diventare nocivi.
La scuola dovrebbe aiutare i bambini a legare fra loro, a capire il valore dell’amicizia ed i ragazzi dovrebbero aver fiducia negli insegnanti.
Non come S. che dopo un litigio con una sua compagna l’ha sentita dire ad un’altra: “Non la voglio più come amica. Del resto non l’ha voluta neanche sua madre…”. E, al suggerimento della mamma affidataria di andare a dirlo alla maestra, sentirsi rispondere: “Non andiamo, tanto è inutile… Mamma, ho il cuore a pezzi…”».
Io credo che non possiamo e forse nemmeno sempre dobbiamo proteggere i bambini da noi accolti dal dolore, dalla sofferenza, dalla frustrazione, ma possiamo e dobbiamo insegnare loro a non ferire gli altri, a rispettare le storie di ognuno. Dobbiamo trasmettere loro il nostro ottimismo anche nelle difficoltà, costruire la fiducia, dare loro speranza.
Nessun bambino dovrebbe sentirsi così solo da pensare che è inutile rivolgersi ad un adulto…. Nessun bambino dovrebbe sentirsi con il cuore a pezzi.
«[…] Per i bambini che hanno avuto un’infanzia difficile tutto è più complicato: il passato è come una nuvola nera minacciosa prima di un temporale: può prendere il sopravvento anche in un cielo sereno e dominare fino a oscurare come un’ombra ciò che ci potrebbe promettere il futuro. Quell’ombra può, quindi, oscurare anche i momenti felici, può diventare invadente, immobile e bloccare ogni sguardo verso l’orizzonte. Quella nuvola potrebbe, però, pian piano anche dissiparsi se si affianca quel bambino che si sente sperduto, se lo si guida giorno dopo giorno, se gli si iniettano nelle vene flebo di fiducia, se quel bambino sente di contare non solo per la propria famiglia, ma anche per la società che è intorno a lui. Solo così passato e futuro possono fondersi in un presente vivo. […] La fiducia e la speranza possono nascere solo nella relazione con chi ci aiuta a vedere le nostre potenzialità, a lavorarci sopra e a trasformarle in progetti. Da solo un bambino ferito non può farcela. Di questo la scuola e chi vi opera dovrebbe prendere coscienza. […]» (E. De Rienzo).
Di questo tutti dovremmo prendere coscienza.
Maria Teresa Scappin