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tratto da Prospettive assistenziali n. 170-171

Positivo provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali a tutela della genitorialità e della filiazione adottiva

Il 18 marzo 2010 l’Anfaa ha scritto al Garante per la protezione dei dati personali chiedendo il suo autorevole intervento «a seguito delle allarmate segnalazioni pervenute a questa Associazione da figli e genitori adottivi a seguito della partecipazione di genitori d’origine di adottati alla trasmissione televisiva “Festa italiana”, in onda su Rai Uno dalle ore 14 alle ore 16, nella sezione “ti cerco”. Essi ricercano, a distanza anche di anni, citando nomi e circostanze precise (data e luogo di nascita, caratteristiche fisiche, ecc.) quelli che sono diventati, attraverso l’adozione, figli legittimi dei genitori scelti per loro dal Tribunale per i minorenni a seguito di un procedimento che ne ha accertato lo stato di adottabilità.

«La ricerca riguarda sovente adottati che hanno subito, anche per anni, deprivazioni, abusi e maltrattamenti, che li hanno anche profondamente segnati e che solo attraverso le amorevoli e continue cure dei genitori adottivi sono riusciti a superare, ma che hanno lasciato in loro cicatrici non cancellabili. Ovviamente di tutto questo non si parla nella trasmissione, gli appelli lanciati da quanti intervengono in trasmissione presentano la “loro” versione dei fatti (che vede sovente presentati come “colpevoli” dell’adozione gli operatori ed i giudici minorili).

«la conduttrice invita a segnalare notizie utili al loro rintraccio ad un numero verde, riportato in sovraimpressione sullo schermo. Per raggiungere lo scopo la redazione ci risulta ricorra anche a metodi discutibili».

Nella lettera l’Anfaa, dopo aver ricordato i metodi decisamente inaccettabili talvolta adottati dalla redazione della trasmissione (1), richiamava anche l’esposto dell’avv. Francesca Ichino Pellizzi, relativo ad un appello lanciato dalla genitrice durante la trasmissione del 10 marzo 2010, alla ricerca, dopo tanti anni, della figlia.

Sulla stessa vicenda ha inviato un esposto al Garante anche il Presidente del Tribunale per i minorenni di Genova Adriano Sansa.

Ritenendo che in questi casi fossero state violate le disposizioni previste dall’articolo 73 della legge n. 184/1983 oltre a quelle relative alla privacy l’Anfaa chiedeva l’intervento del Garante per far cessare questi appelli, che stavano creando gravissime preoccupazioni ed angoscia nei destinatari e nei loro genitori.

L’Anfaa ha nuovamente segnalato il 2 aprile 2010 al Garante che «in altre due puntate è stata reiterata l’illecita pratica di rintraccio di persone che grazie all’istituzione dell’adozione, da mino­renni sono stati collocati in una famiglia e hanno avuto un papà ed una mamma che si sono presi cura di loro e di cui sono diventati figli a tutti gli effetti. Nella puntata del 30 marzo 2010 è stato presentato il caso di una ragazza che cercava il fratello biologico collocato in adozione all’età di sei mesi; contestualmente, secondo la modalità già segnalata, in sovrimpressione scorreva un appello in cui si invitava chiunque avesse informazioni utili a mettersi in contatto con la redazione del programma tramite il numero verde indicato. La medesima circostanza si è verificata nella puntata del 1° aprile; una donna adottata in ricerca della sorella minore a sua volta adottata da un’altra famiglia ha addirittura fornito data e luogo di nascita e l’indicazione della regione di provenienza della famiglia adottiva. In questa puntata, oltre al solito appello nei sottotitoli, è stato anche mandato in onda un filmato con le immagini della minore risalenti al periodo precedente l’inserimento in famiglia adot­tiva».

In data 8 aprile 2010 il Garante per la protezione dei dati personali ha emesso un importante provvedimento in cui, dopo aver riassunto i fatti sopra esposti, ha preso atto degli impegni assunti dalla Rai di « non diffondere ulteriormente la puntata di “Festa italiana” del 10 marzo nella parte relativa alle vicende adottive in essa trattate» e di bloccare temporaneamente «ogni ulteriore trattamento compresa l’eventuale diffusione on line  delle informazioni relative alle vicende adottive trattate nelle puntate del 30 marzo e 1° aprile 2010 della trasmissione».

