Il 31 dicembre 2006 è la data prevista dalla legge 184/1983 per il superamento del ricovero in istituto: manca poco, ma ci sono ancora gravi inadempienze da parte delle istituzioni, che renderanno difficile la realizzazione del dettato della legge.
Vogliamo pertanto richiamare l’attenzione sui minori ancora presenti in strutture residenziali per sollecitare l’attivazione degli interventi necessari per assicurare loro il diritto di crescere in famiglia.
La legge ha definito delle priorità di intervento per cui il minore ha innanzitutto diritto ad essere educato nell’ambito della propria famiglia e ha precisato che le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia e che a favore della famiglia d’origine vanno disposti interventi di sostegno e di aiuto. Si tratta purtroppo di affermazioni di principio che, come più volte rilevato, non sanciscono alcun diritto esigibile. Non sono state inoltre attivate in parallelo adeguate politiche familiari relative a problemi quali quelli della casa, del lavoro, per cui ci sono persone che, per mancanza di un’abitazione e di adeguati turni lavorativi sono costrette a istituzionalizzare i loro bambini. Vanno dunque messi a disposizione delle famiglie in difficoltà quegli aiuti e quell’assistenza necessari a permettere la permanenza del bambino nel suo nucleo famigliare.
Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo deve essere prioritariamente affidato ad un’altra famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno precisando che quando non è possibile l’affidamento è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto. I minori di anni sei possono essere inseriti solo presso una comunità di tipo familiare. Richiamiamo anche il diritto del minore in stato di adottabiltà di essere al più presto dichiarato adottabile e inserito in una famiglia idonea.
Dunque secondo questa scala di priorità giustamente determinata dalla legge è necessario che sia promosso l’affidamento familiare, che vengano istituiti appositi sevizi per gli affidi dotati di personale preparato e in numero sufficiente a garantire il sostegno sia alla famiglia di origine che a quella affidataria. Sicuramente il numero delle famiglie che si rendono disponibili per l’affidamento è di gran lunga inferiore a quelle che danno la loro disponibilità per l’adozione, ma questo avviene soprattutto perché le istituzioni spesso fanno ben poco per sensibilizzare, formare e seguire gli affidatari e per sostenere nel contempo le famiglie di origine.
Negli istituti, anche quelli più moderni, a dimensioni ridotte, forniti di specialisti, aperti all’esterno, i bambini e i ragazzi non possono trovare una risposta qualitativamente analoga a quella che hanno nella relazione con persone che vivono e condividono la loro stessa vita. Se la permanenza del bambino si protrae troppo a lungo, anche la comunità alloggio – pur necessaria specialmente per rispondere alle emergenze – può presentare le stesse caratteristiche negative per i minori: anonimato, rotazione degli operatori, carenza di legami stabili.
Daniele ci dice di quando viveva in istituto: “Andavo male a scuola non perché fossi stupido… ma perché non mi interessavo a niente. Come puoi interessarti a qualcosa, se a nessuno importa quello che fai o non fai? Che me ne frega di studiare? Ma se non mi fregava niente nemmeno della vita…”.
A rendere non idoneo un istituto è l’intrinseca impossibilità dell’istituto di creare quelle esperienze affettivamente significative, così “calde” emotivamente, non anonime, che solo in una famiglia si possono verificare.
Bisogna considerare, inoltre, che il ricovero, provoca un allontanamento dei bambini dal loro contesto di vita, allontanamento che può determinare una deresponsabilizzazione dei parenti, degli amici della famiglia in difficoltà e del quartiere in cui essa vive. Non si lavora, quindi, per favorire la crescita di un atteggiamento di solidarietà. A deresponsabilizzarsi è anche l’ente pubblico, che in questo modo non deve mettere in atto soluzioni, iniziative nuove, che comportano una riqualificazione del personale e una riconversione della spesa.
Secondo gli ultimi dati Istat – aggiornati purtroppo solo al 31/12/2002 e forniti nel corso del Convegno L’ECCEZIONALE DEL QUOTIDIANO,organizzato a Firenze il 21-22 novembre 2005 presso l’Istituto degli Innocenti – nei presidi residenziali socio-assistenziali erano presenti ancora ben 20889 minori.
