Riparte la discussione parlamentare sulle proposte di legge sull’accesso all’identità delle donne
che si sono avvalse del diritto alla segretezza del parto.
Anfaa: «La vita di migliaia di donne (90.000 dal 1950 ad oggi) che non hanno riconosciuto il proprio nato è messa in pericolo dalla sentenza 278/2013 della Corte Costituzionale e da alcune proposte di legge che non garantiscono la riservatezza del procedimento e non tutelano queste donne».
L’Anfaa – Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie – lancia l’allarme in occasione della ripresa della discussione parlamentare sull’accesso all’identità della donna che non ha riconosciuto il neonato al momento del parto: «La vita e la salute di decine di migliaia di donne (oltre 90 mila dal 1950 ad oggi!) che si sono avvalse della facoltà assicurata dallo Stato di non riconoscere il neonato che avevano partorito è a rischio dopo la sentenza della Corte costituzionale 278/2013».
Il provvedimento obbliga infatti alla modifica del decreto legislativo 196/2003 «nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata (…) su richiesta del figlio ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione».
La sentenza ha provocato la dura reazione dell’Anfaa: «nei confronti delle donne che non intendono riconoscere i loro nati lo Stato si è impegnato con il decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000 a non rendere noto il loro nominativo. Lo Stato, attraverso il Parlamento, non può ora tradire quell’impegno e approvare provvedimenti che avrebbero conseguenze terribili sia sulle donne, sia sui nascituri».
L’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie ha ribadito che «la motivazione della sentenza, nel contrapporre espressamente la “genitorialità naturale” della donna che ha partorito nel segreto, alla “genitorialità giuridica” del rapporto adottivo, dimostra di aderire a una concezione della famiglia – che con il progresso della civiltà si riteneva definitivamente superata – imperniata sulla rilevanza del legame di sangue, così snaturando l’essenza della filiazione, la quale è invece costituita dai rapporti affettivi reciprocamente formativi che si instaurano e si consolidano tra i genitori (biologici o adottivi che siano) e i loro figli (biologici o adottivi che siano)».
I pericoli del riconoscimento
L’Anfaa ribadisce l’importanza del diritto alla segretezza del parto attraverso il quale le donne che per qualsiasi ragione non vogliono riconoscere il neonato non solo agiscono nel rispetto della legge, ma soprattutto non mettono in pericolo l’esistenza dei nascituri, partorendoli in strutture attrezzate e non abbandonandoli. Inoltre l’immediato loro affidamento alle istituzioni pubbliche preposte ha consentito loro di non subire le terribili conseguenze del ricovero in istituto e di essere subito dichiarati adottabili dal tribunale per i minorenni e quindi inseriti nella famiglia scelta per loro.
Per capire lo stato d’animo di moltissime donne che a seguito della sentenza delle Corte costituzionale hanno il timore di essere esposte, in un imprevedibile futuro, ad un’intrusione pesantissima nella loro sfera intima, con le inevitabili ripercussioni negative sui rapporti familiari da esse instaurati, riportiamo uno stralcio del disperato appello inviato all’Anfaa da una signora, che, restata incinta giovanissima (a 16 anni), ha deciso di non riconoscere il neonato: «Ho letto sul vostro sito che la Corte costituzionale ha accolto l’istanza per lo smantellamento del parto segreto. Come avrete capito, io sono una madre segreta. Quando ho letto la notizia credo che il mio mondo si sia dissolto in un attimo, ho guardato i miei familiari, ignari, e ho visto la fine della vita che con fatica mi sono costruita e guadagnata. Non vi voglio raccontare il mio passato doloroso, so però che non sarei in grado di riviverlo (…). Non posso rivivere tutto di nuovo, non ho la forza di raccontare tutto alla mia famiglia attuale, non lo posso immaginare, mi sento morire e nell’attesa di questa condanna, io mi sento morire piano piano. Che Dio mi perdoni se a volte vorrei farla finita, anche se poi non so se ne avrei il coraggio. La mia vita ormai dipende dal legislatore, vi prego non smettete di lottare per il parto anonimo, per questo non vi ho mai ringraziato abbastanza, quelle come me non possono palesarsi, non possono parlare ai dibattiti, devono solo aspettare! (…) Ho cominciato a vivere nel terrore che un giorno arrivi a casa una raccomandata che mi obblighi a presentarmi in tribunale (come una malvivente), ho il timore di dover ripercorrere quella esperienza terribile (…). Io ho la certezza che non riuscirò a sopportare tutto questo (…). Uno Stato non può tradire in questo modo un patto stipulato che mi ha portato a fare questa scelta, anche se imposta, che mi ha permesso di non abortire. Sono disperata all’idea di poter fare soffrire i miei cari. Spero anche che la creatura che ho messo al mondo e per la quale prego sempre (sono aiutata da un padre spirituale) sia serena, considerando le sue origini, quelle delle persone che lo hanno adottato, loro sono i veri genitori».
