torna all’indice del Bollettino 04/2006 – Ottobre / Dicembre 2006

Riportiamo qui di seguito due lettere inviate al Direttore di “La Repubblica” a commento dell’articolo del 4 gennaio u.s. che riportava la notizia della tragica morte per suicidio di una ragazzina di quindici anni.

 

“Ragazzina adottata si impicca a 15 anni” Così recitava ieri la locandina del vostro giornale!

Ancora una volta !

Ancora una volta il termine “adottato” è stato usato per discriminare, per fare notizia, come se la morte per suicidio di una ragazza di 15 anni non bastasse più a risvegliare i nostri animi, adagiati nell’indifferenza verso questo dramma!

Forse se non fosse stata “adottata” non si sarebbe suicidata?

Oppure lo status di adottato serve a definire un’etnia diversa, come quando, ormai troppo spesso, definiamo i “diversi” come neri, cinesi, pakistani, albanesi…

Io ho due figlie, Signori miei, e grazie a Voi scopro che esse sono di etnia “adottate”!

Il loro paese d’origine allora è l’Adottonia e questi “adottati” hanno anche il brutto vizio di emigrare nel nostro paese, invece che rimanersene al calduccio nel “loro” istituto, là, nella “loro patria”!

NO!

Non ne posso più di chi usa il termine Adozione (che legittima, per legge, una persona ad essere definita solo e soltanto Figlio) per discriminare!.

L’Adozione, per legge e per amore, rende Figli e da quel momento in poi un Figlio ha diritto ad essere definito figlio e basta!

Piangiamo quindi questa Figlia, figlia e basta, siamo vicini ai suoi Genitori, genitori e basta!

Mirko Landi

Anfaa – Sezione Toscana

 

 

“Ragazzina adottata si impicca all’età di quindici anni”. E’ il titolo dell’articolo e della civetta esposta nei pressi delle edicole.

Una sassata, un pugno nello stomaco, non si può essere indifferenti. Non si può non comprare il giornale. Mettiamo da parte l’ultima affermazione che porterebbe a tristi riflessioni sulla mercificazione del dolore e sullo sciacallagio che si opera sui sentimenti delle persone e poniamo alla sua attenzione la sottolineatura dell’aggettivo “adottata”

Siamo un coordinamento regionale toscano di associazioni che si occupano di tutela e promozione dei diritti dei bambini. Il nome che il coordinamento si è dato, parafrasando il motto latino “ubi maior minor cessat”, vuole proporre un ribaltamento di prospettiva in materia di tutela dei diritti dell’infanzia, e significare che il diritto dell’adulto deve cedere, comunque, il passo di fronte al preminente interesse del bambino. Vuole anche indicare che, laddove vi è un minore in difficoltà, è necessario che si investano risorse e si sviluppi un coordinamento di interventi a sua difesa: ubi minor ibi tutor.

Nel caso del figlio adottivo noi pensiamo che, dal momento in cui questi diventa figlio ed è amato come figlio, non debba poi essere descritto con aggettivi come naturale, legittimo, adottivo. Alla storia privata di ciascuno è dovuto grande rispetto ed ogni fatto che lo coinvolga e che abbia una rilevanza per la comunità deve essere trattato con la dovuta correttezza e delicatezza.

La titolazione su menzionata sembra veicolare l’idea che adottivo è associato a uno stereotipo negativo, come se l’adozione fosse causa o concausa di comportamenti censurabili. Fa pensare alla cultura che distingue figli di serie B, cui qualche volenteroso tenta di “far del bene”. I figli non si distinguono per serie, si amano ciascuno col proprio nome e possiamo solo sperare che, nello spazio di libertà in cui ciascuno gioca la propria vita, ogni figlio costruisca il massimo di bene per sé e per gli altri.

Difficile sapere dove affonda le sue radici il disagio di un adolescente, chiunque esso sia, che abbia vissuto in una famiglia tranquilla senza traumi o abbia dovuto affrontare situazioni più o meno problematiche; quali “no” remoti ha dato al processo di crescita, di chi sono le responsabilità del buio che lo porta a tragiche conclusioni.

