torna all’indice del Bollettino 04/2005 – Ottobre / Dicembre 2005

NO ALL’ADOZIONE DA PARTE DEGLI OMOSESSUALI

Premessa

In Spagna infuria la polemica sulla riforma del diritto di famiglia: un difficile confronto civile, politico e religioso, nel quale confluiscono problemi importanti come il matrimonio, la filiazione, le nozze gay, la questione femminile. Una nuova legge nazionale, che consentirà non solo il matrimonio fra omosessuali ma anche l’adozione di figli, deve ancora completare il suo iter parlamentare. Alcuni parlamentari regionali (Navarra, Province Basche, Aragona, Catalogna) hanno già approvato modifiche in tal senso. Ogni decisione sulla legislazione familiare spetta ovviamente agli spagnoli, chiamati a decidere alla luce delle trasformazioni, sociali e ideali, avvenute nell’attuale fase di sviluppo storico della loro società. Su un punto però l’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie sente il dovere di intervenire, portando nel dibattito la sua esperienza ultraquarantennale per dissentire sull’adozione da parte delle coppie gay.

Si può affrontare il tema dell’adozione da due punti di vista opposti: partendo da quello degli adulti o da quello dei bambini senza famiglia. Se partiamo dagli adulti, riconoscendo un loro “diritto” al figlio a tutti i costi, arriviamo a concedere l’adozione a tutti quanti la vogliono. Se partiamo invece dalle esigenze affettive ed educative del bambino dichiarato adottabile perché privo di assistenza morale e materiale da parte dei familiari, sovente già segnato dagli abusi e dalle violenze subite, dobbiamo chiederci quali genitori lo Stato debba dare loro avendo la possibilità di scegliere; infatti per ciascun bambino adottabile in Italia ci sono 15/20 domande di adozione da parte di coniugi aventi i requisiti previsti dalla legge n. 184/1983 e successive modifiche. Vi è quindi un’ampia possibilità di scelta, che consente di individuare i genitori aspiranti adottivi che danno le migliori garanzie dal punto di vista affettivo ed educativo.

Numerosissime sono anche le domande relative ai bambini stranieri, tanto che migliaia di coppie, che hanno ottenuto il decreto di idoneità dal Tribunale per i minorenni non riescono ad avere il bambino.

In base ai dati sopra citati non ci sembra il caso di estendere le possibilità di adozione ad altri gruppi di adulti. D’altra parte, sotto il profilo affettivo ed educativo, è sicuramente preferibile che i bambini adottabili siano accolti da una mamma e da un papà, se possibile con altri fratelli o sorelle, e cioè da una famiglia come quella della maggioranza dei loro coetanei. L’Anfaa, pur ritenendo che debbano essere eliminate le discriminazioni che gli omosessuali ancora oggi subiscono, ribadisce che i diritti dei bambini in stato di adottabilità sono prioritari, devono essere tutelati e non devono essere utilizzati per legittimare la convivenza degli omosessuali. Segnaliamo su questo tema l’importante dichiarazione di Paolo Hutter, noto esponente dell’Arcigay, che già dieci anni fa, nel 1994, ha affermato: “L’adozione non è da intendersi come un diritto dei cittadini aspiranti genitori ma come un diritto dei bambini abbandonati, il diritto di avere dei genitori. Anche secondo noi per un bambino abbandonato – dichiarato legalmente in stato di adottabilità – è meglio avere un padre e una madre. E oltretutto ciò è addirittura ovvio in Italia dove per ogni bambino dichiarato adottabile ci sono decine di coppie eterosessuali (non solo, ma anche benestanti, quarantenni, ecc.) che attendono da anni un bambino da adottare”.

