Adozione e affidamento nelle proposte di legge della XV legislatura
di Mauro Meazza
Al Parlamento sta a cuore l’adozione: dall’inizio della nuova legislatura, risultano presentati numerosi disegni di legge (una quarantina, a contare tutti quelli che si occupano anche marginalmente del tema) che, a vario titolo, si propongono di intervenire sui meccanismi normativi che regolano attualmente adozione e affidamento familiare. E tutti, sia dalla maggioranza sia dall’opposizione, dichiarano di voler snellire e velocizzare, chiedendo spesso il varo di percorsi alternativi e affiancando regole supplementari alle procedure attuali.
Sembrerebbe una buona notizia, invece non lo è. Chi si occupa stabilmente di questi temi probabilmente conosce già (grazie agli articoli apparsi su questa rivista), i punti deboli delle singole proposte. Tuttavia, poiché le Camere altro non sono – ci piaccia o no – che il riflesso di ciò che la società italiana sa e può esprimere quando vuole farsi rappresentare, è utile cercare di individuare quali siano i motivi che portano così spesso fuori strada i proponenti. Animati sicuramente dalle migliori intenzioni, e tuttavia preda in molti casi di infortuni logici o di principio che fanno dubitare della loro reale conoscenza delle situazioni.
Con l’analisi che qui proponiamo di queste richieste avanzate dai parlamentari non vogliamo dire che le norme attuali non abbiano bisogno di riflessioni e di cure. Ma che molte energie rinnovatrici potrebbero essere meglio indirizzate.
Proposte e Prospettive
Tra Camera e Senato, risultano presentate trentotto proposte e disegni di legge che si occupano a vario titolo di adozioni e affidamenti, ma solo una quindicina ha un interesse davvero diretto. E in questo comunque vasto ventaglio di idee è possibile distinguere due approcci fondamentali:
– l’approccio “operativo” di chi dichiara di voler modificare solo alcuni meccanismi dell’adozione e dell’affidamento, come nei casi dell’adozione aperta, della revisione dei limiti di età o dell’affidamento internazionale;
– l’approccio giuridico-sociale di chi invece punta a interventi molto più strutturali, quali l’adozione per i single, le coppie omosessuali o eterosessuali conviventi. Qui l’adozione e l’affidamento finiscono per essere un banco di prova per il Codice civile: quasi che, aggredendo il problema per il varco dell’adozione, si possa poi arrivare al riconoscimento che veramente è caro ai proponenti. Quello della legittimazione normativa di situazioni ora collocate fuori dalla legge (non fuorilegge, beninteso).
Va detto anche che, nel complesso delle proposte, si ritrovano in più casi idee già comparse nella legislatura precedente (come la richiesta dell’ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli, di creare sezioni specializzate nei tribunali per famiglia e minori). Questa è una prassi abituale e comprensibile: all’insediarsi delle nuove Camere, dopo le elezioni, progetti e disegni di legge vengono azzerati e i loro proponenti o i successori si incaricano di presentare nuovamente buona parte delle stesse richieste, spesso senza modifiche. Così che le assemblee abbiano modo di riesaminare quel che non si è concluso nel mandato prima.
Solo due tra tutte le proposte presentate risultano formalmente avviate all’esame in commissione, ma il loro esame, a ottobre 2007, non è ancora iniziato. Il che significa che non c’è troppa preoccupazione per il varo delle nuove misure. Ma la condizione di stallo dice e non dice: da una parte, su alcuni di questi disegni di legge pesano considerazioni e prese di posizione molto delicate, poiché con esse si intende modificare profondamente non solo l’adozione ma anche la struttura sociale (come per chi vuole il riconoscimento giuridico delle convivenze, omo ed eterosessuali). E’ comprensibile che su richieste di questa portata i parlamentari prendano tempo; dall’altra parte, però, l’ormai prolungata giacenza nei cassetti delle Camere non significa affatto che esse non trovino – prima o poi, magari attraverso la riunione di più proposte simili – un canale per l’avvio della discussione. Che talvolta, accantonando le questioni più spinose, porta invece all’approvazione di particolari determinanti, come potrebbero essere proprio le innovazioni per adozione e affidamento.
Gli operativi
Nel complesso delle indicazioni di tipo operativo per la modifica della legge 184 si ritrovano molti buoni propositi, accompagnati però da gravi leggerezze. In realtà, anche chi sembra puntare solo a una manutenzione (talora molto pesante) della legge vigente e delle prassi attuali finisce per rivelare una preoccupante sottovalutazione dell’adozione.
