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IL PROGETTO NEONATI DELLA CITTà DI TORINO

Storia e prospettive dell’affidamento di bambini piccolissimi

Torino – 20 marzo 2014 

Si è svolto il 20 marzo u.s. il seminario “Il progetto neonati della città di Torino: storia e prospettive dell’affidamento di bambini piccolissimi”, a conclusione di un percorso di ricerca finanziato dalla Provincia di Torino e iniziato nel 2011 a cui hanno partecipato rappresentanti dell’Autorità Giudiziaria minorile, operatori (assistenti sociali, psicologi) e associazioni. La ricerca è stata gestita dalla SFEP (Scuola Formazione Educazione Permanente) ed è stata condotta per gli aspetti metodologici dalla Professoressa Norma de Piccoli dell’Università di Torino: l’efficacia del progetto è stata valutata attraverso interviste agli operatori coinvolti e questionari inviati alle famiglie affidatarie che hanno accolto un minore del progetto neonati.

Nel corso del seminario conclusivo, che ha visto la partecipazione di oltre 200 persone tra operatori provenienti da tutto il territorio nazionale, Giudici, Avvocati, rappresentanti di associazioni e famiglie affidatarie, sono stati riportati gli esiti della ricerca che hanno messo in luce punti di forza e criticità del progetto.

Pubblichiamo il contributo “Considerazioni e questioni aperte, a partire dai dati della ricerca” di Enzo Genco, Direzione Centrale Politiche Sociali e Rapporti con le Aziende Sanitarie del Comune di Torino, che ripercorre le tappe storiche del progetto e riprende gli aspetti salienti emersi dalla ricerca, ponendo anche interessanti interrogativi rispetto ai possibili futuri sviluppi del progetto.

A seguire riportiamo la relazione presentata a questo seminario, redatta a cura dei rappresentanti delle Associazioni facenti parte del Tavolo Comunale sull’affido che hanno preso parte attivamente all’intero percorso di ricerca.

Per ulteriori approfondimenti sulla ricerca e sul progetto neonati del Comune di Torino vi invitiamo a consultare il nostro sito al link:

https://archivio.anfaa.it/blog/2014/04/08/seminario-conclusivo-del-percorso-di-ricerca-sul-progetto-neonati-della-citta-di-torino/

 

La Città di Torino, fin dalla delibera istitutiva dell’affidamento familiare residenziale del 1976, ha maturato nel corso degli anni una lunga esperienza in materia di affidamento familiare.

L’affidamento dei bambini piccolissimi (0-24 mesi), il cosiddetto “Progetto Neonati”, viene deliberato dalla Giunta Comunale nel 1995 quale alternativa all’inserimento nelle comunità di Pronta Accoglienza per minori 0-5 anni che in quegli anni contavano in città 6 strutture di cui 4 pubbliche (tre gestite dalla Provincia di Torino più una dalla Città) e due del privato-sociale.

Tuttavia, l’affidamento dei bambini piccoli prende slancio e vitalità dal 2001 con l’adesione/convergenza al Progetto, tramite un accordo operativo condiviso, da parte della magistratura minorile, delle AASSLL cittadine (convenzione Comune/ASL) e di diverse Associazioni operanti nel settore minorile insieme ad una nuova e più funzionale organizzazione che vede la messa a disposizione del progetto di un’equipe educativa di Luogo Neutro per l’osservazione/sostegno delle capacità genitoriali, composta da educatori con esperienza nella gestione di neonati e nel rapporto con le famiglie d’origine.

Negli anni successivi, in sintonia con la normativa nazionale, si registra un sempre maggiore utilizzo dell’affidamento per i bambini piccoli della fascia di età 0-5 anni, tanto da determinare una graduale e significativa diminuzione delle accoglienze in comunità con la conseguente riduzione delle strutture fino alla chiusura, nel 2012, delle ultime due comunità del privato-sociale. La recente DGR 25/2012 (“Approvazione della tipologia e dei requisiti strutturali e gestionali delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori. Revoca della DGR n. 41-12003 del 15.3.2004”) ha sancito tale impostazione non prevedendo più le comunità per i piccoli.

Tutto ciò in conformità a quanto auspicato dalla raccomandazione 110.2, contenuta nelle “Linee di indirizzo per l’affidamento familiare” pubblicata nel 2012 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che recita: “Assumere come politiche prioritarie per gli interventi di accoglienza quelle della promozione e sostegno delle diverse forme di affidamento familiare. Per la fascia 0-5 anni gli interventi di affidamento rappresenteranno progressivamente la risposta elettiva alla necessità di allontanamento. Devono, quindi, diminuire gradualmente e, ove possibile, scomparire gli inserimenti in struttura di bambini di tale fascia di età”.

