torna all’indice del Bollettino 04/2006 – Ottobre / Dicembre 2006

No alla richiesta del Comune di Torino di aprire nel Cottolengo di Torino un reparto per bambini con handicap gravissimi e rilevanti esigenze sanitarie.

Su La Stampa del 22 agosto 2006 è apparsa la notizia che il “il Cottolengo di Torino, su richiesta del Comune, ha accettato di allestire un reparto apposito” destinato ai bambini colpiti da gravi handicap e con rilevanti esigenze sanitarie.

Attualmente questi fanciulli sono ricoverati a Tortona, creando notevoli problemi ai loro genitori che, per poter stare vicino ai loro figli, devono spostarsi da Torino.

Numerose sono state le prese di posizione contrarie all’istituzione da parte del Cottolengo del reparto di cui sopra.

Tra gli altri sono intervenuti: il Csa (Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base) Roberto Tarditi (presidente dell’Associazione “Mai più istituti” e un gruppo di genitori adottivi e affidatari dell’Anfaa (lettera che riportiamo qui di seguito).

L’Assessore ai servizi sociali del Comune di Torino, Marco Borgione, nella lettera pubblicata su La Repubblica del 24 settembre 2006 ha rilanciato “il progetto proposto alla Piccola Casa della Provvidenza di Torino”

All’Assessore Borgione ha replicato Vincenzo Bozza , Presidente dell’Utim con la seguente lettera: “Ringrazio l’Assessore ai servizi sociali del Comune di Torino per l’apprezzamento rivolto alle famiglie e alle associazioni che promuovono i diritti dei disabili. Ma è proprio sui diritti che non siamo d’accordo con lui. L’Assessore infatti mette in risalto con la sua lettera le numerose iniziative del Comune di Torino quali gli assegni di cura, gli affidi diurni, i sostegni educativi specialistici e altro, ma dimentica di dire però che il suo Assessorato non ha mai promosso una delibera comunale con la quale riconoscere il diritto esigibile delle persone disabili ai servizi di cui parla.

“La legge regionale n. 1/2004 che sancisce una serie di diritti per queste persone resta di difficile utilizzazione se poi i Comuni o i Consorzi di Comuni non assumono con deliberazioni proprie, come ha fatto ad esempio il Consorzio o i Consorzi di Collegno-Grugliasco(To), l’obbligo di fornire i servizi alle persone in difficoltà che ne fanno richiesta. Ancora oggi, ad esempio, non è affatto garantito in città un posto in comunità alloggio ad un disabile intellettivo grave di cui la sua famiglia non è più in grado di occuparsi.

“Sono stati molto numerosi nell’ultimo anno e in quello in corso i ricoveri effettuati lontano da Torino e dalle famiglie, in strutture ubicate in provincia di Alessandria, Biella ed altre che peraltro non sono nemmeno simili ad una comunità alloggio, ma sono la riedizione moderna dei vecchi istituti.

“Anche il progetto proposto dall’Assessore ai servizi sociali Marco Borgione alla Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino ci vede nettamente contrari. Già la signora Marina Cometto, Presidente dell’Associa­zione per disabili gravissimi “Claudia Bottigelli”, il 3 settembre scorso ha evidenziato serie perplessità nel merito e proposto in alternativa piccole strutture di tipo familiare dove ospitare i minori in stato di abbandono. Io voglio aggiungere che le persone di cui si parla sono bambini che hanno gravi malformazioni e gravi problemi sanitari, Necessitano perciò, in primo luogo, di interventi di tipo sanitario. Se il Servizio sanitario regionale riversa sulle famiglie il carico di queste persone, ad avviso dell’Utim, l’Assessore invece di sostituirsi alle manchevolezze della sanità, dovrebbe affiancarsi loro ed aiutarle a rivendicare il diritto alle cure sanitarie che, ricordiamolo, sono obbligatorie come precisano la Costituzione e le leggi nazionali, al contrario dell’assistenza che, seppure è riconosciuta come un diritto dalla Costituzione, finora nessuna legge ordinaria l’ho resa esigibile. Così come del resto non ha fatto finora nemmeno il Comune di Torino”

Lettera aperta al sindaco di Torino, all’Assessore ai servizi sociali del comune di Torino, al direttori delle Asl di Torino, alla Presidente della IV Commissione consiliare, all’Assessore al welfare della Regione Piemonte, all’Assessore alla Sanità della Regione Piemonte, al Presidente del Tribunale per i minorenni del Piemonte-Valle d’Aosta, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.

