L’ADOZIONE MITE: una iniziativa allarmante del Tribunale per i minorenni di Bari,
mai autorizzata dal Consiglio Superiore
della Magistratura
Il Consiglio Superiore della Magistratura,
contrariamente a quanto più volte scritto ed
affermato dal Presidente del Tribunale per i
minorenni di Bari Franco Occhiogrosso, non
ha mai autorizzato la “sperimentazione”
dell’adozione ”mite”. Infatti, il Segretario
generale del Comitato di Presidenza del
Consiglio Superiore della Magistratura, rispondendo il 23 maggio 2006 in merito alla “Nota
in data 7.10.2005 dell’Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie relativa alla
delibera consiliare del 2.7.2003 concernente
l’istituzione del servizio per adozione mite”
ha segnalato che “la Settima Commissione,
nella seduta del 16.5.2006, con riferimento
alla nota in oggetto indicata, ha deliberato di
comunicare che il Consiglio non ha autorizzato
la prassi giudiziaria per ”l’adozione mite”
presso il Tribunale per i Minorenni di Bari,
essendosi limitato a prendere atto della nota
in data 6.5.2003 del Presidente di quel Tribunale con la quale veniva comunicato che era
stata istituita “l’adozione mite”, trattandosi,
peraltro, di attività giurisdizionale e di interpretazione di norme giuridiche su cui il C.S.M.
non ha alcuna competenza”.
Nella nota sopraccitata, l’Anfaa ha brevemente riassunto i motivi per cui si è opposta
e si oppone all’adozione “mite”, che non solo
svalorizza l’adozione legittimante ma rischia
di sottrarre arbitrariamente i figli a genitori
che pur mantengono con loro validi rapporti
affettivi e di pregiudicare gravemente lo sviluppo dello stesso affidamento familiare.
NUOVO PROCEDIMENTO PER L’ACCERTAMENTO DELLO STATO DI ADOTTABILITA’
A distanza di cinque anni dalla frettolosa
approvazione della legge n. 149/2001 con
cui sono state apportate preoccupanti modifiche alla legge n. 184/1983 in materia di
adozione e affidamento dei minori, che l’ANFAA ha molto contrastato, è stata approvata
la legge 12 luglio 2006 n. 228 che, all’art. 1,
proroga al 30 giugno 2007 l’entrata in vigore
del nuovo procedimento relativo all’accertamento dello stato di adottabilità dei minori
previsto dal titolo III, capo II della suddetta
legge n.149/2001. Resta quindi ancora in
vigore la procedura prevista dalla legge n.184
/1983. Ricordiamo che la nuova normativa
prevede che la segnalazione dei minori in
possibile stato di adottabilità sia indirizzata
non più al Tribunale per i minorenni ma al
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni (art. 9, comma 1), il quale
la trasmette al Tribunale per i minorenni, se
ritiene vi siano i presupposti di legge per
chiedere l’apertura del procedimento di adottabilità.
L’art. 8 prevede inoltre che questo procedimento debba svolgersi con l’assistenza legale
del minore e dei genitori o degli altri parenti
che abbiano rapporti significativi con il minore
stesso; inoltre, fin dall’ apertura del procedimento, i genitori del minore devono essere
invitati dal Tribunale per i minorenni a nominare un difensore che potrà partecipare a tutti
gli accertamenti disposti dallo stesso Tribunale; essi, con l’assistenza del difensore,
potranno “presentare istanze anche istruttorie
e prendere visione ed estrarre copia degli atti
contenuti nel fascicolo previa autorizzazione
del giudice” (art.10, comma 2). Un aspetto
indubbiamente positivo delle modifiche introdotte sono l’eliminazione di un livello di giudizio
( e cioè del ricorso prima previsto presso lo
stesso Tribunale per i minorenni) , e la definizione di tempi certi per la dichiarazione
definitiva dell’adottabilità: i ricorsi in Corte di
appello e in Cassazione devono infatti essere
discussi entro sessanta giorni dal deposito
degli atti. La nuova normativa prevede, inoltre,
che la Sezione per i minorenni della Corte di
appello debba depositare la sentenza entro
quindici giorni dalla sua pronuncia.
Tutte queste positive innovazioni però non
sono purtroppo ancora vigenti!….
IL CAMBIO DI ENTE NON INTERROMPE
LA PROCEDURA ADOTTIVA
Nei primi sei anni di applicazione della legge
si è venuti a conoscenza delle difficoltà che
possono insorgere nel corso della procedura
di adozione all’estero, per cause non riconducibili alla volontà della coppia o all’operato
dell’ente. Si può verificare, inoltre, in alcuni
casi, il venir meno del rapporto di fiducia fra
ente e coppia o il mancato stabilirsi di un’adeguata comunicazione.
La Cai ha tenuto conto di tali difficoltà e,
venendo incontro alle istanze delle famiglie,
ha accolto le richieste di cambio ente.