Come ha anche ricordato Fabrizio Papini, vice-presidente dell’Anfaa fiorentina “l’adozione non è un’opera buona, né un rimedio contro la sterilità e neppure un modo per appagare il desiderio di posterità degli adulti. L’adozione è il mezzo per rendere operante il diritto di ogni bambino abbandonato ad avere una famiglia. Ne deriva che non esiste un diritto all’adozione per gli adulti (per nessun adulto), sono viceversa i bambini ad avere “diritto” a una famiglia”. Precisiamo altresì che l’attenzione nei confronti dell’infanzia disagiata può trovare una positiva risposta anche attraverso il sostegno di progetti di solidarietà che molte associazioni e organizzazioni non governative promuovono nei Paesi in via di sviluppo.

ANCHE L’ON. CASINI È CONTRARIO ALL’ADOZIONE DA PARTE DELLE COPPIE GAY

L’on. Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera dei Deputati, in data 11 maggio 2005 ha dichiarato: “Fermo restando il diritto di coppie dello stesso sesso di vivere insieme e di condividere un nucleo reciproco di affettività, dissento fermamente dalla legislazione di alcuni Paesi, come la Spagna, in materia di adozione. Tra il legittimo desiderio di due persone dello stesso sesso di poter adottare un figlio e il diritto del minore ad avere una affettività naturale da parte di una madre e di un padre credo vada attribuita prevalenza alla tutela del diritto del più debole. Una scelta diversa andrebbe altrimenti incontro al diritto del più forte”.

NUOVO PROCEDIMENTO PER L’ACCERTAMENTO DELLO STATO DI ADOTTABILITÀ: QUARTO RINVIO

A distanza di quattro anni dalla frettolosa approvazione della legge n. 149/2001 che ha apportato modifiche, molto contrastate dall’Anfaa, alla legge n. 184/1983 in materia di adozione e affidamento dei minori, è stato approvato il quarto decreto legge (n. 115 del 30 giugno 2005) che, all’art. 8, proroga al 1° luglio 2006 l’entrata in vigore del nuovo procedimento relativo all’accertamento dello stato di adottabilità dei minori previsto dal titolo III, capo II della suddetta legge n. 149/2001. La motivazione addotta è la discussione in corso al Senato del disegno di legge n. 3048 relativo alla disciplina della difesa d’ufficio nei giudizi civili minorili.

Resta quindi ancora in vigore la procedura prevista dalla legge n.184 /1983.

Ricordiamo che la nuova normativa prevede che la segnalazione dei minori in possibile stato di adottabilità sia indirizzata non più al Tribunale per i minorenni ma al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni (art. 9, comma 1), il quale la trasmette al Tribunale per i minorenni, se ritiene vi siano i presupposti di legge per chiedere l’apertura del procedimento di adottabilità.

L’art. 8 prevede che questo procedimento debba svolgersi con l’assistenza legale del minore, dei genitori e degli altri parenti che abbiano rapporti significativi con il minore stesso; inoltre, fin dall’apertura del procedimento, i genitori del minore devono essere invitati dal Tribunale per i minorenni a nominare un difensore che potrà partecipare a tutti gli accertamenti disposti dallo stesso Tribunale; essi, con l’assistenza del difensore, potranno “presentare istanze anche istruttorie e prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice” (art.10, comma 2).

Aspetti indubbiamente positivi delle modifiche introdotte sono l’eliminazione di un livello di giudizio (e cioè del ricorso previsto presso lo stesso Tribunale per i minorenni) e la definizione di tempi certi per la dichiarazione definitiva dell’adottabilità: i ricorsi in Corte di appello e in Cassazione devono infatti essere discussi entro sessanta giorni dal deposito degli atti. La nuova normativa prevede, altresì, che la Sezione per i minorenni della Corte di appello debba depositare la sentenza entro quindici giorni dalla sua pronuncia.

Purtroppo, l’attuazione di queste positive innovazioni è ancora una volta rinviata.

