torna all’indice del Bollettino 04/2004 – Ottobre / Dicembre 2004

La Commissione Parlamentare sull’infanzia ha approvato nella seduta del 27 ottobre 2004 un preoccupante documento a conclusione dell’indagine su “Adozioni ed affidamento”. Per effettuare questa indagine la Commissione si è avvalsa anche di consultazioni con alcuni Presidenti di Tribunali per i Minorenni, alcuni rappresentanti dei principali Enti autorizzati per l’adozione internazionale e di organizzazioni che realizzano soggiorni “socio-terapeutici” di bambini stranieri in Italia: nessuna consultazione è stata effettuata con rappresentanti delle Regioni e degli Enti locali (Province, Comuni singoli e associati) e delle Associazioni che operano nel campo della tutela dei diritti dell’infanzia.

Il documento contiene considerazioni e proposte, quali quelle relative all’adozione “mite” e all’adozione “aperta” decisamente allarmanti e che, se dovessero essere tradotte in prassi generalizzate o – peggio – in modifiche legislative, rischierebbero di snaturare e svalorizzare il vero significato dell’adozione, così come già evidenziato nell’Editoriale del n. 1-2004 di questo Bollettino e nell’articolo di Francesco Santanera “L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione” pubblicato sul n. 147/2004 della Rivista Prospettive Assistenziali.

E’ innanzitutto da stigmatizzare il fatto che la Commissione, composta da rappresentanti di tutte le forze politiche, nelle 65 pagine di cui consta questo documento, non abbia detto nulla – a parte una iniziale generica affermazione di principio – in merito alla necessità di prevenire il bisogno assistenziale e al sostegno delle famiglie in difficoltà. Nessuna analisi, e di conseguenza nessuna proposta, viene fatta circa l’attuale situazione legislativa che vede l’assenza di norme che obblighino le istituzioni ad intervenire nei confronti delle persone in difficoltà. Nulla viene affermato circa la latitanza di molti Enti locali nell’assolvere ai loro doveri istituzionali, in ciò favoriti anche dalle disposizioni contenute nella 149/2001 che ha modificato la legge 184/1983 relativa all’adozione e all’affidamento familiare. Tali norme infatti, come più volte denunciato su questo Bollettino , prevedono che lo Stato, le Regioni e gli Enti locali debbano sostenere i nuclei familiari a rischio solamente “nei limiti delle risorse disponibili”.

Circa la situazione dei minori istituzionalizzati, la relazione si limita ad esporre i dati disponibili – pochi e frammentati (come abbiamo già rilevato nell’Editoriale del n. 2-2004 del Bollettino), senza alcun commento e proposta specifica. Nessun riferimento, ad esempio, alla mancanza di un’anagrafe in tutte le regioni dei minori ricoverati nelle strutture residenziali e alla necessità di un richiamo alle Regioni per la sua sollecita attivazione anche in vista della scadenza del Dicembre 2006.

Gran parte della relazione è dedicata ai problemi relativi all’adozione internazionale, con una impostazione prevalentemente imperniata sulla necessità di dare comunque risposta alle numerose coppie che desiderano adottare un bambino: se da un lato vi si propone una (giusta) ricognizione sui costi dell’adozione internazionale, dall’altro si prefigurano modifiche alla attuale normativa dirette a “liberalizzare” l’adozione di minori stranieri. Decisamente inquietante è poi la proposta di introdurre una normativa specifica per “trasformare” gli attuali soggiorni a scopo socio-terapeutico di minori stranieri in Italia (i cosiddetti “bambini di Chernobyl”) in “affidamenti internazionali”. A nostro parere, grande è il rischio che questi affidamenti si trasformino in uno “sradicamento” dei bambini dal loro ambiente di vita e dai loro legami affettivi e in una modalità utilizzata per raggirare le norme vigenti in materia di adozione internazionale.

Nessuna analisi viene fatta sulla situazione dell’adozione in Italia: ad esempio non viene fatto alcun approfondimento in merito alle ragioni che stanno alla base dell’attuale divario tra minori dichiarati adottabili e quelli effettivamente adottati e al mancato sostegno da parte delle stragrande maggioranza delle istituzioni, alle adozioni di bambini grandicelli, handicappati e malati.

Ben poco spazio infine è dedicato all’affidamento familiare: questo argomento richiederebbe una analisi articolata e approfondita circa le condizioni necessarie per incrementare e valorizzare questo importante intervento. Non condivisibile poi è l’interpretazione eccessivamente restrittiva dell’attuale normativa che la Commissione dà in merito alla durata degli affidamenti sottolineando la temporaneità di questo intervento e sostenendo – erroneamente – che la sua durata massima non può superare i due anni, dimenticando pertanto che – ai sensi della stessa legge 184/1983 – nell’interesse del minore, il provvedimento di affido può essere prorogato dall’Autorità giudiziaria, consentendo in tal modo anche affidamenti a lungo termine.