All’esito però dell’esperienza maturata, nel
corso dell’incontro annuale con le Autorità
giudiziarie minorili svoltosi il 28 giugno u.s.,
è stato stabilito che il cambiamento di ente
non determina l’interruzione della procedura
adottiva e che permane l’efficacia del decreto
di idoneità. Pertanto, si è deciso di richiedere
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sia all’ente originariamente incaricato, sia a
quello successivamente individuato, una relazione sui motivi che hanno determinato tale
scelta, da inoltrare, per le valutazioni di competenza, alla CAI e alla Procura della Repubblica presso il competente Tribunale per i
minorenni. E’ di tutta evidenza che le famiglie
devono essere consapevoli delle difficoltà
che possono insorgere in un Paese straniero
e che, quindi, la scelta di cambiare ente
autorizzato deve essere ponderata. Il cambio
ente può determinare un allungamento dei
tempi di conclusione dell’adozione, dovendo
l’ente ricevente rispettare l’ordine di registrazione delle coppie in carico; inoltre, vi sono
alcuni servizi già resi dall’ente cui è stato dato
il primo incarico il cui costo va, comunque,
corrisposto. L’ente autorizzato deve essere
sempre consapevole delle aspettative e delle
preoccupazioni delle famiglie ed è tenuto,
perciò, al rispetto degli impegni assunti.
(Tratto dal Notiziario della Commissione per le adozioni
internazionali n. 2, 2006)
ESTESA AL PADRE LIBERO PROFESSIONISTA L’INDENNITA’ DI MATERNITA’
Il padre libero professionista ha diritto a
percepire l’indennità di maternità. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza
del 14.10.2005 n. 385. Illegittime quindi le
norme di cui agli artt. 70 e 72 del DLGS n.
152 del 2001, attuativo della legge n. 53 del
2000 in materia di tutela a sostegno della
maternità e paternità nella parte in cui non
prevedono che il diritto alla indennità per
l’astensione dal lavoro spetti anche al padre
libero professionista. In particolare, la Consulta
statuisce il diritto del padre a percepire, in
alternativa alla madre, l’indennità di maternità
a prescindere dalla verifica in concreto dell’attività esercitata.
I giudici rilevano come il DLGS n. 151 del
2001 ha testualmente riconosciuto il diritto
all’indennità al padre adottivo o affidatario
che sia lavoratore dipendente, “escludendo,
viceversa coloro che esercitino una libera
professione, i quali non hanno, perciò, la
facoltà di avvalersi del congedo, e dell’indennità, in alternativa alla madre”.
Tale discriminazione rappresenta, secondo
il giudizio della Consulta, un vulnus “sia del
principio di parità di trattamento tra le figure
genitoriali e fra i lavoratori autonomi e dipendenti (per i quali il diritto è, viceversa, contemplato), sia del valore della protezione della
famiglia e della tutela del minore”. Il riconoscimento ai genitori adottivi e affidattari dei
medesimi diritti riconosciuti ai genitori biologici
è avvenuto gradualmente, in particolare: la
legge 903/1977, come successivamente modificata, ha esteso alla lavoratrice madre
adottiva o affidataria il diritto alla astensione
obbligatoria post partum e all’astensione
facoltativa, prevedendo inoltre che il padre
lavoratore, anche adottivo o affidatario, possa
usufruire dell’astensione facoltativa; le leggi
546/1987 e 379/1990 hanno riconosciuto alle
lavoratrici autonome e alle libere professioniste
l’indennità di maternità anche in caso di adozione o affidamento preadottivo.
L’evoluzione normativa e la giurisprudenza
costituzionale, secondo la Corte, hanno ormai
da tempo spostato l’originario baricentro degli
istituti nati a salvaguardia della maternità.
Essi infatti non hanno più il precipuo ed esclusivo fine di proteggere la donna nel suo particolare stato di gravidanza e puerperio, ma
sono ormai destinati alla difesa del preminente
interesse del bambino, inteso ora come necessità di soddisfazione “delle esigenze di
carattere relazionale e affettivo che favoriscono l’armonico e sereno sviluppo della personalità del minore e non solo alla soddisfazione
dei soli bisogni fisiologici” (Sent. 179/1973)
Simile obiettivo di tutela è raggiungibile,
secondo la Corte, solo riconoscendo a entrambe le figure genitoriali la possibilità di
assistere il bambino nella delicata fase del
suo inserimento nella famiglia. Ciò a maggior
ragione nei casi di adozione e affidamento,
ove l’astensione dal lavoro non tutela la salute
della madre, ma serve ad agevolare il processo di formazione e crescita del minore, Pertanto, osserva la Corte Costituzionale nella
sentenza in esame “Occorre garantire un’effettiva parità di trattamento a fra i genitori –nel
preminente interesse del minore– che risulterebbe gravemente compromessa ed incompleta se essi non avessero la possibilità di
accordarsi per un’organizzazione familiare e
lavorativa meglio rispondente alle esigenze
di tutela della prole”. La violazione del principio
di uguaglianza, continua la Corte “appare
ancora più evidente se si considera che il
legislatore ha riconosciuto tale facoltà ai padri
che svolgano un’attività di lavoro dipendente”
e che le differenze, pur sussistenti, fra queste
due categorie di figure “non riguardano, certo
il diritto dei padri a partecipare alla vita familiare
in egual misura rispetto alla madre”.
Dalla sentenza in esame, dunque, emerge
che solo l’effettiva parità di trattamento tra i
genitori (fra madre e padre, tra genitori biologici
e adottivi) può costituire la garanzia che simili
scelte siano adottate nel precipuo interesse
del minore. Avv. Sibilla Santoni – Anfaa Firenze
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