PER PREVENIRE L’ABBANDONO E GLI INFANTICIDI: UNA POSITIVA DECISIONE DEL MINISTERO PER LE PARI OPPORTUNITÀ

Non abbandonarlo, puoi partorire anche senza dare il tuo nome. Il suo futuro sarà protetto“. Questo è lo slogan dell’importante campagna di informazione che il Ministero per le pari opportunità ha lanciato le scorse settimane attraverso i mezzi di informazione.

Il suddetto Ministero, con la collaborazione della Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, ha anche pubblicato un libretto in cui viene precisato che la scelta della donna di non riconoscere il proprio nato “è rigorosamente protetta dalla legge” e che “per partorire in anonimato ci si può recare presso i centri ospedalieri pubblici della propria zona di residenza, nei reparti di ginecologia e ostetricia, o ci si può rivolgere alla Als, servizi sociali, sanitari ed educativi”.

Inoltre, viene segnalato che “anche se clandestina” l’immigrata può far nascere il bambino “in una struttura pubblica senza temere di subire provvedimenti di espulsione”, che “sia la donna sposata che quella non sposata hanno il diritto di riconoscere o meno il neonato” e che nel caso di non riconoscimento “l’Ufficiale di stato civile, dopo aver attribuito al neonato un nome e un cognome, procede entro 10 giorni alla segnalazione al Tribunale per i minorenni per la dichiarazione di adottabilità”.

In merito alla campagna promossa dal Ministro Stefania Prestigiacomo, gli Assessori alla solidarietà sociale e alle pari opportunità della Provincia di Torino, in un comunicato del 20 luglio 2005 hanno però espresso la loro piena adesione all’iniziativa e, anche “sulla base delle esperienze positive condotte dalla stessa Amministrazione provinciale torinese e da numerosi altri entri pubblici e privati”, hanno sottolineato che “per evitare gli infanticidi e gli abbandoni che mettono in pericolo la vita dei neonati, non è sufficiente (anche se necessario) informare le donne in difficoltà in merito al loro diritto – sancito da leggi vigenti da decenni – al segreto del parto. Occorre, altresì, che alle gestanti venga fornito il necessario sostegno psico-sociale perché possano assumere, con la massima loro responsabilizzazione possibile, le decisioni circa il riconoscimento o meno dei loro nati. Per essere efficace, questo sostegno deve essere assicurato prima, durante e dopo il parto, come prevede la tuttora vigente legge 6 dicembre 1928 n. 2838″.

Queste tematiche verranno affrontate nel convegno “Il diritto di tutti i bambini fin dalla nascita alla famiglia e la prevenzione dell’abbandono” che la Provincia di Torino organizza insieme all’Associazione promozione sociale e che si terrà a Torino venerdì 21 ottobre 2005 ed il cui programma è riportato nel numero 151 di Prospettive assistenziali.

IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA E L’ADOZIONE MITE

Riportiamo integralmente la lettera inviata in data 7 ottobre 2005 da Donata Micucci, presidente nazionale Anfaa, al Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Carlo Azelio Ciampi, al Vice-Presidente On. Virginio Rognoni, nonché a tutti i Componenti dello stesso Consiglio.

Intendiamo esprimere le vivissime preoccupazioni dell’Anfaa in merito alla delibera assunta dal Consiglio Superiore della Magistratura nella seduta del 2 luglio 2003 con cui ha deciso di“prendere atto della nota in data 6 maggio 2003 del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari avente ad oggetto: “Istituzione del servizio per adozione mite””.

Nella nota citata, il Presidente Franco Occhiogrosso informava il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura che “nei giorni scorsi è stato istituito presso questo Tribunale per i minorenni il servizio per l’adozione mite, del quale nella nota allegata vengono illustrati i profili più significativi” precisando quindi che “con specifica variazione tabellare è stata anche disciplinata la distribuzione dei compiti tra i giudici. Segnalo quanto sopra a codesto On. Consiglio Superiore della Magistratura affinché ne voglia prendere atto”.