È scandaloso dover constatare come – nell’era della tecnologia e dell’informatica – non si abbiano dati più aggiornati e che ancora non sia stata attivata una rilevazione sistematica in tutte le Regioni su questi minori, che rischiano, una volta ricoverati, di uscire solo dopo anni. Da anni l’Anfaa richiede l’istituzione da parte delle Regioni di un’anagrafe regionale dei minori ricoverati nelle strutture residenziali, anagrafe che dovrebbe essere costantemente aggiornata e che consentirebbe un monitoraggio continuo dei minori presenti negli istituti e nelle comunità e una programmazione mirata degli interventi alternativi (aiuti alle famiglie, affidamenti, adozioni ecc.). Attualmente, questa anagrafe è stata attivata fino ad ora unicamente in tre Regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto).
La legge 184/1983 e s.m. stabilisce all’art. 2, 4° comma, che “Il ricovero in istituto deve essere superato (……) mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”. La Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano cui era demandata l’individuazione dei criteri in base ai quali le Regioni dovevano provvedere alla definizione degli standard minimi delle comunità di tipo familiare e degli istituti, si è limitata nel relativo decreto a prevedere per i minori comunità di tipo familiare e gruppi appartamento, inseriti nelle normali case di abitazione con un numero di utenti che non può essere superiore a sei e strutture a carattere comunitario con un massimo di dieci posti letto più due per le eventuali emergenze. Non ha precisato nient’altro, neppure che queste strutture non devono essere accorpate tra di loro per evitare – come avviene ad esempio, nella Regione Lombardia, che strutture quali i Villaggi sos siano classificate come “comunità” oppure possano sopravvivere istituti come l’istituto Mamma Rita di Monza che è organizzato in tanti gruppi appartamento ed autorizzato dalla Provincia di Milano ospita attualmente circa 70 minori e ha l’autorizzazione dalla Provincia ad ospitarne fino a 130!!!!
C’è il rischio concreto che il superamento del ricovero si trasformi in un mero cambiamento di facciata senza realizzare quei diritti tanto ventilati.
Va anche ricordato che in base alla l. 184/1983 e s.m., gli istituti di assistenza pubblici e privati e le comunità di tipo familiare devono trasmettere semestralmente al Procuratore della Repubblica del luogo ove hanno sede “l’elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso” (art.9, c.2). Inoltre, la stessa legge prevede che lo stesso Procuratore “ogni sei mesi effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza pubblici o privati” e “può procedere a ispezioni straordinarie in ogni tempo” (art. 9, c. 3)
Nella Relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001 a cura del Ministero della giustizia e del Lavoro e delle Politiche sociali, relazione che in base alla stessa legge avrebbe dovuto essere redatta ogni anno, ma è stata invece presentata per la prima volta nell’aprile 2005, si può leggere nella premessa “Nessuna informazione è pervenuta dai Tribunali per i minorenni sulle nuove funzioni di vigilanza affidate al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, informazione che nell’economia della relazione avrebbe giocato un ruolo non di poco conto dal momento che al procuratore viene attribuita una funzione di effettiva garanzia dei diritti del bambino e dell’adolescente a crescere in una famiglia!!”
Di fronte alla mancanza di dati fondamentali per la vita futura di migliaia di minori è sconvolgente leggere con quanta leggerezza viene poi commentata questa gravissima carenza. Infatti gli allora ministri Castelli e Maroni si sono limitati ad affermare “Siamo sicuri che per la prossima relazione, nella quale saranno utilizzate le informazioni della banca dati istituita presso il Ministero della Giustizia ai sensi dell’articolo 40 della legge 149/01, sarà possibile fornire notizie sulle attività di controllo degli istituti e delle comunità volte ad evitare la lunga permanenza presso tali strutture di minori che potrebbero essere inseriti in una famiglia adottiva!!”
Ora la banca data prevista dall’art. 40 è relativa unicamente ai minori dichiarati adottabili e alle coppie che hanno presentato domanda di adozione: la stragrande maggioranza dei minori presenti negli istituti e nelle comunità non versano in situazione di adottabilità. È veramente preoccupante vedere che i Ministri conoscano così poco la reale condizione dei minori ricoverati e non facciano in questa relazione alcun riferimento al sostegno prioritario alle famiglie in gravi difficoltà e agli affidamenti familiari: l’adozione non può essere certo l’unico intervento alternativo al ricovero!!
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Segnaliamo che nel corso del consiglio direttivo nazionale dell’Anfaa del 17 giugno 2006 a Verona, Donata Nova è stata riconfermata presidente, Paolo Raspanti è stato eletto vicepresidente, Emilia Pistoia segretaria e Pier Livio Marabotto tesoriere.
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