Ha quindi raccomandato «a Rai S.p.a. – considerata la già evidenziata delicatezza dei profili coinvolti da vicende quali quelle rappresentate nelle segnalazioni – di prestare particolare attenzione al rispetto delle (…) disposizioni in materia di adozione e, in particolare, di astenersi dal diffondere, in relazione a storie di genitori biologici e figli adottivi, i nomi veri, le reali date di nascita, immagini e altre informazioni idonee a permettere l’identificazione delle persone oggetto di eventuale ricerca, in contrasto con le garanzie di cui agli artt. 27 e 28 della (…) legge 4 maggio 1983, n. 184».

In data 6 maggio 2010, rilevato che, successivamente all’adozione del provvedimento di blocco e in pendenza dell’istruttoria, nella puntata di “Festa italiana” del 13 aprile sono stati trattati nuovamente dati personali attinenti alla vicenda adottiva raccontata nel corso della puntata del 30 marzo, essendo stato documentato il ritrovamento della persona cercata e l’incontro tra quest’ultima e la sorella e la madre biologica che lo cercavano, il Garante ha emesso un ulteriore provvedimento che riprende in fatto ed in diritto l’intera vicenda, e, rispetto al precedente, «dispone di avviare un autonomo procedimento in relazione alle conseguenze previste dall’articolo 162, comma 2 ter del Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) per l’inosservanza del provvedimento del Garante dell’8 aprile 2010, nonché di segnalare il caso all’autorità giudiziaria per le valutazioni di competenza alla luce di quanto previsto dall’articolo 170 del Codice citato».

L’Anfaa ringrazia sentitamente il Garante perché questo provvedimento rappresenta un sicuro riferimento per la tutela della privacy delle famiglie adottive e delle relazioni affettive ed educative che, attraverso l’adozione, si costruiscono fra genitori e figli.

Si segnala inoltre che è stato presentato dal­l’Anfaa il 22 marzo 2010 un esposto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, affinché verifichi «se nelle condotte poste in essere dai responsabili della trasmissione televisiva “Festa italiana” non siano ravvisabili estremi penali perseguibili dal reato previsto e punito dall’articolo 73 della legge 4 maggio 1983 n. 184, così come modificato dell’articolo 36 della legge 28 marzo 2001 n. 149».

DUE LETTERE SULL’INFORMAZIONE AL FIGLIO ADOTTIVO E SULL’IDENTITÀ DEI GENITORI BIOLOGICI

Riportiamo la lettera pubblicata su Facebook l’8 giugno 2010 spedita dal signor G. B. (con il quale gradiremmo incontrarci) alla Commissione Giu­stizia della Camera dei Deputati e la replica, della signora I. T., genitore adottivo da noi conosciuto, inviata il 23 giugno 2010 all’On. Giulia Buon­giorno, Presidente della succitata Commissione.

Al riguardo l’Anfaa rileva che se i genitori adottivi non sono intimamente convinti di essere il vero padre e la vera madre del figlio adottivo, è ben difficile che questi possa elaborare la propria condizione ed accettare di essere nato da altre persone, che non sono diventate i suoi genitori.

Nonostante le leggi 431/1967 e 184/1983 abbiano dato un salutare scossone alla ormai obsoleta cultura incentrata sulla filiazione quale atto preminentemente biologico, moltissimo resta ancora da fare per ottenere il riconoscimento che l’adozione di un bambino è equiparabile all’innesto di un pesco su un susino o su un mandorlo. I frutti, belli o brutti, buoni o cattivi, sono sempre e solo pesche, allo stesso modo di quel che avviene quando le radici sono di pesco. Non si tratta di una concezione nuova. Già Fedro e S. Giovanni Crisostomo, ad esempio, mettevano in evidenza secoli fa l’apporto determinante della relazione affettiva-formativa fra genitori (biologici o adottivi) ed i propri figli.