La proposta complessivamente più rilevante e compiuta di questo gruppo è quella che vede come primo firmatario l’ex ministro Stefania Prestigiacomo, seguita da un nutrito gruppo di parlamentari dell’attuale opposizione (rubricata come atto camera 911): riproponendo il disegno di legge governativo della passata legislatura, il deputato di Forza Italia prevede l’eliminazione del preventivo accertamento dell’idoneità degli aspiranti genitori adottivi da parte dei servizi sociali, motivata con la necessità di semplificare la procedura per dare risposta “alle istanze di un numero sempre crescente di famiglie e persone che manifestano la propria disponibilità all’accoglienza”; l’estensione ai minori stranieri residenti all’estero della possibilità di adozione ex art. 44 (adozione “nei casi particolari”) della legge 184/83 e l’introduzione dell’affidamento familiare internazionale, motivata anche dalla urgenza di dare risposta alle necessità emergenti a seguito di calamità naturali. Presentano più di un’analogia con questa proposta le richieste che hanno per prima firma la senatrice Maria Burani Procaccini, di Forza Italia: una per l’affidamento familiare internazionale (atto Senato 190) e l’altra in materia di adozione aperta (atto Senato 1007). In tutte queste richieste si affiancano alla volontà semplificatrice alcuni varchi normativi e, prima ancora, concettuali che sembrano davvero non compresi dai proponenti.
Nel caso dell’affidamento internazionale, si vorrebbe di fatto consentire l’aggiramento delle procedure attuali, trasformando i soggiorni in Italia in un’anticamera dell’adozione. Si partirebbe da un affidamento di un biennio, prorogabile più volte, per concludere con una dichiarazione di abbandono o anche di semi-abbandono pronunciata dall’autorità straniera e capace di trasformare l’affidamento in adozione.
Ispirata anche da recenti vicende di cronaca, l’ipotesi dà – come accade purtroppo in molte di queste proposte di legge – molto più valore al diritto della coppia di avere un bambino piuttosto che alla tutela del bambino e della sua vicenda personale. E, sia detto senza polemica, sembra ridurre lo slancio degli aspiranti genitori a un atteggiamento da colonizzatori dei secoli passati.
Per par condicio, va segnalata anche un’analoga richiesta a prima firma del deputato Laura Froner (Ulivo), che ugualmente immagina un affidamento internazionale da tramutare in adozione una volta verificato lo stato di abbandono o di semi-abbandono (atto Camera 1796). Unico correttivo: l’affidamento si dovrebbe rivolgere a minori di età superiore a 9 o 10 anni, in istituto o in condizioni familiari “lesive per la loro crescita”. Il che, tuttavia, conferma i due pregiudizi precedenti: accontentare la coppia, in primis, e rivolgersi agli altri Stati con una presunzione di superiorità, per quanto caritatevole possa essere.
Merita poi una riflessione il concetto di semi-abbandono, che emerge in più casi e che si collega all’adozione aperta o adozione mite, sperimentata (senza seguiti, a quanto risulta) dal tribunale di Bari. In pratica, l’utilizzo dell’adozione in casi particolari per minori non dichiarati adottabili. Il percorso è stato attuato dal tribunale a partire da stati di semi-abbandono: cioè da gruppi familiari che (come specificano le proposte di legge), pur costituendo un riferimento per il figlio, sono “insufficienti e inadeguati”.
Il semi abbandono sta anche alla base della proposta 1007 sull’adozione aperta, che di fatto forza i concetti di affidamento (come presente e regolato dalle leggi vigenti) fino a prefigurare una coppia di genitori supplenti, accanto a quelli d’origine che si trovano in stato di difficoltà. Un’adozione che “dovrebbe avere le caratteristiche di quella legittima, con l’eccezione del mantenimento di rapporti con la famiglia di origine”, per usare la descrizione della stessa senatrice Burani Procaccini. Con quali esiti per i bambini non è dato immaginare, anche se forse ci si vorrebbe ispirare alle famiglie allargate in costante crescita, con primi e secondi coniugi, figli di primi e secondi matrimoni, primi e secondi nonni. Legittimando, a nostro parere, un esperimento pericoloso, perché il rapporto tra un legame di coppia finito male e il successivo è cosa affatto diversa dall’essere genitori di prima e di seconda fascia. E svuota in un colpo sia l’adozione (legittimante ma condizionata) sia l’affido.