Inoltre la Commissione in questo documento lancia la proposta della “possibilità di procedere agli affidamenti professionali” per dare risposta ai bisogni di minori particolarmente difficili (minori grandicelli, portatori di handicap, maltratti o abusati, ecc.). La proposta si basa sull’iniziativa assunta da un gruppo di lavoro del Coordinamento Affidi della Provincia di Milano e viene motivata dal fatto che “in relazione al numero di allontanamenti si fanno troppi pochi affidamenti specie se si tratta di casi difficili (…) mancano infatti famiglie disponibili o, anche se segnalano la loro disponibilità, sono poco qualificate e preparate ad affrontare problemi così complessi (…)” e dalla necessità pertanto di “individuare un terzo polo di offerta tra famiglia affidataria e comunità”

Viene affermato, per giustificare questa iniziativa, che mancano famiglie disponibili per l’affidamento, ma non ne vengono analizzati i motivi.

L’Anfaa, che ha più volte e in più sedi affermato il proprio giudizio negativo in merito a questa proposta, ritiene che per rilanciare l’affidamento familiare sia prima di tutto necessario un lavoro continuativo e congiunto delle istituzioni e del privato sociale per reperire, preparare e sostenere le famiglie, così come un intervento tempestivo sulle situazioni di disagio evitando ai minori una permanenza che spesso si prolunga per anni, in comunità o – peggio – in istituto o in situazioni familiari gravemente carenti.

Oltre alle considerazioni negative sugli affidamenti professionali, già espresse nella “Relazione sull’attività svolta dalla Sede nazionale” (vedi pag. 3 di questo Bollettino”), riteniamo assolutamente negativo il fatto che – in base alla sperimentazione avviata dalla Provincia di Milano e dalla delibera della Regione Piemonte “Regolamentazione del servizio famiglie professionali” (delibera n.78-11034 del 17 novembre 2003) sia uno solo dei componenti il nucleo affidatario ad essere “assunto”.

Questo fatto, andrà inevitabilmente a determinare, all’interno della famiglia l’attribuzione di ruoli differenti, che incideranno negativamente sulle dinamiche relazionali fra gli stessi affidatari (uno “retribuito”, l’altro “volontario”) e sui loro rapporti con l’affidato.

Non è neppure positivo per il bambino o ragazzo affidato essere considerato destinatario di un lavoro piuttosto che di una scelta solidaristica e volontaria.

C’è una bella differenza fra il messaggio che passa al bambino affidato (e alla sua famiglia d’origine) se si tratta di una scelta volontaristica e gratuita (a parte il rimborso spese che riteniamo debba essere corrisposto alla famiglia affidataria) o di un’accoglienza professionale/lavorativa svolta dagli “affidatari” al proprio domicilio.

Inoltre riteniamo che la capacità degli affidatari di realizzare affidamenti di minori con situazioni personali e familiari complesse non si acquisisca con corsi di preparazione, certo utili sul piano conoscitivo, ma che non possono incidere in maniera significativa sulla capacità di far fronte dal punto di vista affettivo ed educativo ai comportamenti e alle reazioni dei minori accolti. Queste “competenze” si acquisiscono attraverso le esperienze dirette vissute con i bambini accolti e attraverso il confronto e la riflessione con gli operatori e gli altri affidatari.

Riteniamo che gli affidamenti dei minori particolarmente difficili dovrebbero essere promossi e realizzati dai Comuni singoli o associati assicurando alle famiglie disponibili TUTTI i supporti previsti per le famiglie “professionali” (corsi di preparazione per gli aspiranti affidatari; valutazione tempestiva della loro disponibilità; un progetto chiaro e condiviso da tutti i protagonisti dell’affido; previsione di momenti di verifica periodica; diritto a ricevere informazioni chiare e corrette; garanzia di reperibilità degli operatori, anche per le emergenze, ecc.).

E’ necessario attivarsi per una maggiore professionalizzazione dei servizi e degli operatori e non degli affidatari

Inoltre riteniamo un controsenso puntare sugli affidamenti “difficili” quando non si promuovono e realizzano quelli “normali”. Infatti è prioritario privilegiare la fascia di età dei bambini più piccoli (0-6, 6-10 anni) ancora numerosi nelle strutture residenziali.

Per superare le difficoltà che incontra attualmente l’affidamento familiare nel nostro Paese, le istituzioni devono impegnarsi maggiormente sia per la sua divulgazione, sia per la sua tempestiva realizzazione (quanti affidamenti avvengono dopo anni di conoscenza da parte dei servizi e anche della magistratura di situazioni familiari gravemente compromesse oppure dopo anni di permanenza dei bambini in istituto o comunità!) sia nel mancato sostegno alle famiglie di origine dei minori e agli affidatari.

Non mancano d’altra parte “buone prassi” di affidamento familiare, anche di minori handicappati, con problemi sanitari pesanti, stranieri o grandicelli, che hanno potuto concretizzarsi grazie ad atti amministrativi che hanno saputo valorizzare tale servizio.

Ed è proprio a partire da queste realtà positive che l’Anfaa, la Fondazione Promozione Sociale e Prospettive Assistenziali con la collaborazione del CNSA (Coordinamento Nazionale Servizi Affidi) ha organizzato per Giovedì 26 maggio 2005 il convegno “Affidamenti Familiari: dalla discrezionalità al diritto dei bambini” (vedi in ultima pagina il programma preliminare).

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