L’adozione dei minori in situazione di privazione di cure materiali e morali da parte dei genitori va, pertanto, considerata una seconda nascita che non annulla la prima, ma non ne conserva alcun legame giuridico. Come abbiamo visto, i frutti non sono più susine o mandorle, ma sempre e solo pesche. Non si tratta, inoltre, di cancellare i ricordi relativi alla loro storia personale. Occorre, invece, aiutare questi minori, soprattutto se adottati grandicelli, a rimarginare le ferite subite, quasi sempre assai gravi.

Lettera del signor G. B.

Sono un genitore adottivo di una ragazza che ora ha diciannove anni. Desidero portare all’attenzione della Commissione una mia testimonianza di vita, che spero possa integrare le relazioni già presenti relative all’esame delle tre proposte di legge degli onorevoli Paniz, Bossa e Zinzi riguardanti il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini biolo­giche.

Mia figlia non è stata riconosciuta alla nascita dalla sua madre naturale: questo ha significato per lei essere “troncata”, nella sua storia familiare, nelle parti più intime della sua stessa essenza.

L’attuale legge in merito, difatti, permette all’adottato di ottenere informazioni sulla famiglia di origine, con esclusione, appunto, dei ragazzi come la mia bambina.

Non intendo tediare la commissione con la cronistoria del disagio e della sofferenza cui ho quotidianamente assistito da parte della mia cara bambina, ma garantisco e testimonio personalmente che è devastante l’idea per qualsiasi soggetto di non essere stati desiderati. Nel caso di mia figlia ciò si è tramutato in un disagio ed una insicurezza di fondo contro cui ancora lei sta lottando e contro cui né io, né nessuno possiamo fare granché: è dentro il suo povero, piccolo cuore.

Non si parla qui di “obbligare” al ripensamento colei che a suo tempo per motivi sicuramente validi non ha voluto o potuto riconoscere il suo figlio naturale. Si parla di “dare una possibilità”, una “seconda chance” alla madre ed al figlio, se entrambi e solo se entrambi sono consenzienti in merito, di potere rimediare al tempo perduto.

Vivendo il problema, in rete ho avvicinato alcuni siti, in particolare su Facebook di figli non riconosciuti al momento della nascita e, senza temere di cadere in pietismi fuori luogo, ho sentito empaticamente da parte loro tanto dolore, tanta disperazione, tantissimo desiderio.

Signori Deputati, ascoltate la voce del cuore: fate qualcosa perché queste persone abbiano non l’obbligo, ma la possibilità di riconciliarsi con il loro passato se, e ripeto, solo se entrambe le parti sono consenzienti ad una riconciliazione.

Riconciliazione che non toglierebbe nulla a nessuno. Io sono un genitore adottivo, ma se la mia cara bambina potesse riabbracciare la sua mamma biologica, né io, né mia moglie ci sentiremmo scippati anche di un solo grammo dell’affetto di nostra figlia.

Senza contare che come ci sono tanti ragazzi che desiderano rivedere i loro genitori, ci sono sicuramente tante madri che hanno ripensato il gesto a suo tempo fatto: a tutti è giusto dare una seconda possibilità, a tutti dovrebbe essere consentito di rimediare ad un gesto che si è interiormente maturato come un errore.

Replica della signora I. T.

Gentile Onorevole, sono una mamma adottiva e sono venuta a conoscenza della lettera che un altro genitore adottivo ha rivolto alla Sua attenzione, in quanto ampiamente pubblicizzata su Facebook dal Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche.

Lo stesso genitore adottivo, sempre sul social network, afferma di voler sentire le ragioni di chi la pensa diversamente, definendo tale pensiero una “assurda posizione” e ricordando che «all’atto del­l’adozione noi abbiamo giurato e spergiurato di fronte a medici, psicologi, assistenti sociali che avremmo pensato solo ed unicamente alla serenità del bambino».