La nuova procedura, presentata dal Tribunale per i minorenni di Bari come innovativa (v. ad esempio la stessa aggettivazione di adozione “mite” che non trova riscontro nel nostro ordinamento), è ampiamente descritta nelle circolari dello stesso Tribunale per i minorenni allegate alla nota del presidente Occhiogrosso sopra citata.

Il Consiglio Superiore della Magistratura con la sua “presa d’atto”, a nostro avviso, è andato ben oltre le proprie competenze istituzionali, prendendo atto e, quindi, di fatto, autorizzando il Tribunale per i minorenni di Bari a pronunciare l’adozione cosiddetta “mite” anche nei confronti di minori non dichiarati in situazione di adottabilità, mentre l’articolo 44, lettera d) della legge n. 184/1983 e successive modifiche, consente l’adozione in casi particolari esclusivamente nei confronti dei minori “quando vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo”.

Poiché l’affidamento preadottivo può essere disposto dai Tribunali per i minorenni solamente nei confronti dei minori dichiarati adottabili, la pronuncia dell’adozione “mite” nei riguardi dei fanciulli non dichiarati adottabili, costituisce una sicura e gravissima violazione delle norme varate dal Parlamento a tutela dei minori “privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi” (articolo 8, comma 1 della legge suddetta) e non per sottrarre figli minorenni a nuclei familiari in difficoltà.

La “presa d’atto” del Consiglio Superiore della Magistratura è stata, in più sedi – a conferma di quanto segnalato – presentata e strumentalmente utilizzata come una autorizzazione ad una applicazione estensiva ed arbitraria del suddetto art. 44, lettera d). Significativo al riguardo quanto scritto nel “Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva in materia di adozione e affidamento” della Commissione parlamentare per l’infanzia, la quale, dopo aver sostenuto che “suscita particolare interesse il modello attuato dal Tribunale per i minorenni di Bari, denominato “adozione mite””, ha precisato che “la sperimentazione è stata posta in essere a seguito di autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura” (cfr. “Indagini conoscitive e documentazioni legislative” n. 18, Atti parlamentari, XIV legislatura pag. 292). La stessa proposta di legge n. 5724 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione aperta e di adozione “mite” presentata dall’on. Bolognesi ed altri afferma che “la sperimentazione citata è stata posta in essere a seguito di autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura”. Anche i mezzi di informazione ne danno comunicazione in questi termini: a titolo esemplificativo nell’articolo “L’affido-infinito e l’adozione mite” in Vita, del 16 settembre 2005 al riguardo si legge: “Da qui nasce la sperimentazione del tribunale barese autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura, che ha dato l’avvio a un numero significativo di “adozioni non legittimanti”” di minori “in stato di semiabbandono permanente” ma non dichiarati in stato di adottabilità in quanto non privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. Addirittura il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, nello stesso articolo, ha dichiarato che le adozioni miti vengono pronunciate “quando la famiglia d’origine, pur essendo incapace di rispondere alle esigenze educative del proprio figlio, non lo ha del tutto abbandonato e, anzi, mantiene con lui un rapporto affettivo significativo”, il che significa sottrazione illegittima di minori ai loro congiunti in difficoltà.

L’Anfaa ricorda che l’applicazione del suddetto art. 44, lettera d), è stato prevista dal legislatore unicamente come forma residuale, per quei limitati casi in cui per un minore dichiarato adottabile, in quanto privo di assistenza materiale e morale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi, non sia possibile l’inserimento in una famiglia adottiva avente i requisiti previsti per l’adozione legittimante.

Quando esiste uno stato di adottabilità accertato sarebbe pericoloso utilizzare l’adozione in casi speciali al posto di quella legittimante, in quanto priva l’adottato dello status di figlio legittimo con tutte le conseguenze non solo giuridiche, che ciò comporta. Ricorrere all’adozione “mite” in questi casi significa ridare fiato ai legami di sangue, significa misconoscere il fondamentale ruolo educativo della famiglia adottiva e riconoscere una valenza formativo-affettiva a genitori d’origine che pur hanno lasciato il minore privo di ogni sostegno morale e materiale.