Abbiamo appreso con sconcerto che il Comune di Torino ha proposto alla Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino di aprire un reparto per i bambini malati e/o portatori di handicap gravi.

Siamo amareggiati ed arrabbiati. Ci sembra che tutto il lavoro e l’impegno che abbiamo messo per inserire nella nostra famiglia bambini in condizioni analoghe, che tutta l’esperienza che abbiamo accumulato, che tutti i risultati positivi che abbiamo ottenuto, non abbiano trovato né ascolto né attenzione. Il Comune vuole voltare pagina ed invece di lavorare per fare uscire dagli istituti quei bambini che ancora vi si trovano (pensiamo ad esempio ai 40 ancora ricoverati al Piccolo Cottolengo Don Orione di Tortona….) torna a lavorare per la loro segregazione.

Noi come famiglie affidatarie e adottive abbiamo sempre creduto che ogni minore abbia diritto di vivere nella propria famiglia d’origine e, in assenza di questa, in una sostitutiva, affidataria o adottiva. Se proprio si rende necessario un ricovero, questo deve essere effettuato in una piccola comunità, di tipo familiare, non certo in un istituto o in una RSA. Il superamento del ricovero in istituto vale anche per loro!

Se si tratta poi di bimbi con problemi prevalentemente sanitari, la gestione deve essere di competenza sanitaria per assicurare loro tutte le cure di cui necessitano, sull’esempio positivo delle comunità aperte dall’ASL 3.

Tutti hanno diritto a essere amati e accuditi per poter crescere, e questo vale anche e soprattutto per i minori portatori di handicap o affetti da malattie che condizionano le loro possibilità di vita.

Le nostre esperienze ci hanno insegnato che bisogna superare il pregiudizio che porta a definire un bambino “incurabile” in base al quale si stabilisce un limite di tempo oltre cui non sarebbe più possibile ottenere risultati positivi. Uno degli stereotipi da combattere è l’eterno ritornello “a questo punto, per lui, non c’è più nulla da fare” Non esiste nessun limite se non nell’idea di chi non sa come affrontare i problemi o di chi crede di non poter fare di più.

Non vogliamo certamente negare né l’esistenza di limiti oggettivi nello sviluppo di determinati bambini né le difficoltà conseguenti: intendiamo piuttosto affermare che qualcosa si può sempre fare per spostare tali limiti, ma che questo è possibile farlo solo se i bambini possono essere inseriti in un ambiente normale, famigliare, che li stimoli, li affianchi, regali loro il calore necessario perché si possa mettere in moto la voglia di provare.

Molti genitori di bambini handicappati sono oggi attivi, hanno imparato a vivere la nascita di un figlio handicappato non come una sconfitta ma come una sfida, e lottano per affermare i diritti dei più deboli a vivere una vita degna di questo nome. Questi genitori si sono ribellati all’”inevitabile”, hanno cercato percorsi nuovi mai battuti prima: hanno lottato per una reale integrazione scolastica, per un lavoro, per dare, insomma, ai loro figli una vita il più possibile normale e hanno ottenuto risultati spesso insperati.

In questa direzione si sono mossi anche genitori come noi che hanno adottato o preso in affidamento un bambino handicappato o malato, spinti dal desiderio di un concreto, quotidiano impegno nella consapevolezza che lottare per questo figlio “diverso”, vuol dire dare un contributo alla realizzazione di un mondo più giusto, più umano per tutti!.