Vorrei pertanto esporre anche a Lei il mio punto di vista, pregandola di portarlo a conoscenza degli Onorevoli componenti della Commissione. In realtà, la mia “assurda posizione”, come definita da chi la pensa in maniera diversa, deriva proprio ed esattamente da quel principio che è stato premurosamente ricordato, ovvero che l’interesse primario da tutelare è quello del bambino. Sicuramente Lei saprà che nel 2007 su 1.344 minori adottabili in Italia, 641 erano quelli non riconosciuti alla nascita. Il 48%, quasi la metà. Nel 2006 erano stati 501 su 1.251 (40%), nel 2005 erano stati 429 su 1.168 (37%) mentre nel 2004 furono 410 su 1.064 (39%). Questi dati, che sono purtroppo anche gli ultimi disponibili, sono pubblicati sul 2° Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.

E questo significa che la garanzia della segretezza del parto è stata la condizione che ha consentito anno dopo anno a centinaia di bambini non riconosciuti di nascere e di essere accolti dopo pochi giorni da famiglie che li hanno adottati rendendoli loro figli legittimi a tutti gli effetti.

Io credo che la garanzia alla segretezza del parto e il diritto all’anonimato costituiscano, questi sì, una conquista civile non negoziabile e che non possano essere oggetto di addomesticamenti legislativi, in quanto sono normative ispirate all’esigenza di difendere la vita e la salute sia dei nascituri che delle gestanti.

Solo la garanzia di un parto veramente anonimo può indurre una donna a rivolgersi ad una struttura pubblica per portare a termine una gravidanza indesiderata evitando soluzioni più drammatiche sia per sé che per il bambino. Se si consentisse il futuro rintraccio della donna che non ha riconosciuto il proprio nato per accertare se è disponibile a rimettere in discussione la sua precedente decisione, che anonimato sarebbe? Quante donne continuerebbero a fare questa scelta? Quanti bambini continuerebbero a nascere?

Per quanto riguarda invece il supporto che noi genitori dovremmo dare ai nostri figli, credo che più che sostenere rintracci di chi molto probabilmente non vuole farsi rintracciare, sia nostro preciso dovere informarli tempestivamente ed adeguatamente sulla loro situazione adottiva e sulla loro storia personale. E questo lo credo non perché lo stabilisce, giustamente, la legge, ma semplicemente perché io mi sento appieno la madre dei miei figli, e non ho niente da nascondere, e non mi sento deprivata dal fatto di non averli portati nella mia pancia. Perché solo questa è la differenza.

Da dove sono venuti. Non dalla mia pancia, ma da un’altra. Tutto qui. Ma dal primo momento in cui li ho visti, addirittura dalla prima foto che ho ricevuto a seguito dell’abbinamento, io li ho sentiti completamente miei. Nei loro occhi ho visto i miei, nel loro bisogno d’amore ho visto il mio desiderio di amarli. E questo sentimento è cresciuto, e cresce, giorno dopo giorno, con un’intensità che non avrei mai potuto immaginare prima, e con una pienezza di vita che è difficile da rendere in due parole, ma che mi ha donato una gioia che nessuno potrà mai portarmi via. E questo lo dico perché mi sembra che chi si stupisce di una posizione come la mia, pensi che noi genitori adottivi abbiamo paura di perdere qualcosa per il fatto che i nostri figli, ormai adulti, possano rintracciare o riallacciare legami con le persone che li hanno generati. Niente di più sbagliato.

Cosa potrebbero togliermi da grandi? La gioia di averli amati? Assolutamente no. E poi sarebbe come essere gelosa delle persone che, da adulti, incontreranno, e con cui instaureranno rapporti fondamentali per la loro vita. Questa sì che sarebbe un’assurdità. Ma così non è. E lo dico davvero in maniera disinteressata, perché la mia è stata un’adozione internazionale, per cui i miei figli, peraltro adottati già in età scolare, potranno, secondo la legge attuale, se lo vorranno e raggiunti i 25 anni, accedere alle informazioni che riguardano lo loro origine e l’identità dei genitori biologici, che peraltro ricordano.

Le autorità del loro Paese hanno verificato e dichiarato il loro stato di adottabilità e la loro adozione da parte nostra, dando ai nostri figli la famiglia cui avevano diritto e che non potevano avere nel loro Paese: questa è la verità mai negata loro e con cui si stanno già confrontando.

