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tratto da Prospettive assistenziali n. 169

La scuola dell’accoglienza. Apprendere dalle differenze

CRISTINA CASASCHI *

Il 16 ottobre 2009, a Milano, nella prestigiosa sede della sala delle Colonne della Banca popolare di Milano, gentilmente concessa per l’occasione, si è svolto un importante appuntamento: il convegno nazionale “La scuola dell’accoglienza. Apprendere dalle differenze”.

Il Convegno, promosso dall’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, è stato realizzato in collaborazione con la Fondazione promozione sociale onlus, Prospettive Assistenziali, Comitato per l’integrazione scolastica e con la partecipazione della rivista dell’Editore Giunti. L’iniziativa ha avuto rilievo nazionale, ma la sua realizzazione sul territorio milanese ha goduto del patrocinio del Comune di Milano e della Regione Lombardia.

Non ultima, ha patrocinato l’iniziativa anche l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, ex Irre Lombardia, ente di ricerca del Ministero dell’istruzione, università e ricerca, da sempre attento alla promozione ed alla valorizzazione delle esperienze educative e didattiche che favoriscono il successo formativo di tutti e di ciascuno.

Proprio in qualità di ricercatrice del nucleo territoriale lombardo dell’Agenzia, mi è stato concesso il privilegio di moderare i lavori della giornata, i quali hanno appieno soddisfatto le aspettative dei partecipanti sia per la qualità culturale delle relazioni presentate, che per l’offerta di spunti operativi concreti ed articolati.

Per testimoniare la qualità dell’esperienza vissuta nel corso dei lavori è suggestivo partire dalla proposta del Teatro Forum, “Parliamo di adozione e affidamento agli adulti di oggi e di domani”, una performance teatrale presentata nel pomeriggio, tanto delicata quanto coinvolgente, curata da Adriana Zamboni, Manuela Massarenti ed Emilia De Rienzo.

Alle parole dei bambini e dei ragazzi è stata data voce d’attore, fili tesi hanno costruito trame ed intrecci di storie, pennellate di colore hanno tracciato emozioni, domande d’amore, risposte d’amore in un susseguirsi di riflessioni tanto più profonde, quanto più fedeli riproposizioni dei pensieri di un’infanzia e di una giovinezza alla ricerca di sé.

I contenuti della mattinata, densi e culturalmente articolati, hanno assunto nuova pregnanza e significato, sono stati come vivificati, direi quasi reificati grazie a questa pièce teatrale ove la poesia dei gesti, dei suoni, dei silenzi ha dato una dimensione fisica, percettibile, palpabile al bisogno di accoglienza e riconoscimento che accomuna tutti gli esseri umani, e che si esprime in modo ancora più evidente e talvolta drammatico in coloro che sono portatori di ferite identitarie più antiche o recenti. Questo era il tema portante del convegno, e la rappresentazione ha favorito il superamento di una logica troppo spesso intellettualistica nella quale spesso rischia di incistarsi la riflessione dei professionisti, ed ha aiutato tutti noi ad avvicinarci al cuore dell’accoglienza, che è questione del cuore dell’uomo.

È stato difficile, dopo, riprendere le fila di un discorso fatto di parole, perché altro è il piano comunicativo analogico sul quale Adriana Zamboni e Manuela Massarenti hanno saputo portarci. Loro, certo, ma attraverso di loro ciò che ci è giunto, è il messaggio forte e chiaro dell’importanza per tutti e per ciascuno di poter abitare nella mente e nel cuore dell’altro, prima ancora che in uno spazio fisico ben curato e predisposto, ove l’essenziale è trovare uno spazio preparato per sé in cui poter essere “a proprio agio”, ovvero accolti per ciò che siamo, con i nostri limiti, con il nostro bagaglio di incertezza, fatica e fame d’amore. E se questo, dicevamo, vale per ciascuno di noi, e con evidenza ed urgenza ancora maggiore per i bambini in adozione ed affido, allo stesso modo vale per tutti i rapporti significativi che nella vita si stabiliscono, tanto più ove il nostro io è chiamato a fare capolino e, come una lumaca dopo il temporale, a scoprire il mondo. Uno degli ambiti preferenziali nei quali questa scoperta apprenditiva accade nell’infanzia e nell’adolescenza è la scuola.