In ogni caso la tragica morte della ragazzina interpella le istituzioni, la scuola, i servizi sociali, la società civile, “mass-media compresi”, invitando tutti a riflettere su quanto è ancora necessario fare per favorire l’integrazione e per contrastare preoccupanti tendenze razziste che affiorano nel paese.

Annamaria Columbu

Portavoce di Ubi Minor

 

 

Qui di seguito riportiamo la lettera a firma di Fabrizio Papini, Anfaa – Sezione Toscana pubblicata su “Toscana Oggi” del 15 ottobre 2006 e la risposta di Claudio Turrini, Direttore della Rivista in merito alla vicenda di “Maria”, la bimba bielorussa trattenuta in Italia dai coniugi Giusto che l’avevano ospitata per un soggiorno climatico temporaneo e poi ritornata in Bielorussia dietro richiesta delle autorità di quel paese

 

Abbiamo molto apprezzato la risposta che Claudio Turrini ha dato a un lettore (“La margheritina bielorussa” – Toscana Oggi 24 settembre 2006)

L’adozione ha bisogno di regole. Per quanto riguarda l’adozione internazionale, la legislazione si fonda sulla Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993, ratificata dall’Italia con legge 476/1998. La Conven­zione ha stabilito percorsi trasparenti e controllati, eliminando il “fai da te” e le “adozioni selvagge” che caratterizzavano il passato.

Spesso, nella vicenda dolorosa della piccola bielorussa, la tenerezza ha fatto velo alla correttezza dell’informazione. Su alcuni giornali si sono confusi i soggiorni climatici temporanei con l’adozione internazionale, si sono qualificati “genitori adottivi” i coniugi ospitanti, si è creato lo “status” fantasioso del “nonno adottivo”.

Non si trovano parole per esprimere l’orrore e l’indignazione per le violenze che si consumano negli istituti. Ma è anche motivo di grave preoccupazione che qualcuno, dietro l’alibi umanitario, pensi di utilizzare l’accoglienza sanitaria “reiterata” poer aggirare i giusti controlli che la legge prescrive. Spesso si tratta di persone che non hanno i requisiti per poter adottare o che cercano una scorciatoia per l’adozione. E’ utile ricordare che questi requisiti sono stati stabiliti nell’interesse prioritario del minore, non dell’adulto.

 

Quando si affrontano temi così delicati – come le adozioni – sulla base delle emozioni (o della politica) si rischia di fare molta confusione. Una cosa sono le adozioni, altra cosa gli affidi temporanei, altra ancora i soggiorni climatici: in quest’ultimo caso la famiglia che ospita temporaneamente un minore – e in questi anni ne sono arrivati 30mila dalla Bielorussia,, dopo l’incidente di Chernobyul – non deve mai confondere il suo ruolo con quello della famiglia naturale, anche quando- come nel caso di Maria, che viveva in un orfanotrofio – quest’ultima purtroppo è assente. Il fatto che abitualmente chiamasse “babbo” e “mamma” i coniugi Giusto dimostra l’ambiguità del rapporto instaurato. Non voglio giudicare questa coppia, perché ho rispetto per i loro sentimenti, ma credo che, pur animati dalle migliori intenzioni, abbiano anche sbagliato a nascondere per settimane la piccola. Tanto di cappello a chi si mette in gioco per il bene degli altri, ma tutto quello che potevano ottenere era che la bambina fosse tolta dall’orfanotrofio dove aveva subito delle violenze a che fosse seguita da un equipe di medici e psicologi come aveva stabilito il Tribunale dei minori. Pensare di “rapirla” foss’anche a fin di bene, era sbagliato. Quanti bambini abbandonati ci sono nel mondo? Potremmo permettere ad una coppia di portarseli a casa di nascosto, senza il permesso delle autorità di quel Paese e senza l’idoneità necessaria ad adottare?

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