A distanza di 18 anni dall’incipit del progetto, nel 2013 gli attori istituzionali e le Associazioni delle famiglie affidatarie, che all’epoca avevano contribuito alla nascita del progetto stesso, hanno valutato l’opportunità di realizzare una ricerca per rilevare lo stato dell’arte, i punti di forza e le criticità endogene ed esogene del progetto nonché le prospettive evolutive.

I dati della ricerca confermano che dal 2001 al 2013 circa 180 bambini hanno beneficiato dell’inserimento in famiglia affidataria fin dal loro primo allontanamento.

Dalla ricerca emergono aspetti di forza e alcune criticità, di seguito riportate, su cui riflettere in­sieme.

 

Aspetti positivi del Progetto Neonati

  • è funzionale per il bambino perché gli garantisce cura e continuità affettiva e relazionale grazie alla presenza di adulti significativi che sono i suoi punti di riferimento certi;
  • consente di evitare o ridurre i tempi di ospedalizzazione del bambino;
  • definisce obiettivi e tempi che talvolta si prolungano per ragioni di complessità della situazione familiare e delle procedure giudiziali;
  • si basa su un lavoro di rete caratterizzato da una buona funzionalità e coordinamento tra servizi (caratteristica che potrebbe essere estesa a tutti gli affidi);
  • consente un ridotto turn-over degli operatori che curano gli incontri in Luoghi Neutri;
  • rappresenta una valida alternativa a forme di istituzionalizzazione disfunzionali per lo sviluppo del bambino;
  • si basa su una buona selezione delle famiglie affidatarie;
  • cura la buona preparazione della famiglia affidataria;
  • prevede una buona preparazione dei bambini nel passaggio ad altra famiglia;
  • prevede e consente cura e sostegni per la famiglia affidataria.

 

Rispetto ad alcuni nodi critici che sono stati rilevati, la ricerca evidenzia

  • la necessità di un lavoro maggiormente congiunto tra le diverse figure professionali: un lavoro di rete consolidato ed efficace “che permane nel tempo”, che non si basi solo sulla disponibilità personale degli operatori o del servizio ma su procedure condivise e consolidate, assicurate da un “segretariato” di rete con il coinvolgimento di un gruppo di operatori sociali e sanitari dedicati;
  • l’esigenza di miglioramenti organizzativi quale la costituzione di équipe stabili;
  • la necessità di aumentare gli incontri della rete dei servizi che consenta di ottimizzare i tempi e di consolidare una più efficace collaborazione;
  • la necessità di una maggiore formazione degli operatori per migliorare gli scambi interprofessionali e le condivisioni;
  • l’esigenza di una maggiore centralizzazione del coordinamento dell’iter procedurale che superi la frammentazione dei ruoli e delle conseguenti decisioni;
  • l’opportunità di designare un operatore dedicato all’ascolto e al sostegno degli affidatari;
  • la necessità per gli operatori di condividere i modelli di genitorialità;
  • l’opportunità di individuare strategie comuni per la riduzione dei tempi delle procedure;
  • l’esigenza di una ancora più accurata selezione delle famiglie affidatarie;
  • la necessità di potenziare gli interventi di prevenzione dell’allontanamento con i sostegni alle famiglie d’origine;
  • l’opportunità di una valutazione per l’eventuale istituzione di un centro diurno in cui i genitori possano sperimentare/potenziare le capacità genitoriali;
  • la necessità di una valutazione per l’eventuale istituzione di strutture di accoglienza per coppie di genitori.

Dall’analisi delle diverse situazioni oggetto del Progetto Neonati emerge l’utilizzo ricorrente della CTU sovente dopo molti mesi dall’avvio dell’affidamento dei bambini con conseguente prolungamento dei tempi dell’intervento: da più parti si chiede se non sia opportuno prevedere l’intervento di tale consulenza a ridosso dell’avvio del Progetto Neonati.

La sintesi riferita relativa al Progetto Neonati, ritenuto una buona prassi, riguarda un intervento che si inserisce in un sistema integrato di servizi a favore dei minori e delle loro famiglie.

La Città, infatti, oltre ad avere operato per una più diffusa cultura dell’affidamento attraverso una campagna permanente di sensibilizzazione, ha rivisitato le proprie politiche socio assistenziali per potenziare i sostegni ai minori e ai loro nuclei a rischio al fine di evitare l’allontanamento e di consentire al minore di crescere ed essere educato nella propria famiglia (legge 184/83 così come modificata dalla 149/2001 “Diritto del minore ad una famiglia”).