La scuola dunque non può esimersi dalla responsabilità di una coscienza dell’importanza del ruolo che svolge, dall’applicare un’attenzione precisa e personalizzata a tutte le persone, bambino e ragazzo, che si trova nella circostanza di accompagnare per un tratto di vita, dall’essere adulta nella tenuta e nella proposta (tante volte assistiamo a docenti bisognosi loro per primi di accoglienza e riconoscimento, che maldestramente riversano questo bisogno sui propri alunni facendo del loro compito professionale un abbeveratoio di placebo emotivi) e dall’essere consapevole che per fare tutto questo non si può operare come una monade isolata ed eburnea, ma occorre costruire rapporti di reciprocità fra colleghi e con le famiglie.

Ed è proprio su questi piani di responsabilità consapevole, ove l’accoglienza si fa pratica quotidiana esercitata da persone attraverso lo strumento della propria professionalità in azione, che si sono concentrate le preziose relazioni di apertura di Emilia De Rienzo e di Giuliana Galeotti.

La prima, autrice di numerose pubblicazioni, tra le quali la recente Stare bene insieme a scuola si può?, edita dall’Utet Università, ha potuto centrare con cognizione di causa alcune questioni relative al bambino in affido od adozione a scuola poiché proviene da una trentennale esperienza di insegnamento su cui ha maturato metariflessioni di spessore; ciò che personalmente ho più apprezzato nel suo interessante contributo è stato da un lato dare spazio, riconoscimento, valore all’importanza delle emozioni e dei sentimenti delle persone coinvolte nel processo di apprendimento e insegnamento (bambino dunque, ma anche insegnante), e sottolineare di conseguenza l’importanza di creare un clima classe favorevole all’accoglienza ed all’incontro autentico, ma dall’altro non fermarsi a questa, pur fondamentale, dimensione. L’accoglienza è vera e reale quando riesce a permettere all’altro di esprimere sé nella sua pienezza ed interezza quindi, a scuola, l’accoglienza è tale se consente di imparare, e l’accoglienza è tale se, in chi la esercita, non si limita alla creazione di un “clima favorevole”, ma diviene una precisa responsabilità personale. Ovvero, tutti, dall’insegnante ai bambini, sono chiamati in prima persona a rispondere responsabilmente alle e nelle situazioni. Quindi anche ad imparare, conoscenze ma anche competenze di vita e relazione. E questo fortifica, mette in condivisione, rende consapevoli, fa crescere una comunità fatta di differenze, ovvero di ricchezze.

Ed il tema della differenza quale ricchezza è stato poi ripreso ed articolato compiutamente dai due contributi di Marisa Faloppa, insegnante, psicopedagogista e presidente-socio fondatore del Comitato per l’integrazione scolastica di Torino e Maria Grazia Breda, mamma affidataria di vecchia data, presidente della Fondazione promozione sociale onlus e coordinatrice del Csa, Coordina­mento sanità e assistenza fra i movimenti di base, cui aderiscono ventidue associazioni impegnate sul fronte del volontariato dei diritti.