Ci aspettavamo e ci aspettiamo più aiuti dalle istituzioni, più impegno perché molti diritti affermati sulla carta diventino finalmente esigibili; interventi concreti e mirati per sostenere a domicilio le famiglie d’origine, adottive o affidatarie, sia a livello sociale che sanitario; più ascolto e attenzione dal mondo della scuola, nella direzione dell’integrazione piuttosto che in quella della segregazione, l’abolizione delle barriere architettoniche che ancora esistono senza che nessun se ne preoccupi….

Il diritto alla vita tanto declamato in questi ultimi tempi dovrebbe voler dire dare il diritto a tutti i bambini non solo di nascere, ma anche di vivere una vita non priva di quegli affetti e di quel calore che solo una famiglia può dare. Un bambino per quanto menomato sente, soffre, si emoziona come o molto di più dei bambini cosiddetti normali!.

Certo le famiglie lasciate sole possono arrivare alla disperazione e chiedere di poter ricoverare il proprio figlio, sopraffatte anche dalle quotidiane difficoltà materiali e psicologiche,

Bene, piuttosto, lavoriamo perché le famiglie possano non sentirsi più abbandonate e possano affrontare con serenità le difficoltà che man mano si presentano, lavoriamo per accogliere i bambini soli.

Crediamo che nessuno possa considerare la vita in istituto una soluzione e di sicuro nessuno la desidera per il proprio figlio, al massimo può sceglierla perché disperato e solo. Perché allora la si vuole offrire a chi ha già avuto così poco?

Chi ha una responsabilità politica quando sceglie una soluzione piuttosto che un’altra rivolta a minori o comunque a persone deboli, forse dovrebbe chiedersi se è quello che vorrebbe per il proprio figlio. Se impariamo a sentirci un po’ genitori di tutti i figli della nostra generazione forse siamo più attenti a trovare delle soluzioni giuste e siamo più in grado di trovare le risorse necessarie per concretizzare quei diritti che nessuno nega siano di tutti.

Vilma e Giuseppe Alì, Giulia Basano, Silvia e Elio Calza, Catia Fanton, Lidia e Giovanni Giulio e gruppo Anfaa Torino

Aggiornata la Carta di Treviso. Maggiore tutela nell’informazione on line

Il Garante della Privacy ha dato il suo consenso alla nuova versione della carta di Treviso, cioè alla serie di norme che regolano la tutela dei minori nell’attività giornalistica, con la delibera datata 26 ottobre 2006, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 13 novembre scorso.

E’ questo il secondo ritocco che l’Ordine nazionale dei giornalisti e la Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana) fanno alla prima stesura del 1990, visto che un primo restyling c’era stato già nel 1995 con la pubblicazione di un’integrazione, cioè il “Vademecum Treviso ‘95”.

Il documento rappresenta un’ulteriore passo in avanti verso la più profonda tutela dei diritti di anonimato e riservatezza dei bambini e dei ragazzi protagonisti o semplici testimoni di fatti di cronaca. Esso è stato approvato dal Consiglio nazionale dell’Ordine nella seduta del 30 marzo 2006, tenendo anche conto delle osservazioni e delle indicazioni formulate dal Garante, soprattutto per quello che concerne il mondo di Internet e dei nuovi media. Infatti, il nuovo testo prevede che le norme devono essere applicate “anche al giornalismo on-line, multimediale e ad altre forme di comunicazione giornalistica che utilizzino innovativi strumenti tecnologici per i quali dovrà essere tenuta in considerazione la loro prolungata disponibilità nel tempo”.

Tutto questo, come viene sottolineato nella nuova carta di Treviso, fermo restando il diritto di cronaca in ordine ai fatti e alle responsabilità, ma ricercando “un equilibrio con il diritto del minore ad una specifica e superiore tutela della sua integrità psico-fisica, affettiva e di vita di relazione”.

Nella carta, infine, si legge che l’Ordine dei giornalisti e Fnsi si impegnano pure a richiamare i responsabili delle reti radiotelevisive, i provider e gli operatori di ogni forma di multimedialità ad una particolare attenzione ai diritti del minore, anche nelle trasmissioni di intrattenimento, pubblicitarie e nei contenuti dei siti Internet.

Tratto da il Redattore Sociale

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