Nel dicembre 2008 sono stati pertanto deliberati i criteri per l’appropriatezza di inserimenti e permanenze nelle strutture residenziali per minori individuando nuove tipologie di sostegni territoriali e domiciliari “tempestivi, mirati, temporanei ed intensi” per non dover ricorrere ad accoglienze in strutture residenziali altrimenti inevitabili, permettere le dimissioni dalle comunità (rientro nel nucleo di origine, presso parenti entro il quarto grado, oppure affidamenti) e sostenere gli affidi onde evitare l’interruzione degli stessi determinata da situazioni particolarmente difficili.

Tali sostegni, complementari e/o integrativi a quelli territoriali professionali con valenza educativa già disponibili (educativa territoriale, educativa riabilitativa, centri diurni educativi ed aggregativi, affidamenti diurni, Provaci ancora Sam, Accompagnamento Solidale, tirocini formativi), consistono in interventi anche domiciliari orientati alla relazione educativa e al rapporto del minore con la sua famiglia e alla sua crescita. Tali aiuti sono finalizzati a supportare il nucleo nella gestione di situazioni e momenti difficili, per l’accompagnamento del minore alle abilità sociali e per facilitare l’accesso alle risorse educative/ aggregative/ludiche del territorio, nonché a percorsi scolastici e professionali/lavorativi per avviare processi di autonomia ed durante lo svolgimento delle occupazioni quotidiane insieme al minore.

L’istituzione di tali sostegni domiciliari, sensibilmente cresciuti negli anni (72 progetti nel 2009, 99 nel 2010, 113 nel 2011, 140 nel 2012, 185 nel 2013 per un totale di 242 minori), ha permesso di contenere il ricorso all’allontanamento ed ha agevolato la partecipazione della Città alla sperimentazione del progetto PIPPI (Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionaliz­za­zione) proposto e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e guidato dal­l’Università di Padova, la cui idea di base prevede che nei percorsi di tutela si debba supportare il bambino, implementare le competenze genitoriali e valorizzare il sistema familiare. In tal modo si può garantire alle famiglie “trascuranti”che aderiscono al progetto, un sostegno intensivo per un periodo di tempo definito (18 mesi), al fine di superare o attenuare quelle criticità che diversamente potrebbero determinare l’allontanamento del minore (sono escluse le situazioni di abuso o maltrattamenti). Come riportato, infatti, nelle citate “Linee guida”, la raccomandazione 113.1 recita: “Riconoscere il dolore e la fatica dei genitori e del nucleo familiare del bambino in affidamento familiare per la separazione dal proprio figlio e per aver dovuto rivolgersi ed appoggiarsi a terzi (volontariamente o giudizialmente)”.

Il progetto PIPPI è un programma, impegnativo sia per le famiglie sia per i servizi sociali e sanitari che insieme partecipano alla costruzione del progetto di aiuto, che coinvolge nella definizione anche gli insegnanti e tutti gli altri operatori interessati alla situazione (medici dei servizi pubblici per le tossicodipendenze, psicologi, psichiatri e infermieri dei servizi di Salute mentale, …): l’intervento prevede un insieme di sostegni domiciliari, la presenza di una famiglia di appoggio solidale (affidamento diurno e affido “da famiglia a famiglia”) e momenti di incontro di gruppo con i genitori (e gruppi di bambini) che si scambiano esperienze, dubbi e speranze alla presenza di due facilitatori.

Queste tipologie di interventi, insieme ad una nuova modalità di approccio degli operatori sociali e sanitari, che contempla il coinvolgimento attivo delle famiglie d’origine e l’utilizzo di strumenti concreti (carte, disegni, storie…) per comprendersi e definire insieme gli obbiettivi da raggiungere (cfr metodo “PIPPI”), dovrebbero potenziare ulteriormente i sostegni alle capacità genitoriali delle famiglie al fine di ridurre il numero dei minori allontanati.

Nel 2013 è stata registrata una flessione degli affidi di neonati: da una prima analisi è stato verificato che per quattro situazioni, per le quali in passato si sarebbe ricorso al Progetto neonati, l’Autorità giudiziaria, tramite provvedimenti di MDDA, ha prescritto la nomina del tutore, il rientro dall’ospedale presso le rispettive abitazioni, l’incarico ai servizi sociali e sanitari per seguire la situazione con immediato e massiccio monitoraggio tramite interventi domiciliari educativi intensivi (anche quotidiani) per la tutela dei minori, per il sostegno ai nuclei e per l’osservazione delle competenze genitoriali.

