di Francesco Ottonello
Mi è stato chiesto di scrivere alcune riflessioni per il Bollettino, riferito al nostro Convegno internazionale “Il diritto di crescere in famiglia. Legislazione europee a confronto viste dalla parte dei bambini” che Genova ha ospitato nei giorni 20-21 maggio 2004. La cosa mi ha lasciato, inizialmente, un senso di smarrimento in quanto si è trattato, per chi, come me, ha avuto la fortuna di viverla, di un’esperienza davvero grande e difficilmente sintetizzabile in poco spazio. Inoltre, indisciplinato come sono, non ho raccolto appunti attraverso i quali “raccontare” il Convegno. Fortunatamente avevo con me il mio taccuino (un vizio che mi è venuto da poco), sul quale ho raccolto sensazioni ed emozioni, che ho vissuto e che ho visto vivere intorno a me.
A dire il vero, si trattava di due giornate di studio di legislazione, e questo può indurre a pensare che il clima debba essere stato serioso, professionale, tecnico. Ma avevamo detto nel titolo, e così è stato veramente, che le leggi dovevano essere viste dalla parte dei bambini, non solo per difenderli, come siamo abituati a fare, ma anche per imparare, o meglio re-imparare, a vivere le cose come le vivono loro: con trasporto emotivo e, se capita, con gioia: una gioia di cui non ci dobbiamo vergognare. Per me la gioia è stata accorgermi che l’A.N.F.A.A. ha regalato a “Genova 2004 Capitale europea della cultura” la possibilità di essere, per due giorni, capitale internazionale (europea e mediterranea) della cultura della solidarietà, e, mi piace pensare, capitale delle famiglie accoglienti, quali sono le famiglie adottive e affidatarie che la nostra associazione e le altre convenute, ben rappresentano. Forse si può dire che si è trattato soprattutto di questo: un incontro di associazioni di famiglie accoglienti che riflettono insieme sulla situazione dei loro paesi, che hanno molte cose da chiedere ai loro legislatori e ai loro governanti.
Si è parlato in molte lingue, e non mi riferisco solo all’italiana, all’inglese, alla francese e alla spagnola sostenute da un ottimo servizio di traduzione simultanea, ma anche al linguaggio del corpo, come quando Fulvio Scaparro, psicoterapeuta, per raccontarci i bisogni affettivi dei bambini, ha scelto di sintetizzare in tre gesti, comprensibili da tutti, quello che è il compito principe di un genitore: ti cullo, ti abbraccio, ti spingo teneramente (ma non ti allontano!) verso il mondo.
Abbiamo capito tutti e penso che siamo tornati a casa un po’ più genitori rispetto a prima, maggiormente capaci di tenerezza, non necessariamente fatta di parole, ma di gesti, di calore. Si capisce che solo una famiglia può dare questo calore come quando, ci ha spiegato Scaparro, un bambino che è sotto i bombardamenti (come è stato lui), pur nella paura collettiva, non vive angoscia se ha intorno il suo mondo affettivo che gli trasmette positività.
Il tema della guerra è stato lo sfondo a gran parte delle cose che sono state dette, anche quando si è parlato di legislazione. In effetti, spesso le leggi nascono dopo le esperienze peggiori, quando, dopo un evento tragico, si danno nuove regole per scongiurare che le brutte cose si ripetano.
E dopo le guerre, le persone si danno da fare: quante volte durante il convegno ci siamo sentiti dire: dopo l’immane catastrofe della guerra fioriscono studi pediatrici e psicoanalitici sui bambini vittime del conflitto (Scaparro), oppure nasce l’UNICEF (Giacomo Guerrera) e poi gli altri interventi che parlano delle guerre attuali, ancora aperte.
Quando si è trattato di parlarci dei “perché della scelta di partorire in anonimato”, Catherine Bonnet, neuropsichiatria infantile, ha introdotto gli aspetti normativi del problema, ben sapendo di parlare in Italia, dove esiste una coraggiosa norma di difesa della segretezza del parto, come ha illustrato Donata Micucci, che nella sezione della conferenza relativa agli elementi costitutivi della filiazione e della genitorialità ha ripreso e approfondito insieme a Francesco Belletti, quelli che sono gli aspetti fondanti del rapporto genitori-figli, basato sui legami affettivo-educativi e non solo sul sangue. Belletti ha anche evidenziato come il concetto di genitorialità parta da quello di filiazione per cui siamo prima figli e poi genitori, esseri umani donati da altri. Constantinos Fotakis ha evidenziato come il bambino nelle realtà in cui viviamo viene ad essere un monitor delle tendenze sociali.
La Bonnet con il suo intervento ha lasciato molto spazio ai contatti umani della sua esperienza professionale, nelle zone difficili del mondo, come, per esempio, in Afganistan, dove una donna costretta a sposare un talebano, ha subito la violenza allora, e oggi che i talebani non ci sono più, ne vive un’altra perché rigettata dai vincitori. Ecco allora che al dramma sociale e psicologico che in Italia conosciamo con tutte le vicende di bambini “abbandonati nei cassonetti” si aggiunge il problema etnico, lo scontro di culture che si va a scaricare, inevitabilmente sui più indifesi.
