torna all’indice del Bollettino 02/2004 – Aprile / Giugno 2004

Il Convegno Internazionale “Il diritto di crescere in famiglia” che si è tenuto a Genova il 20-21 maggio u.s. (vedi al riguardo l’articolo di Francesco Ottonello pubblicato a pag. 2), ha rappresentato un momento particolarmente qualificante della nostra attività associativa di quest’anno. Al successo di questo evento ha contribuito l’alto livello degli interventi di tutti i relatori e la presenza di un pubblico attento e partecipe. Particolarmente importante è stato il contributo offerto dalla Società POSTEL, dai tanti volontari, tra cui ricordiamo gli allievi del Corso di laurea per traduttori e interpreti della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Genova, della Scuola Alberghiera Bergese e dai soci tutti della Sezione di Genova a cui va il nostro GRAZIE.

Uno dei temi affrontati in questo Convegno, è stato quello del diritto della donna a partorire in anonimato: problematica questa che è di drammatica attualità, come le notizie di cronaca di questi ultimi tempi dimostrano.

I mezzi di informazione hanno riferito, nei mesi scorsi, la notizia di un neonato ritrovato morto nel Veronese.

Questo ritrovamento seguiva, di pochi giorni, quello del piccolo abbandonato in un prato dalla madre, sempre nel Veronese, e salvato da un passante. Due mesi prima, il piccolo Jacopo, anche lui abbandonato in un cortile, è purtroppo morto dopo giorni di ricovero in ospedale.

Tutti noi siamo giustamente indignati e preoccupati per questi fatti.

Dobbiamo ora però anche chiederci: quelle partorienti, disperate e sole potevano essere aiutate? Sapevano di poter mettere al mondo il loro nato in assoluto segreto?

Su quali sostegni dopo il parto avrebbero potuto contare?

Come abbiamo più volte ricordato anche sulle pagine di questo Bollettino, le donne che non intendono riconoscere il proprio nato hanno diritto di partorire in assoluta segretezza negli ospedali e nelle altre strutture sanitarie e di essere, quindi, seguite dal punto di vista medico-infermieristico come tutte le altre partorienti assicurando, anche al neonato, le cure di cui necessita.

In questi casi l’atto di nascita del neonato è redatto con la dizione “nato da donna che non consente di essere nominata” e l’Ufficiale di Stato Civile, dopo aver attribuito al neonato un nome ed un cognome, procede entro 10 giorni dalla formazione dell’atto alla segnalazione al Tribunale per i Minorenni per la dichiarazione di adottabilità ai sensi della Legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modifiche.

Così, a pochi giorni dalla nascita, il piccolo viene inserito in una famiglia adottiva, scelta dal Tribunale fra quelle che hanno presentato la loro disponibilità all’adozione al Tribunale stesso.

Nel 2002 – secondo i dati forniti dall’Istat – su 929 minori dichiarati in stato di adottabilità ben 378 erano i non riconosciuti.

Dal 1927, le Province sono obbligate ad assistere a livello sociale le gestanti in difficoltà, assicurando i necessari interventi prima, durante e dopo il parto.

Come è stato ben rilevato anche al Convegno di Genova da Catherine Bonnet occorre un lavoro svolto da personale preparato (psicologi, assistenti sociali, educatori, ecc.) che aiuti la gestante a decidere responsabilmente se riconoscere o meno il proprio nato e che poi la sostenga fino a quando è in grado di provvedere autonomamente a se stessa e, se ha riconosciuto il bambino, al proprio figlio.

Spesso l’intervento assistenziale di supporto è necessario anche per le gestanti e madri con situazioni personali e familiari difficili. Se questi servizi fossero più conosciuti, verrebbe certamente ridotto il numero dei bambini abbandonati nei cassonetti o uccisi alla nascita.

Certo, nella cultura comune si pensa che un bambino debba sempre essere legalmente riconosciuto da chi lo ha messo al mondo, come se fosse automatico il passaggio dal dato biologico a quello giuridico di genitori. Talvolta, purtroppo, il bambino paga a caro prezzo tale pregiudizio, in quanto, come tutti sappiamo, un riconoscimento legale forzato comporta l’esposizione al grave rischio dell’abbandono tardivo.

A nostro avviso, invece, la scelta di non riconoscere un bambino come figlio, nella consapevolezza di non poterlo crescere, rappresenta una forma di responsabilità della partoriente verso la nuova vita e garantisce al piccolo il diritto a crescere in una famiglia, a pochi giorni dalla nascita.

Su questi temi sarà necessario, alla ripresa dell’attività associativa dopo la pausa estiva, un rinnovato impegno da parte dell’Anfaa e delle organizzazioni che si battono per la tutela dei diritti dei più deboli, per richiamare le istituzioni alle loro responsabilità onde prevenire gli abbandoni e gli infanticidi dei neonati e per sostenere le gestanti e madri in gravi difficoltà.

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