Si è altresì rilevato che diversi altri provvedimenti prescrivono l’inserimento del nucleo madre/bambino in comunità o in alternativa, qualora la madre non fosse disponibile per l’ingresso in struttura, l’affidamento del bambino direttamente a famiglie aventi i requisiti per l’eventuale adozione. Per una di queste situazioni, a seguito del rifiuto della madre all’inserimento in comunità, il minore è stato affidato ad una coppia idonea alla sua eventuale adozione.

Alla luce dei risultati emersi da questa ricerca, gli attori istituzionali e non coinvolti in questo Progetto ritengono che lo strumento del Progetto neonati sia ancora appropriato e rispondente alle attuali esigenze?

Quali integrazioni e/o trasformazioni potrebbero essere previste/proposte?

La questione dei “tempi”: come conciliare le esigenze dei bambini piccolissimi e le esigenze processuali del “giusto processo”? E’ possibile prevedere dei canali preferenziali?

La risorsa della “famiglia accogliente” cambia e in tal caso “come” si modifica o può modificarsi l’operato del giudice, dell’operatore socio-sanitario, ecc.?

Quali accorgimenti, quali ricadute per esempio sulle modalità di comunicazione?

Si sta disegnando un diverso sistema di Welfare, che sollecita i cittadini a farsi carico volontariamente, in modo solidale, dei problemi comuni e in particolare dei piccoli cittadini in difficoltà di oggi che saranno gli adulti di domani: solo se tutti gli attori istituzionali avranno cura di questo capitale sociale (le famiglie affidatarie, bene prezioso) si potrà immaginare di diffondere la cultura della solidarietà e dell’accoglienza.

Tale approccio mette in evidenza l’importanza di considerare la famiglia affidataria “parte attiva del progetto” così come previsto dalle “Linee di indirizzo” nazionali in materia di affidamenti:

Raccomandazione 114.1: “Assicurare alla famiglia affidataria di essere “partner” del sistema dei servizi” garantendo la partecipazione attiva alla definizione e alla costruzione del progetto di affido e “riconoscendo il valore sociale, civile e politico dell’impegno di solidarietà delle famiglie affidatarie e le specifiche competenze educativo/re­la­zionali, migliorabili, ma non surrogabili professionalmente, da sostenere e valorizzare” (Racco­mandazione 114.2).

Il ricorso all’affidamento dei neonati, come sistema elettivo di accoglienza e cura degli stessi, a seguito di allontanamento, ha generato significativi cambiamenti come ad esempio la sempre maggiore diffusione dell’affidamento per i minori di tutte le fasce di età come modalità principale di accoglienza ed ha consentito, nel tempo, di superare le comunità per minori 0/5 anni.

A fronte di questi cambiamenti, conseguenti all’adozione di nuove o di potenziate tipologie di intervento, ci si domanda quali evoluzioni e quali prospettive e/o trasformazioni future ci si potrà aspettare, soprattutto per i bambini di questa fascia di età, grazie ai nuovi interventi messi in campo dalla Città a tutela dei minori e a sostegno delle famiglie e delle loro competenze genitoriali. Quali ulteriori suggerimenti si dovrebbero considerare per attivare tipologie di sostegni più incisivi finalizzati a rafforzare i fattori protettivi e relazionali delle famiglie?

Enzo Genco

 

Relazione dei Rappresentanti le Associazioni facenti parti del Tavolo comunale sull’affido

 

Premessa

Le Associazioni e i gruppi del Tavolo comunale sull’affidamento hanno partecipato, attraverso i loro rappresentanti, alla ricerca che oggi viene presentata ed a un focus group specifico che è stato loro riservato.

Noi abbiamo fortemente promosso e sostenuto l’affidamento dei piccolissimi, attraverso un impegno coordinato fin dal 2000, quando abbiamo avviato un confronto con il Comune di Torino e il Tribunale per i Minorenni, dando la nostra disponibilità a concordare insieme le condizioni per la loro realizzazione. La sperimentazione di questo progetto è stata approvata in una specifica riunione, tenutasi l‘11 novembre 2001, in cui erano presenti le Autorità giudiziarie minorili (i Presidenti della Sezione per i minorenni della Corte di appello e del Tribunale per i minorenni, nonché il Procura­tore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni). Le organizzazioni che hanno sottoscritto il progetto sono: Associazione Accomazzi, Associazione Gruppi Volontari per l’affidamento e l’adozione, Anfaa, Associazione Papa Giovanni XXIII, Odissea 33, Ufficio famiglia della Diocesi di Torino ed i gruppi di auto mutuo aiuto degli affidatari Rubino e Biancospino.