È questo un altro duro colpo all’adozione intesa come genitorialità e filiazione vera e completa. Illuminante al proposito è quanto scritto da Franco Occhiogrosso in un suo articolo sull’adozione mite: “L’adozione mite si pone nella prospettiva di superare, sia pur parzialmente, la filosofia di fondo che presiede all’adozione legittimante ed alla sua prospettiva di intendere l’adozione come “seconda nascita” del minore con cancellazione di ogni riferimento al suo passato”.

Secondo l’Anfaa l’adozione rappresenta per il minore, in accertato stato di adottabilità, sì una “seconda nascita”, che non cancella però la sua prima nascita e i suoi eventuali ricordi legati alla sua storia, ma non ne mantiene alcun legame giuridico.

D’altra parte è altrettanto pericoloso, a nostro avviso, ricorrere all’adozione nei casi particolari, quando il minore non versa in situazione di privazione di assistenza materiale e morale da parte dei suoi genitori. In questo caso lo strumento corretto da utilizzare per rispondere alle esigenze affettive di un bambino e di un ragazzo che ha una famiglia in difficoltà, è l’affidamento familiare. Il Tribunale per i minorenni di Bari la propone invece come modalità da utilizzare nei casi di affidamenti a lungo termine. A nostro avviso questa è una soluzione inaccettabile e fuorviante.

Se il minore non si trova in stato di adottabilità, non è certamente corretto ricorrere ad adozioni più o meno miti, anche nei casi di affidamenti a lungo termine. Questo anche e soprattutto per tutelare i diritti della famiglia di origine, che non deve essere espropriata del suo ruolo genitoriale, anche se per svolgerlo deve contare sull’aiuto di un’altra famiglia e degli operatori dei servizi socio-assistenziali e sanitari.

Se passasse il concetto che gli affidamenti a lungo termine (che sono la stragrande maggioranza degli affidamenti in corso) si possono trasformare in adozioni, anche se “miti”, i genitori in difficoltà si sentirebbero traditi e, ancor meno di oggi, sarebbero disponibili all’affidamento, temendo di perdere i figli.

Non troviamo accettabile neppure la prassi, avviata sempre dal Tribunale per i minorenni di Bari, che prevede la possibilità per gli aspiranti genitori adottivi di presentare la doppia domanda per l’adozione legittimante e per quella “mite”. Le famiglie che hanno fatto domanda di adozione possono maturare una disponibilità all’affidamento e diventare – ed è quello che l’esperienza di tante famiglie Anfaa insegna – famiglie affidatarie, ma è necessario un lungo e diverso percorso di elaborazione delle proprie motivazioni prima di essere in grado di accogliere un bambino in affidamento familiare, affidamento che implica necessariamente rapporti con la sua famiglia d’origine.

Richiamiamo infine l’attenzione del Consiglio Superiore della Magistratura sugli innumerevoli e gravi abusi verificatesi negli anni 1967-1983, periodo in cui coesistevano l’adozione speciale legittimante e l’adozione ordinaria, le cui finalità e strutture corrispondevano sostanzialmente alle norme previste per l’adozione mite.

Alla luce di quanto brevemente esposto (ulteriore contributo all’approfondimento è l’articolo “L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione” a firma di Francesco Santanera pubblicato sulla rivista Prospettive assistenziali, che alleghiamo), l’Anfaa chiede che il Consiglio Superiore della Magistratura si pronunci nuovamente in merito – rettificando quanto a suo tempo deliberato – nell’ambito delle sue funzioni, funzioni che peraltro non contemplano la facoltà di autorizzare interpretazioni giuridiche innovative della normativa esistente.

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