Le proposte di legge
Delle sei proposte di legge presentate sull’argomento alla Camera dei Deputati, quattro, le n. 784, 1874, 1901 e 1983 non tengono in conto le criticità evidenziate e devastanti sarebbero gli effetti di questi “rintracci” sulle donne che, avvalendosi del diritto alla segretezza del parto, hanno messo al mondo il loro nato, nella certezza che mai questo diritto sarebbe stato violato dalle Istituzioni che l’avevano garantito con legge. Ricercare a distanza di tanti anni queste donne metterebbe in pericolo la vita che si sono costruite nel corso degli anni, con gravi conseguenze per loro e per i loro familiari, spesso ignari di quanto avvenuto.
Queste quattro proposte di legge, infatti non rispondono al dettato della Corte costituzionale di assicurare «la massima riservatezza» delle donne che si sono avvalse del diritto all’anonimato in quanto prevedono che l’accertamento della loro identità parta dalle istanze dei figli adottivi ai Tribunali per i Minorenni che hanno dichiarato la loro adottabilità. Infatti, le istanze sarebbero inevitabilmente prese in esame da un numero elevato di persone: i giudici ed i cancellieri ai quali si rivolge l’interessato, i responsabili dei reparti maternità e gli addetti alla conservazione del plico in cui sono indicate le generalità della donna e del neonato, il personale dell’anagrafe tributaria nazionale incaricato di rintracciare l’ultima residenza della donna, gli altri giudici e cancellieri incaricati di contattarle (è assai probabile che le donne non abitino più nelle città in cui hanno partorito). Inoltre le lettere di convocazione, indirizzate (su carta intesta del Tribunale o della Procura per i minorenni o da altro ente) alle donne per verificare la loro disponibilità ad incontrare i propri nati, potrebbero molto facilmente essere aperte dai loro familiari, spesso del tutto ignari del loro parto segreto.
La quinta proposta di legge, n. 1989, è quella firmata dall’onorevole Anna Rossomando e presentata il 23 gennaio 2014: “Modifica all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983 n. 184, in materia di consenso della madre naturale ad incontrare il figlio, non riconosciuto alla nascita, che ne abbia fatto richiesta”. La proposta – fatto importantissimo – conferma l’impegno, assunto dallo Stato con legge, di non segnalare ad alcuno i nominativi delle donne che, proprio sulla base di questa garanzia, non sono ricorse all’aborto o al parto clandestino e non hanno riconosciuto i loro nati non essendo in grado di provvedere alle loro esigenze. SOLO ad esse viene pertanto consentito, in qualsiasi momento, di revocare il diritto all’anonimato dichiarato a suo tempo, segnalando al Garante per la protezione dei dati personali la loro disponibilità a incontrare il loro nato. Pertanto quando un figlio adottivo, non riconosciuto alla nascita, chiede di accedere all’identità della madre biologica, seguendo la procedura prevista all’art. 28 della L. 184/1983 e s.m.i., il Tribunale per i Minorenni potrà accogliere la sua istanza solo nel caso in cui la madre biologica abbia precedentemente deciso, in forma spontanea, di tornare sulla propria decisione.
L’Anfaa condivide i contenuti di questa proposta.
In questa direzione va anche la n. 1343 presentata dagli On. Campana, Ammodio, Manzi, Marroni e Mattiello, che prevede la segnalazione da parte della donna non al Garante per la protezione dei dati personali ma al Tribunale per i Minorenni .
Donata Nova Micucci
Presidente Anfaa Torino, 28 aprile 2014