torna all’indice del Bollettino 04/2004 – Ottobre / Dicembre 2004

Nei primi giorni di dicembre i principali mezzi di informazione hanno riportato la notizia di una coppia che attraverso un falso riconoscimento si era procurata illegalmente una neonata russa.

Riportiamo la lettera a firma di Mirko Landi indirizzata ai principali quotidiani italiani e pubblicata su Avvenire del 5 dicembre e il relativo commento del direttore del quotidiano, al quale, riconoscendo la serietà e l’impegno con cui Avvenire è solito affrontare i temi dell’adozione, vorremmo far presente che sarebbe stato forse sufficiente sostituire il termine “genitori adottivi” con la “coppia che avrebbe comprato la bambina” cosi come correttamente riportato da La Stampa e dal Corriere della Sera.

CaroDirettore,

le scrivo in quanto non sono d’accordo sull’uso che si è fatto anche sul suo giornale del termine “genitore adottivo” usato oggi per definire quell’uomo e quella donna che, nel totale dispregio della verità e della legge, avrebbero acquistato un figlio per circa 1.000 euro. Vorrei ricordare all’autore dell’articolo che è genitore adottivo solo colui che nel rispetto delle leggi oggi vigenti accetta di aprire il proprio nucleo familiare ad uno o più bambini ed accetta di instaurare con questi un rapporto duraturo, fondato sull’amore e sul rispetto della persona.

E tale non è, credo (ne sono sicuro) quell’uomo abruzzese se ha fatto quel che è scritto nell’articolo da voi pubblicato. Ho atteso con pazienza ed a volte con dolore tanto tempo per adottare mia figlia e ne stia certo come me tanti altri che possono, legalmente, fregiarsi del nome di “genitore adottivo”.

La ringrazio anticipatamente se vorrà precisare qualcosa, quando ne avrà l’occasione, aiutandoci a far crescere la consapevolezza sul significato autentico dell’adozione in Italia. Grazie,

Mirko Landi, Uno Dei Tanti Veri Genitori Adottivi

Amichevolmente devo segnalarle che il suo “rimprovero”, mira in una direzione sbagliata. Ho riletto con attenzione il pezzo del collega Ciociola, e sempre – fin dal titolo – l’aggettivo “adottivi” è stato accompagnato dalle virgolette, a significare che lo si usava per descrivere la situazione prendendo le distanze dai comportamenti denunciati. Mi spiace che lei abbia potuto fraintendere le nostre intenzioni. Provi per un momento a pensare quali giri di parole sarebbero stati necessari per chiarire lo stesso concetto escludendo l’uso di quel termine… Vedrà che non c’erano alternative lessicali. Ma risolto così il piccolo malinteso, mi preme molto di più dare risalto al messaggio positivo che lei ci offre con le sue considerazioni sul significato autentico della paternità. Chi legge il suo messaggio non può avere dubbi: essere padre – e madre – significa mettere al primo posto il ben e del figlio; pensare innanzitutto al suo bene senza strumentalizzarlo ai propri desideri o alle proprie aspettative. Significa anche accettare il dolore e la sofferenza che sono ingredienti indisgiungibili dall’amore. L’esatto contrario dell’egoismo, noncurante dei sentimenti e della dignità di una persona, ancorché piccola, quell’egoismo di cui dà prova chi si presta a traffici loschi come nel caso messo in luce dalle indagini abruzzesi. Questo non significa non tenere conto dei sentimenti fortissimi che si agitano nel cuore di chi anela ad avere un figlio ma incontra difficoltà e resistenze a coronare il sogno di un’adozione. Tale anelito è certo positivo e non va scoraggiato, ma non può diventare pretesto per scorciatoie che alimentano circuiti criminali e che riducono i bambini a merce da vendere o comprare.

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Riportiamo la lettera a firma di Frida Tonizzo, Assistente Sociale dell’Anfaa pubblicata su la Stampa del 16 dicembre 2004

Vorrei intervenire, a nome di diversi genitori e figli adottivi dell’ANFAA, a proposito degli articoli pubblicati su La Stampa del 13 dicembre 2004 “Aumentano i bambini figli dell’abbandono” e “Impossibile per la madre superare i sensi di colpa”.

Vorrei in particolare mettere in evidenza come un utilizzo improprio dei termini possa avere gravi risonanze su quanti vivono in prima persona l’adozione.

Non dovrebbe essere utilizzato il termine “abbandono” (che ha indubbiamente una connotazione negativa) per definire la scelta della partoriente che non riconosce come figlio il proprio nato, né il termine “vera madre” per la donna che decide di non diventarlo per motivi che tutti noi siamo tenuti a rispettare.

È attraverso l’adozione che diventano genitori “veri” le coppie che li amano e li crescono… anche in questo caso gli aggettivi hanno un peso. Non sempre “nato da” coincide con “figlio di”: noi diventiamo i genitori dei nostri bambini nella misura in cui ce ne prendiamo cura e li accompagnIamo nella loro crescita…

Come Papa Giovanni Paolo II ha sostenuto a questo proposito “Adottare dei bambini, sentendoli e trattandoli come veri figli, significa riconoscere che il rapporto tra genitori e figli non si misura solo sui parametri genetici. L’amore che genera è innanzitutto dono di sé. C’è una “generazione” che avviene attraverso l’accoglienza, la premura, la dedizione. Il rapporto che ne scaturisce è così intimo e duraturo, da non essere per nulla inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica”.

Significativa al riguardo la testimonianza di Piero, figlio adottivo di trentacinque anni, riportata nel libro “Storie di figli adottivi”,che racconta: “Sono stato adottato che ero ancora un neonato. Credo che chi mi ha partorito fosse una donna sposata. Non mi ha riconosciuto alla nascita e per questo motivo sono stato adottato subito. Per me è stata una fortuna, non ho subito tutti i traumi di chi è adottato più grande. Io sono quindi cresciuto da sempre con i miei genitori. Di questo sono grato a chi mi ha generato, sono contento che abbia saputo capire fin dall’inizio che non avrebbe potuto allevarmi e che abbia lascito che il Tribunale scegliesse per me la famiglia giusta. Forse mi ha risparmiato tanta sofferenza”.

Il non riconoscimento non viene vissuto in questo caso come un gesto condannabile, ma come un atto di responsabilità. La donna che lo ha lasciato, lo ha fatto nella consapevolezza di non essere in grado di allevarlo, gli ha permesso in questo modo di crescere come tutti gli altri bambini, con una famiglia che lo sapesse amare ed accudire. Questo è il senso delle parole di Piero quando precisa ancora: “Quello che penso spesso è che avrebbe potuto abortire e non l’ha fatto. Ha preferito mettermi al mondo, darmi la vita e di questo gliene sono grato. Sarà stato per lei una scelta difficile, ma ha permesso che altri diventassero i miei genitori. Per me questo è un atto d’amore, non un atto di abbandono”.

 

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