C’è stato l’intervento di un adulto adottato che rivendicava il diritto a conoscere le proprie origini, contestando una presunta rigidità della norma italiana. Anche in questo caso è stata una testimonianza di guerra a porre su una scala di valori il diritto, anche comprensibile, a fare luce sul proprio passato (ma è il diritto di un adulto), e il diritto alla segretezza di una donna che ha subito violenza per motivi etnici durante una guerra. Questa testimonianza proveniva dalla rappresentante di un’associazione croata.
Il convegno ci ha inoltre permesso di ascoltare la voce di alcuni protagonisti dell’adozione, nazionale e internazionale, che ci hanno raccontato le loro storie, le loro esperienze, diverse, ma tutte pernianti sul concetto di veri genitori come i genitori adottivi, alcuni hanno poi parlato in merito alla ricerca delle radici, e tutti si sono comunque messi in gioco focalizzando l’attenzione sul fatto che anche e soprattutto la loro esperienza deve essere di aiuto ai bambini di oggi e che quindi non deve far prevalere le loro esigenze di adulti, ma servire a migliorare l’adozione attuale.
Claudiana Roffino, figlia adottiva non riconosciuta alla nascita, ha poi rilevato l’importanza di salvaguardare una legge come quella del non riconoscimento, che permette ad una donna di affidare il proprio figlio alle istituzioni, evitando i già nominati “abbandoni nei cassonetti”: permettere ad un figlio non riconosciuto di cercare a distanza di anni i propri procreatori è come il cane che si morde la coda!!
La tematica legislativa è partita proprio da questa considerazione: esiste una scala di valori da rispettare: prima dei diritti degli adulti vengono i diritti dei bambini. La drammatica situazione dei bambini in stato di abbandono o trascuratezza in Romania ha caratteristiche e numeri che la nostra mente a stento riesce a contenere: bambini negli istituti con gravi problemi di crescita perché mancanti delle cure e degli affetti necessari al loro sviluppo, sono condannati per lo più, a diventare portatori di handicap e, quindi, esclusi dalla possibilità di essere adottati.
Certo, esiste il traffico di minori anche a scopo di adozione illegale, così come esiste il traffico di minori per lavoro forzato o a scopi sessuali. Pippo Costella di “Save the children” ha affrontato questa grave realtà nella sua complessità, facendo un’analisi delle condizioni che portano una persona (non solo i minori) a essere trafficata, indicando anche i vari livelli di responsabilità.
Liliana Carollo ha esposto la necessità del rilancio dell’affidamento, come prima alternativa e non come soluzione residuale quando un bambino non può vivere con i suoi e non è adottabile, mentre Frida Tonizzo ha evidenziato, sulla base delle sue esperienze lavorative, la necessità di una maggiore attenzione a quei minori adottabili, che, per la complessità della loro situazione, richiedono iniziative e progetti specifici da parte delle istituzioni.
Mi sembra di poter dire che il tema dell’affidamento ha avuto un preciso orientamento di marcia relativo al tema della necessità o meno della professionalizzazione delle famiglie affidatarie. In questo senso, il riferimento più forte viene dal modello francese, dove esiste un’esperienza in questo più che decennale. Indipendentemente dalle opinioni diverse che si possono avere a riguardo, l’impianto del Convegno (l’allestimento di una tavola rotonda) ci ha permesso di capire che le diversità di cultura politica e giuridica tra i vari paesi sono determinanti in queste scelte e che il confronto non è sempre facile.
Oltre la Francia, il sistema svizzero per la sua natura di stato federale, presenta problemi di armonizzazione dell’impianto legislativo che si presentano anche in Spagna, seppure in misura minore.
Un’altra tendenza è la creazione di tipi di affidamento sempre più perfezionati e mirati e, mi sembra che, in questo, le esperienze più significative siano venute dal Regno Unito e dall’Italia. Su questo aspetto hanno, ovviamente, molto gioco, i diversi stili di lavoro (ma anche le diverse tradizioni) degli operatori professionali dei vari paesi.
Maggiori difficoltà sorgono poi dal confronto con la legislazione in materia di adozione dei paesi islamici. L’intervento di Alì Bahmane dell’associazione algerina AAEFAB ha avuto un ampio respiro storico (dal VII sec. d.C.) e questo perché la normativa di tutela dei minori abbandonati è, nei paesi islamici, di origine coranica.
Vorrei precisare che ho colto non tanto una giustificazione di tipo religioso di tali norme, ma l’illustrazione di precetti inseriti all’interno di una legge di origine religiosa. Alì Bahmane ha illustrato ad un pubblico attento il concetto di Kéfala che noi traduciamo, forse impropriamente, con adozione legale. Non si tratta dell’adozione legittimante. Non si tratta, si può dire, di adozione.
L’associazione AAEFAB sta lavorando molto per migliorare la legislazione algerina e renderla sempre più garante del diritto del bambino ad avere una famiglia.
Credo che sia tuttavia corretto dire che si tratta di un istituto più che millenario che nei secoli ha garantito una qualche forma di tutela del bambino, nei confronti di una cultura (la nostra) che sebbene sia arrivata ad esprimere quasi al meglio il diritto del minore, ci è arrivata da pochi decenni e con gravi ritardi. Ma per questo, il dialogo è appena iniziato ed è bene che sia successo a Genova che, come si sa, è una città di mare, aperta allo scambio.
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