Nel corso degli anni abbiamo monitorato l’attuazione di questo Progetto, presentando considerazioni e proposte anche ai referenti istituzionali del Comune di Torino che alle AAGG. Dal confronto è nato il gruppo di lavoro istituito dall’Assessorato ai Servizi Sociali della Regione Piemonte, allo scopo di approfondire la tematica della salvaguardia della continuità del legame e della continuità affettiva nella storia del bambino affidato dichia­rato adottabile che necessitava di essere sostanziata sia sul piano procedurale che su quello operativo. Si è così giunti all’approvazione della Delibera­zione della Giunta Regionale 28 novembre 2012, n. 27-4956 “L. 4 maggio 1983 n. 184 e L.R. 1/2004. Indicazioni operative per i servizi sociali e sanitari sulla fase di passaggio del mi­nore dalla famiglia affidataria alla famiglia adot­tiva”.

Segnaliamo anche

3 l’importante circolare emanata dal Tribunale per i Minorenni nel 2007, che conserva tutta la sua validità ed è stata anzi rafforzata da quella emanata nel 2013;

3 il documento “La tutela della continuità degli affetti per i minori in affido” elaborato dal Tavolo Nazionale Affido (www.tavolonazionaleaffido.it).

Valutazioni sul Progetto

Le Associazioni danno una valutazione complessivamente positiva sugli affidamenti dei piccolissimi, che hanno dato concrete risposte alle esigenze affettive dei piccoli allontanati dalle loro famiglie, in alternativa al loro inserimento in comunità.

Condividiamo anche buona parte delle valutazioni emerse dalla Ricerca effettuata da SFEP e Comune di Torino.

 

Ci soffermiamo su alcuni punti:

  • Quali bimbi affidare

I bimbi cui prioritariamente il progetto dovrebbe continuare a rivolgersi sono:

3 bambini segnalati dai servizi socio-assistenziali o dai servizi sanitari (ospedali, Sert, psichiatria adulti, ecc.) al Tribunale per i Minorenni, rispetto ai quali quest’ultimo abbia disposto accertamenti ulteriori sul rapporto dei piccoli con i genitori;

3 bambini rispetto ai quali si sia interrotto il progetto di inserimento con i/il genitori/e in comunità;

3 bambini per i quali si evidenzi la necessità di effettuare ulteriori accertamenti sanitari o attendere un certo periodo di tempo per giungere ad una definizione precisa del loro stato di salute o della loro disabilità;

3 neonati non riconosciuti alla nascita, dimessi dall’ospedale, per i pochi giorni necessari a preparare il loro passaggio nella famiglia adottiva.

Riteniamo invece opportuno l’inserimento diretto del bambino in famiglia con i requisiti per l’adozione e l’attivazione di un affidamento a rischio giuridico, laddove ne sussistano i presupposti, senza il passaggio in affidamento familiare (come previsto dal protocollo del 1983).

 

  • Come prevenire ed intervenire nei confronti del nucleo familiare dei bimbi

Concordiamo sulla necessità:

3 di potenziare gli interventi nei confronti dei nuclei d’origine diretti alla prevenzione dell’allontanamento, che però devono basarsi su una diagnosi e su una prognosi realistica della situazione, realizzate attraverso una stretta collaborazione fra i Servizi socio assistenziali e quelli sanitari coinvolti NPI, SERT, Psichiatria adulti (sovente ancora latitanti, anche ai Tavoli in cui si dibattono queste tematiche);

3 di definire nel progetto specifico di affidamento non solo le modalità di incontro del piccolo con i genitori (v. punto sui luoghi neutri), ma anche gli interventi da attivare nei confronti del nucleo familiare durante l’affidamento da parte dei servizi coinvolti (tutti, non solo i servizi sociali) ed il relativo monitoraggio.

Segnaliamo che abbiamo forti perplessità sulla creazione di centri diurni, in cui la mamma ed il papà del piccolo “possano sperimentare /potenziare le loro capacità genitoriali” come proposto da alcuni intervistati nel corso della ricerca. Non solo sarebbero difficilmente realizzabili e praticabili (i genitori non lavorano?), ma rappresenterebbero comunque un contesto “falsato” per valutare, sostenere e potenziare le loro competenze genitoriali.

