Possiamo chiamarle vacanze?
Lettera aperta dell’Anfaa
Nei giorni scorsi è stato lanciato da Ai.Bi. il progetto “vacanze adottive”, di circa tre settimane, che Ai.Bi. propone “a tutte le coppie già in possesso del decreto di idoneità” con questa motivazione:
“Le Vacaciones en el extranjero vengono avviate, per la prima volta, grazie alla collaborazione di Ai.Bi. con la Commissione per le Adozioni Internazionali e l’Instituto Colombiano de Bienestar Familiar, l’Autorità centrale colombiana, per facilitare l’adozione di bambini in stato di abbandono:
– di età superiore a 10 anni
– di età inferiore a 10 anni, ma con particolari bisogni e condizioni psicofisiche
– di fratrie di cui almeno uno dei minori sia di età superiore a 10 anni… al termine della “vacanza”, le famiglie… possono già manifestare la volontà di proseguire con l’iter che li renderà genitori. Nel caso in cui, invece, non vogliano accogliere definitivamente il bambino come figlio, la coppia ospitante resterà comunque un referente amicale e affettivo, “a distanza”, per il minore, impegnandosi a mantenere i contatti con lui, informandosi sulla sua vita e sui suoi sviluppi” (testo tratto dal sito www.aibi.it).
L’assemblea dei soci del 2013 dell’Anfaa ha espresso fortissime perplessità su questo progetto: preoccupano moltissimo i riflessi negativi su bambini già duramente segnati da anni di ricovero in istituto e da fortissime deprivazioni affettive se non da maltrattamenti e abusi.
Queste vacanze, che creeranno in loro forti speranze e illusioni, pongono tanti interrogativi che riguardano soprattutto le conseguenze difficilmente riparabili derivanti dal fallimento del possibile “abbinamento”. Questi bambini, che attraverseranno l’oceano per passare “tre settimane di vacanza” con una famiglia in Italia, saranno ben consapevoli delle reali finalità di questa iniziativa, che inevitabilmente creerà in loro forti aspettative. Questa esperienza rappresenterà forse l’unica possibilità di avere una famiglia cui hanno diritto, ma che non hanno mai avuto… Sapranno anche che se questa “prova” non riuscirà, trascorreranno il resto della loro vita da soli, in istituto…
Chi di noi ha adottato bambini grandi sa, dai loro stessi racconti, con quanta angosciante preoccupazione e paura hanno vissuto l’incontro con quegli adulti che sarebbero poi diventati i loro i loro genitori; alcuni di essi, che avevano già vissuto precedenti tentativi di “abbinamento” falliti, al momento dell’incontro hanno manifestato reazioni di vero panico, temendo un nuovo rifiuto…
Siamo allibiti poi dalla soluzione proposta da Ai.Bi., nei casi in cui la coppia “non voglia tenersi il bambino al termine della vacanza”: come può vivere il bambino questa esperienza su cui ha posto tante aspettative? Come potrà superare questa ennesima frustrazione e accettare di essere un bambino che può andar bene sì per una vacanza, ma non per essere accolto e amato per sempre?
Non si può giocare sui sentimenti dei bambini e trattarli come un “giocattolo” o come un elettrodomestico ancora in garanzia che rilevatosi “difettoso”, viene restituito!
Questi bambini quanto dovranno simulare per rendersi desiderabili e/o accettabili agli occhi dei loro possibili genitori?
E’ inutile negare che i minori proposti sono bambini “impegnativi”: hanno subito sovente maltrattamenti ed abusi che li hanno segnati nel profondo e che richiedono, in base alle nostre esperienze, non solo tanto, tanto tempo, ma anche tanta pazienza, tante attenzioni e tante cure affettuose e continue da parte dei genitori. Per riuscire a colmare le gravi carenze affettive subite e recuperare il tempo perduto…
Dobbiamo anche operare non solo per trovare queste famiglie, ma soprattutto nel sostenerle nel loro difficile ruolo di genitori: come abbiamo ripetuto tante volte, non si può però pensare che l’adozione di un bambino “diverso” possa riuscire fidando solo sulla loro disponibilità : è necessario creare una rete di rapporti umani e sociali intorno ad esse che arricchisca la vita del nucleo familiare e ne impedisca l’isolamento.
E’ indispensabile anche un sostegno attento e continuativo da parte dei Servizi socio assistenziali e sanitari.
Com’è noto il comma 8 dell’art. 6 della legge 184/1083 e s.m. recita: «Nel caso di adozione dei minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992 n. 104, lo Stato, le Regioni e gli enti locali possono intervenire nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, con specifiche misure di carattere economico, eventualmente anche mediante misure di sostegno alla formazione e all’inserimento sociale, fino all’età di diciotto anni degli adottati» e quindi purtroppo non impegna le istituzioni a fornire gli aiuti previsti in quanto gli stessi sono subordinati alle «disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci».
Ai.Bi. e gli altri Enti autorizzati, che mirano all’aumento delle adozioni di minori “con bisogni speciali”, non dovrebbero limitarsi solo a proporre queste adozioni, ma contestualmente attivarsi nei confronti delle Istituzioni competenti affinché vengano assicurati i necessari sostegni, altrimenti si rischia di vedere aumentare il numero dei minori adottati inseriti in comunità perché i loro genitori, lasciati soli dagli Enti autorizzati ed abbandonati dai Servizi, non ce l’hanno più fatta!