Perché allora non dare anche alle persone non riconosciute alla nascita questa stessa possibilità? L’ho detto all’inizio: perché la loro esistenza è dovuta proprio al non riconoscimento, e perché per soddisfare un bisogno di persone adulte si metterebbe a rischio la nascita in sicurezza di tanti bambini. Ciò non significa negare o sottovalutare la sofferenza profonda di alcune persone.

Leggo quello che scrivono, seguo la loro battaglia, con molti siamo “amici di Facebook”, il che significa che posso vedere i pensieri che vogliono condividere. E posso assicurare di avere immenso rispetto per il loro dolore, ma volerlo sanare pensando unicamente a se stessi e non prendendo in considerazione che così facendo negheranno una possibilità di vita a tanti altri bambini, non mi sembra un approccio condivisibile. E non capisco perché noi dovremmo sostenerlo, e pure con tanto orgoglio, come fa il genitore adottivo che mi ha spinto a scrivere questa lettera.

Tra l’altro, e per finire, io non riesco a condividere l’idea che sta alla base di un certo modo di pensare, che ha portato alle richieste di modifica dell’art. 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ultimamente alimentato anche da trasmissioni che puntano solo a fare audiencenon considerando il ruolo di servizio pubblico che invece dovrebbero svolgere, e secondo il quale il cosiddetto “legame di sangue” debba sempre prevalere, sia cioè dotato di uno status superiore rispetto ai legami affettivi.

Dal mio punto di vista è esattamente il contrario: il legame vero, fondante la personalità, è quello affettivo, quello che si è vissuto quotidianamente, giorno per giorno, e grazie al quale genitori e figli, insieme, sono diventati, passo dopo passo, le persone che sono ora, in un rapporto di crescita reciproca.

Fuorviante concezione dell’adozione sponsorizzata dall’Associazione Amici dei bambini

Pubblichiamo la lettera aperta inviata l’8 maggio 2010 da Graziella Tagliani al Presidente dell’As­so­­ciazione Amici dei bambini.

Sono una figlia adottiva adulta che, navigando su Internet, ha avuto l’occasione di vedere lo spot realizzato dall’Associazione Amici dei bambini in collaborazione con la Sterpaia, Bottega dell’Arte della Comunicazione diretta da Oliviero Toscani, per promuovere “La Giornata del figlio” che si terrà il 23 maggio p.v.

Pur apprezzando l’iniziativa di voler dedicare una giornata alle problematiche legate all’abbandono dei minori e al loro diritto di essere accolti all’interno di una famiglia adottiva, unitamente alla felice scelta di sponsorizzare l’iniziativa attraverso le parole dei giovani “protagonisti”, contesto il contenuto dello spot nella parte in cui si dà particolare rilievo al “legame di sangue”, attribuendo l’aggettivo “vero” alla famiglia d’origine.

Uno dei ragazzini intervistati dichiara infatti: «Se potrei rivedere la mia vera famiglia sarei sempre felice (…) perché posso vedere da chi sono nato e chi è mia madre veramente».

Stupisce che, ai giorni nostri, si dia ancora tutta questa importanza alla relazione biologica, dimenticando che i veri genitori sono quelli che, con amorevole dedizione, ti curano, ti seguono e ti amano giorno per giorno.

Come ormai dimostrato, anche scientificamente, è nel quotidiano esplicitarsi di questo rapporto d’amore, che si definisce la personalità di ciascuno di noi, indipendentemente dal patrimonio genetico di cui siamo portatori.

L’utilizzo superficiale del linguaggio in questa materia rischia di delegittimare la famiglia adottiva, disconoscendo l’importanza e la preminenza dei legami affettivi ed educativi rispetto a quelli biologici “culturalmente” preferiti; ed in tal modo si finisce con il deresponsabilizzare gli stessi soggetti coinvolti nell’adozione (genitori biologici in primis), con grave pregiudizio per il minore.

Spero che questo appello al rigore nella scelta delle parole non cada nel vuoto, ma induca alla riflessione coloro che, nel campo della comunicazione, giocano un ruolo determinante nella diffusione della cultura.

Resto a disposizione per un confronto sul tema e cordialmente saluto.

(1) Vedasi al riguardo il “Notiziario Anfaa” pubblicato sul n. 166/1999 di Prospettive assistenziali.

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