Si dovrebbe invece incrementare, durante l’affidamento, l’intervento presso la famiglia d’origine degli operatori dei Servizi che l’hanno in carico e che monitorino come il /i genitore/i si prende cura del proprio figlio nella vita quotidiana (pappa, addormentamento, bagnetto, gioco, pulizia della abitazione, ecc).

Tutto questo, a condizione che sia stata preventivamente valutata la fattibilità e che il piccolo non sia esposto a rischi (mettere in sicurezza il bambino: NO a bambini “terapeutici” per il recupero dei genitori).

 

  • Quali affidatari per i bimbi

Concordiamo sui requisiti degli affidatari emersi dalle interviste e sottolineiamo in particolare la necessità che abbiano esperienze positive pregresse di affidamento, preferendo le famiglie con figli, già in età scolare, in grado di condividere la scelta di accoglienza dei genitori, contribuendo alla realizzazione del progetto; le famiglie con esperienze pregresse si sanno anche meglio “destreggiare” con i diversi interlocutori: assistenti sociali, psicologi, educatori, giudici…) (1). Va valutata caso per caso l’opportunità di inserire un neonato in un nucleo familiare con altri minori da poco affidati o adottati, anche per le risonanze negative che possono avere su questi ultimi la convivenza e la successiva separazione; fortissime perplessità suscitano anche gli affidamenti a coppie senza figli e a famiglie alla loro prima esperienza di accoglienza.

Riteniamo necessaria la partecipazione degli affidatari al gruppo di sostegno (2), prevedendo momenti di incontro periodici di tutti gli affidatari (anche quelli che hanno concluso il loro affidamento) per un monitoraggio delle esperienze. Condividiamo la necessità di un adeguato “intervallo” fra un affidamento ed un altro, per dare a tutti i componenti della famiglia il tempo necessario per rielaborare l’esperienza vissuta e prepararsi eventualmente ad un’altra accoglienza.

 

  • Riservatezza, ascolto degli affidatari

Sottolineiamo la richiesta che tutti gli affidatari, quando sottoscrivono il documento “Impegno degli affidatari”, firmino anche una specifica dichiarazione in cui si impegnano a non divulgare informazioni relative al minore affidato e alla sua famiglia d’origine nonché l’identità della famiglia in cui il minore potrebbe essere inserito dopo l’affidamento (affidamento familiare, a rischio giuridico o preadottivo). All’impegno dovrebbe essere anche allegato il provvedimento dell’Autorità Giudiziaria con il calendario degli incontri del piccolo con la famiglia d’origine, periodicamente aggiornato (sede, orari, ecc., terapie, assistente sociale ed educatori di riferimento) che gli affidatari si impegnano a seguire.

Concordiamo sull’importanza che gli affidatari documentino lo sviluppo psico-fisico del piccolo affidato attraverso diario, fotografie, ecc.. Tutto questo sarà poi trasmesso dagli stessi alla famiglia di origine (genitori o parenti ) o agli affidatari a rischio giuridico in cui il minore verrà inserito a conclusione del progetto.

Sottolineiamo la necessità dell’ascolto, non rituale o tardivo degli affidatari, da parte del giudice, come previsto dall’art. 5 della legge n. 184/1983 ed in particolare:

3 prima che il Tribunale per i Minorenni assuma provvedimenti sul futuro del piccolo loro affidato;

3 prima che il Tribunale per i Minorenni provveda all’abbinamento del minore con la famiglia a rischio giuridico di adozione, affinché essi presentino, in uno specifico incontro, insieme agli operatori dei Servizi, la situazione del piccolo, corredandola della relativa documentazione, come previsto dalla DGR 27/2012: “la preparazione di un diario, di un album fotografico ecc. che ripercorrano le fasi della vita del bambino presso la fam. affidataria, possono essere strumenti facilitatori nella ricomposizione e narrazione della sua storia, e rappresentare un patrimonio che lo accompagnerà nella costruzione di nuovi legami”.

Ribadiamo che gli affidatari sono in grado di mantenere la necessaria riservatezza sull’identità degli affidatari a rischio giuridico con cui interagiscono nelle delicate fasi della reciproca conoscenza, del passaggio del piccolo e dei rapporti successivi all’inserimento: essi non possono essere considerati da operatori e giudici minorili prima una risorsa e poi un pericolo potenziale da cui proteggere gli affidatari a rischio giuridico.

Abbiamo esperienze molto significative sulla fattibilità di quanto affermiamo.