Per promuovere e sostenere le ”adozioni difficili”, sarebbe anche necessario che gli Enti autorizzati sostenessero la proposta avanzata dall’Anfaa ai Tribunali per i minorenni, affinché nelle sentenze relative all’adozione dei minori italiani e stranieri ultradodicenni o con handicap accertato, venga precisato che agli adottanti devono essere estese le provvidenze previste dall’art. 6 della legge n.184/1983 e s.m. sopra citato e vengano indicati i Servizi sociali incaricati di supportare il nucleo adottivo (analogamente a quanto previsto per l’affidamento dalla legge n. 184/1983 e s.m.): questo monitoraggio consentirebbe di supportare il nucleo adottivo, svolgendo in tal modo un efficace azione preventiva.
Torino, 7 giugno 2013
Donata Nova Micucci
Presidente nazionale Anfaa
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Sul tema di seguito anche la lettera di una mamma adottiva Consigliere Nazionale Anfaa.
LETTERA DI ILIANA TOTARO, MAMMA ADOTTIVA, SUL PROGETTO “VACANZE ADOTTIVE” di Ai.Bi.
In qualità di mamma adottiva sono sconcertata dalla superficialità che caratterizza la proposta di Ai.Bi.
Ma come si può pensare di prelevare dei bambini da un continente per farli atterrare nel nostro, dandoli in prova a due adulti che, se le cose non andranno come loro si immaginavano, li rispediranno indietro, salvandosi pure la coscienza con l’idea di sostenerli da lontano?
Ma che proposta è?
Il mio sconcerto aumenta poi sapendo che tutto ciò è addirittura avvallato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, ovvero dall’Istituzione che a livello nazionale avrebbe il compito di garantire il buon operato degli Enti affinché ogni bambino veda riconosciuto il proprio diritto a crescere in famiglia! Ma ce lo ricordiamo ancora tutti che l’adozione serve per dare una famiglia a un bambino che non ce l’ha? O pensiamo che prima di tutto vada tutelata la serenità degli adulti, a cui diamo il giocattolo da provare, recapitato direttamente a casa, per vedere se funziona?
Mi dispiace ma, anche sforzandomi, non riesco davvero a capire come questa proposta possa favorire le adozioni di bambini grandicelli.
Inoltre la trovo profondamente immorale. E’ immorale perché con i sentimenti dei bambini non si scherza. Mai. Figuriamoci quando si tratta di bambini ai quali è già stata negata l’infanzia. Molta più cura dobbiamo avere nei loro confronti. Ancora più delicatezza, sensibilità e attenzione va loro riservata. E ciò non si ottiene di certo trattandoli come degli oggetti, che se piacciono potranno restare, altrimenti ritorneranno indietro, aggiungendo un altro gravissimo rifiuto a una vita che non è stata di certo generosa con loro.
E non è utile perché 3 settimane non sono niente. Niente per capire un bambino. In tre settimane non si sceglie un figlio. Perché un figlio non si sceglie mai. Un figlio lo si ama e basta. E lo si ama ancora prima di vederlo. Questo succede quando nasce dalla pancia. E questo succede quando nasce dal cuore. Quel figlio noi dobbiamo sentircelo nostro prima. Dobbiamo fargli spazio dentro di noi prima di incontrarlo, per poterlo contenere, per poter affrontare la sua rabbia, il suo dolore, le sue difficoltà.
L’adozione di un figlio non si può affrontare come un esperimento. Se va bene ce lo teniamo. Se va male lo restituiamo. Non funziona così. Perché se questo è il ragionamento, non ci sono vacanze prova, ma tutta la vita diventa una prova. E allora si che avvengono le cosiddette restituzioni.
E’ indubbio che l’adozione di bambini grandicelli o, come si dice, con bisogni speciali non sia semplice. Ma la soluzione per supportare la coppia, nel rispetto dei bambini, è quella di prepararla accuratamente prima e sostenerla concretamente dopo. Chi adotta non può essere lasciato solo. I servizi sociali e le ASL dovrebbero prevedere una corsia preferenziale per le famiglie adottive. Si dovrebbe realizzare una rete di sostegno, pubblica e gratuita, affinché le famiglie che hanno adottato ragazzi grandicelli o con difficoltà particolari trovino le risposte e gli aiuti necessari per andare avanti. Perché a volte l’amore non basta. Ma sono necessari interventi psico-pedagogici, percorsi di riabilitazione, attività di potenziamento cognitivo o comportamentale.
Le vacanze prova sono un’illusione, una riduzione semplicistica di situazioni altamente complesse. Sono sbagliate e mistificatorie, perché ci presentano la questione come se si trattasse di bambini che vengono in Italia per qualche scambio culturale e che se ci piacciono possiamo tenere, altrimenti rimandiamo indietro. Nella migliore delle ipotesi sono inutili, se va male sono dannose perché celano il significato devastante che un ulteriore rifiuto avrà su questi ragazzini.
Spiace davvero che un Ente, che ha sicuramente visto la sofferenza negli occhi dei tanti bambini che ha incontrato sul suo percorso, possa aver ideato un tale progetto.
A me, che sono una semplice mamma adottiva, e che ho visto solo gli occhi dei miei figli, non sarebbe mai venuto in mente.