In diverse proposte (come quelle che hanno per primo firmatario il deputato Francesco Proietti Cosimi di Alleanza nazionale, assistito da numerosi colleghi di partito, atti Camera 2278 e 2296) si ritrovano poi soluzioni alternative per le procedure di verifica degli aspiranti genitori adottivi, con deleghe più o meno ampie agli enti locali. I cui servizi sociali dovrebbero sostituirsi ai tribunali nel gestire le dichiarazioni di disponibilità all’adozione. Con quali risorse (finanziarie e, soprattutto, umane) non si sa. Una semplificazione che non semplifica, ma sposta i problemi da un ramo all’altro dell’amministrazione. Così come molti deputati e senatori chiedono di rendere più brevi e perentori i termini concessi attualmente per il completamento dei vari stadi della procedura (che tanto lunghi poi non sembrano, dopo la revisione intervenuta nel 2001). E chi si occupa di diritto sa bene che classificare un termine come perentorio serve a poco, se quel termine è di fatto impossibile da rispettare.
Adozione e Altro
Completamente diverso il discorso per tutto quel gruppo di proposte che si occupano di adozione e affidamento solo per dare consistenza a richieste differenti come il riconoscimento delle unioni di fatto e/o di quelle omosessuali. Si tratta per lo più di documenti della maggioranza e talora dell’ala sinistra di essa, come quella (atto Camera 1562) che ha per prima firmataria Titti de Simone e altri colleghi deputati di Rifondazione comunista o quella presentata dal collega di partito Giovanni Russo Spena al Senato (atto Senato 1225).
In casi simili il discorso si fa più scivoloso e complesso. Il rifiuto dell’adozione per le unioni di fatto e le unioni omosessuali può infatti suonare come un atto di discriminazione. E l’Anfaa si oppone da sempre alle discriminazioni, come è facilmente comprensibile immaginando l’esperienza di un’associazione in cui si ritrovano genitori con figli di colore diverso o con handicap anche gravi.
Qui sembra più ragionevole e proficua una lettura diversa: da una parte sta il sentire sociale riguardo alle coppie omosessuali o di fatto. Che non deve cedere alle discriminazioni, ma che forse non è ancora maturo per tradursi in legge o in modifiche al Codice civile (sia detto solo come constatazione, non come giudizio). Su un altro versante stanno i diritti dei bambini che hanno bisogno di una famiglia: il nostro legislatore fa perno su questi diritti, a differenza di quel che accade in altri Paesi. Ma non è detto che la nostra soluzione debba essere giudicata peggiore. Anzi: non c’è niente di male nel riconoscere che, sulla tutela dei bambini, le nostre norme sono migliori e danno più garanzie. E che avrebbero più bisogno di manutenzioni operative, piuttosto che di rivoluzioni culturali.
La centralità dei diritti del bambino è cruciale anche se si affronta l’adozione dei single. Cui sono dedicate diverse proposte, come quelle presentate – da primi firmatari – dal senatore Roberto Manzione (Ulivo) nel ddl rubricato a Palazzo Madama con il numero 276, dal deputato Aleandro Longhi (Comunisti italiani) e dalla collega di partito Katia Belillo (atti Camera 2219 e 1491). Qui la modifica alle leggi vigenti sembra di minore portata, tanto da far apparire l’innovazione più tollerabile. Sulla questione viene citata spesso una sentenza della Corte di cassazione che ha invitato il legislatore a considerare l’eventualità di consentire l’adozione ai single (sent. 6078 del 18 marzo 2006, prima sezione civile).
In effetti, la possibilità per una persona sola di adottare è prevista dalle norme in vigore: la legge italiana consente, come eccezione alla regola, l’adozione a chi non è coniugato in tre situazioni specifiche: nel caso in cui si sia uniti al minore “da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre” (articolo 44, comma 1, lettera a); nel caso in cui il minore sia affetto da handicap e sia orfano di padre e di madre (lettera c); nel caso in cui “vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo” (lettera d). Situazioni in cui o preesiste un forte legame con l’adottante oppure vi sia una reale difficoltà o addirittura impossibilità a trovare una coppia disponibile ad adottare.
L’eventualità è ammessa – come ha precisato la Corte costituzionale nell’ordinanza n. 347 del 2005 – per l’adozione “in casi particolari”, con effetti limitati.