Sarebbe altresì necessario che il Tribunale per i Minorenni disponesse le modalità di mantenimento dei rapporti del bambino con la famiglia affidataria (non ci sono solo adulti, ma anche i figli degli affidatari) sia quando rientra a casa dai genitori oppure viene affidato a parenti (nonni o zii) sia quando viene affidato a rischio giuridico di adozione, come peraltro previsto dalla Circolare del TM del 2013.

 

  • Considerazione sul passaggio agli affidatari a rischio giuridico

Riteniamo che sia necessario un ulteriore impegno per vincere le resistenze e le perplessità che ancora si incontrano da parte di alcuni operatori, soprattutto delle équipes adozioni, e di alcuni magistrati in merito. Va anche segnalata la scarsa preparazione di una parte degli aspiranti genitori adottivi sul significato del “rischio” stesso (si parla ancora, anche da parte di alcuni operatori, di adozioni a rischio giuridico…) e sull’importanza della preparazione e di un buon accompagnamento del bambino nella nuova famiglia e della conservazione dei ricordi della sua, anche se breve, vita familiare precedente …

È inoltre importante ricordare che per il bambino, il collocamento a rischio giuridico rappresenta ancora una situazione precaria, potenzialmente non definitiva.

 

  • I tempi delle procedure

Rileviamo che sovente i tempi sono ulteriormente dilatati dal ricorso alle Consulenze Tecniche d’Ufficio (CTU), che richiedono diversi mesi per la loro realizzazione; ci chiediamo se queste non potrebbero essere sostituite da una richiesta di approfondimento ai Servizi del territorio, riducendo così in modo significativo tempi e costi.

Ribadiamo, inoltre, la necessità che siano “velocizzate” il più possibile le procedure dirette alla valutazione delle capacità genitoriali ai fini dell’accertamento dello stato di adottabilità (si può fare ancora molto al riguardo, sia da parte dei giudici che da parte degli operatori dei Servizi coinvolti) e che venga anche “valutata, caso per caso, l’opportunità che i bambini del progetto neonati riman­gano nel nucleo affidatario fino all’affidamento preadottivo, cioè fino alla definizione del suo stato di adottabilità, per evitargli eventuali altri “passaggi” familiari”, come a suo tempo proposto dalle as­so­ciazioni del Tavolo affidi del Comune di Torino.

 

  • L’accompagnamento degli affidatari da parte delle associazioni

La DGR 27/2012 stabilisce che “gli affidatari hanno la facoltà di farsi accompagnare da un’Associazione da loro indicata come previsto dalla Legge 184/1983 e smi, nel percorso del passaggio dall’affidamento all’adozione”. La Delibera riconosce la duplice funzione delle Associazioni:

3 di accompagnamento e supporto solidale della famiglia affidataria;

3 di stimolo alle istituzioni nello sviluppo di impianti progettuali e normativi capaci di fornire risposte adeguate a bisogni emergenti e nei casi di inadempienza nell’assolvimento dei compiti di tutela di bambini e famiglie in difficoltà.

 

  • Gli incontri in luogo neutro

Nel 2008 le Associazioni aderenti al Tavolo Affido del Comune di Torino hanno redatto un documento che conteneva alcune considerazioni sul luogo neutro. Ne riportiamo alcune che riteniamo tutt’oggi valide:

3 una completa valutazione da parte degli educatori e degli psicologi degli effetti dell’esperienza del luogo neutro sul bambino, può essere favorita da un dialogo costruttivo e costante con la famiglia affidataria, la quale può riferire i problemi che il bambino evidenzia prima e dopo le visite. Il confronto consente inoltre di integrare gli elementi di professionalità che il servizio deve assicurare, con la quotidianità che la famiglia affidataria raccoglie a stretto contatto col bambino;

3 nei casi in cui, dopo un certo periodo di osservazione, si prospetti un rientro in famiglia, ci si chiede perché il luogo neutro debba rimanere tale e non si passi ad effettuare gli incontri presso l’abitazione della famiglia d’origine, permettendo di sperimentare il rapporto affettivo in una situazione di maggiore normalità e serenità della famiglia stessa;

3 rispetto alla durata ed alle modalità delle visite, bisognerebbe evitare una eccessiva rigidità delle procedure, con l’obiettivo di salvaguardare l’equilibrio profondo del bimbo. I tempi di permanenza del bambino in luogo neutro sono troppo lunghi rispetto al tempo dell’incontro effettivo: arrivare mezz’ora prima e fermarsi mezz’ora dopo stanca il neonato e non dà ulteriori garanzie di privacy.

3 il luogo neutro non può andare avanti indefinitamente, ma deve darsi i tempi commisurati all’obbiettivo che deve perseguire in relazione al progetto. Nel luogo neutro si tende a utilizzare la stessa procedura per situazioni estremamente diverse e questo penalizza, oltre che il bambino, anche la famiglia di origine.

Non bisogna dimenticare che il luogo neutro induce comportamenti “artificiali”:

3 mamma e/o papà non giocherà con te solo un’ora alla settimana;

3 mamma e/o papà non ti imboccherà con la pappa preparata da altri;

3 mamma e/o papà forse deve attraversare tutta la città per raggiungere il luogo neutro e pensa che grazie a questo suo sacrificio il giudice non le “toglierà” più il bambino;

Ognuno di noi, sapendo di essere osservato e valutato, cerca più di apparire che di essere.

Per i motivi suddetti bisogna riconsiderare co­stan­temente quale sia il luogo più congeniale alle esigenze del bimbo. Non appena la situazione che gli sta attorno lo consenta, va verificata la possibilità di effettuare i suddetti incontri in casa dei genitori e/o degli stessi affidatari secondo le situazioni.

 

  • Altre considerazioni

3 dalla ricerca non emerge un dato importante: ci sono alcuni bimbi che, a seguito di una valutazione della loro particolare situazione familiare e personale, non rientrano nella famiglia d’origine, anche allargata, né vengono collocati in affidamento a rischio giuridico di adozione, ma restano affidati alla famiglia che li ha accolti perché, pur essendoci un legame significativo con i loro congiunti, non ci sono le condizioni per il loro rientro;

3 si sono verificate anche situazioni di minori gravemente handicappati dichiarati adottabili per i quali non è stata trovata una famiglia e che sono stati adottati dagli affidatari stessi (3);

 

  • Proposte di ricerche future

3 approfondire lo stato attuale di benessere dei numerosi bambini che sono stati in affidamento eterofamiliare da neonati;

3 conoscere le valutazioni e il punto di vista delle famiglie adottive che hanno accolto bambini provenienti dal progetto neonati. Le famiglie adottive aderenti alle Associazioni scriventi riferiscono che la loro esperienza in tal senso è certamente positiva (come emerso anche dalla ricerca).

 

A cura di

Frida Tonizzo, ANFAA

Alessia Ponchia, ANFAA

Alessia Rossato, Associazione Papa Giovanni XXIII

Giuseppina Ganio Mego, Uffici Caritas e Famiglia Diocesi di Torino e Gruppi Volontari per l’affidamento e l’adozione

 

 

 

(1) Ricordiamo che il Protocollo prevede: «Si ritiene che i possibili affidatari debbano essere individuati attraverso iniziative mirate fra famiglie che già hanno vissuto esperienze di affidamento e che abbiano una visione chiara e consapevole dell’impegno loro richiesto e della temporaneità dell’affidamento. A questi volontari va riconosciuto un ruolo importante nel progetto in modo tale che essi possano diventare interlocutori degli operatori e degli stessi giudici nella gestione dell’affidamento. Anche in base alle esperienze finora realizzate, la scelta dovrebbe essere orientata verso famiglie con figli già adolescenti o adulti; ci sono forti perplessità su quelle con bimbi piccoli o piccolissimi, che difficilmente potrebbero comprendere e “reggere” l’avvicendamento dei neonati affidati».

(2) Il Protocollo prevede: «Per quanto riguarda il mantenimento ed il sostegno del pool di affidatari, il gruppo è considerato indispensabile al fine di giungere ad una cultura tematica condivisa fra le famiglie coinvolte e realizzare una dimensione di appartenenza, che può sostenere nei momenti critici, come ad esempio quello del distacco dal neonato. In particolare si pensa ad un accompagnamento per il gruppo delle famiglie individuate che conterà sulla conduzione di due operatori preparati ogni 15-20 giorni, in orario adeguato alle esigenze lavorative degli affidatari. È possibile ipotizzare una serie di facilitazioni che consentano la reale e costante partecipazione degli interessati, come ad esempio coperture per i bambini durante lo svolgersi degli incontri. È opportuno prevedere che tale accompagnamento abbia una durata minima di circa sei mesi, durante i quali verrà monitorato per giungere ad ulteriori sviluppi quali ad esempio l’evoluzione in gruppo di auto-mutuo-aiuto».

(3) Sull’affidamento e l’adozione del minori disabili rinviamo alle considerazioni e proposte contenute nel documento del Tavolo nazionale affidi, disponibili sul sito www.tavolonazionaleaffidi.it