Se l’adozione da parte dei single non è esclusa in toto dalla normativa, resta però un’eccezione. La sua trasformazione in percorso ordinario non convince per almeno tre motivi:
• appare poco utile ai fini pratici (rimandiamo al paragrafo successivo chi obietta che con i single aumenterebbero i nuclei a disposizione per l’accoglienza dei bambini privi di genitori);
• può essere strumentale a un’apertura per coppie di fatto, omosessuali o eterosessuali che siano (quindi si avrebbe una modifica strutturale ben più importante di quella dichiarata);
• preoccupa perché prelude a un atteggiamento sempre più adultista dell’adozione. Quello cioè che vede la possibilità di adottare come un diritto dell’adulto e di conseguenza mette in secondo piano le aspettative (e i diritti, questi sì) del bambino.
Lo stato delle cose
Se lasciamo gli approcci di illusoria semplificazione o di riscrittura delle regole sociali che pervadono le proposte di legge, possiamo utilmente ricordarci di qualche dato incontrovertibile.
Il primo: ci sono più famiglie disposte ad adottare (già confermate dai percorsi dei servizi sociali e dei tribunali) che bambini adottabili. Dal 1995 al 2002 sono state presentate 89.079 domande di adozione nazionale, contro 13.027 pronunce. Nello stesso periodo sono state rilasciati 39.625 decreti di idoneità all’adozione internazionale, ma sono state pronunciate solo 22.851 adozioni. Per rimediare a questi divari, noti a chi si occupa della materia, la legge che nel 2001 ha rivisto le regole sulle adozioni (legge 149/2001) ha previsto la costituzione di una banca dati nazionale dei minori dichiarati adottabili e degli aspiranti genitori adottivi, da realizzare entro il dicembre di quello stesso anno. Ma che è ancora in fase di avvio.
Il secondo dato: ci sono adozioni più complesse che attendono il giusto sostegno economico dagli enti locali e dalle autonomie, perché attualmente il concorso dello Stato si ferma ai dodici anni. Ma solo una Regione ha disposto in materia (il Piemonte, con deliberazione della Giunta regionale n. 79-11035 del 17 novembre 2003). E tutto il tema dei costi da sostenere nel corso di un’adozione non scuote granché gli animi: solo due tra le diverse proposte esaminate (quella dell’ex senatore Luigi Malabarba, atto 56, prima delle sue dimissioni, e quella del deputato Graziella Mascia di Rifondazione) si occupano di un fondo per rimborsare almeno parzialmente le spese sostenute nel corso di un’adozione internazionale.
Il terzo dato: c’è una parità di condizioni tra genitori adottivi e no che viene ancora completata a sprazzi. E’ piacevole segnalare che il disegno di legge per la finanziaria 2008 si preoccupa di proporre nuove regole per i periodi di congedo per maternità e sui congedi parentali in caso di adozione o affidamento. Per chiarire tra l’altro che il congedo di maternità (che spetta alle lavoratrici per un massimo di 5 mesi) in caso di adozioni nazionali deve essere fruito durante i primi 5 mesi successivi all’effettivo ingresso del minore in famiglia, mentre per le adozioni internazionali può essere fruito anche prima dell’ingresso del minore in casa, nel periodo di permanenza all’estero richiesto per incontrare il minore e per gli adempimenti legati alla procedura di adozione (il congedo può essere fruito anche nei primi 5 mesi successivi all’ingresso del minore in Italia). Può essere anche fruito dal padre se la lavoratrice rinuncia. Il disegno di legge propone anche che il congedo parentale spetti per adozioni e affidamenti, consentendone l’uso da parte dei genitori adottivi e affidatari, qualunque sia l’età del minore entro 8 anni dall’ingresso del minore in famiglia e, comunque, non oltre il raggiungimento della maggiore età. Finalmente, il legislatore prende coscienza di alcune dimenticanze normative.
Il quarto dato: il limite di età tra adottanti e adottato, già innalzato dalla revisione del 2001 e che più di una proposta vorrebbe ulteriormente elevare. Ma dalla “Relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001” predisposta dai Ministeri di Giustizia, Lavoro e Politiche sociali nell’aprile 2005 si apprende che molti Tribunali (Bologna, Caltanisetta, Catania, L’Aquila, Milano, Palermo, Potenza, Salerno, Torino e Trieste) lamentano il fatto che l’innalzamento a 45 anni della differenza massima di età, ulteriormente derogabile in particolari situazioni e la conseguente aspettativa di poter adottare bambini piccoli, ha «diminuito la disponibilità delle coppie “anziane” ad adottare bambini più grandi o con particolari patologie».
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