I loro contributi militanti hanno, in chiaroscuro, messo in evidenza come il tema del valore dei diritti accomuni tutti, e debba vedere tutti ugualmente e soddisfacentemente garantiti. Si è parlato di diritti personali, sociali e civili, quali il diritto all’educazione, all’avere sani modelli di riferimento, alla famiglia, il diritto alla diagnosi ed alla cura per arrivare poi a questioni più strettamente attinenti il contesto scolastico e alle annose questioni relative al rapporto numerico tra docenti ed alunni, al ruolo degli insegnanti di sostegno, ai compiti degli enti locali e del Ministero e così via. Mi si perdoni la brevità, che riduce questioni così importanti quasi ad un elenco della spesa, ma evidenzio almeno un fatto importante e decisivo: la sottolineatura anche degli aspetti di maggiore criticità, ed il richiamo alle responsabilità istituzionali, si è sempre svolto in un contesto ed un richiamo costante ed ugualmente forte alla responsabilità personale che ciascuno può e deve esercitare nel proprio spazio di influenza quotidiano, nel proprio piccolo potremmo dire, che poi spesso è quello che nelle relazioni fa la differenza. Se questo non esime chi è impegnato nella promozione dei diritti dal farsi costantemente portavoce presso i soggetti pubblici della necessità di intervenire in modo sempre più mirato, allo stesso tempo impegna tutti in una attivazione soggettiva e responsabile, come la vita della scuola, quando è vissuta come comunità educante, testimonia.

Proprio su questo, e sulla indispensabile e non più procrastinabile partnership tra scuola e famiglia, si è concentrata la dotta ma anche concreta relazione di Giuliana Galeotti, dottore di ricerca in sociologia e metodologia della ricerca sociale. Al centro la persona, ed intorno ad essa la promozione di legami basati sulla fiducia e non sulla delega, sulla corresponsabilità e non sulla divisione, sulla comunicazione e non sulla incomunicabilità strisciante, purtroppo sempre più presente, come anche alcuni interventi dei partecipanti al convegno hanno testimoniato.

L’assemblea infatti era numerosa, attenta e partecipe, e sono rimasta piacevolmente sorpresa dal notare come la maggior parte di essa fosse preparata al dibattito con interventi pensati e meditati, che hanno offerto un contributo alla giornata non certo estemporaneo, ma frutto di un lavoro di associazione che è proprio quello di compagnia, condivisione, riflessione comune e percorso di confronto che rende ragione della ricchezza del mondo associazionistico italiano, del quale l’Anfaa è chiara e ricca testimonianza. Sono intervenuti insegnanti, genitori ed anche una giovane figlia adottiva, che ci ha restituito la memoria ormai in parte metabolizzata della fatica del suo percorso scolastico, riconfermandoci quanto sia essenziale ed insostituibile il sentirsi ac­colta come persona portatrice di un valore assoluto che trascende le proprie difficoltà contingenti, ma che attraverso di esse deve passare per esprimersi appieno. Il bambino non chiede di essere dispensato dalla fatica del crescere, ma di essere accompagnato in essa da una mano salda che sostiene nel cammino, che garantisce che il percorso è per un bene, che non fa sentire solo e sbagliato ma fiducioso di quella fiducia che nasce dall’essere accolto e voluto bene, ovvero per il quale si vuole il bene.

In un menù così saporito, non poteva mancare un piatto accattivante e incoraggiante, ed esso ci è stato offerto da Anna Stroppa e Giuse Tiraboschi, psicoterapeuta ed insegnante pedagogista, le quali ci hanno mostrato come a scuola tutto ciò che è stato presentato contenutisticamente sia davvero possibile, come davvero la scuola possa essere accogliente nei fatti, e attraverso questo suo essere attenta alla persona di ciascuno possa facilitare per tutti il processo di apprendimento. Il percorso illustrato è stato “Impa­rare con il cuore e con la mente”, come a dire che noi siamo un intero, e non possiamo, non dobbiamo sezionarci separando la parte cognitiva dalla dimensione affettiva, ma è proprio dalla loro reciproca compenetrazione e valorizzazione che nascono gli apprendimenti più significativi e profondi, così come le esperienze relazionali più appaganti.

Altrettanto interessante e gustosa è stata l’illustrazione del cd interattivo con materiale didattico “Il bosco delle betulle” realizzato a cura della sezione Anfaa di Novara e Piemonte orientale con la collaborazione del Centro di servizio per il volontariato della Provincia di Novara e presentato in sede di convegno da Emilia Pistoia, Segretario Anfaa nazionale e Presidente della sezione di Novara della stessa associazione.

Una comunicazione di Carla Ida Salvati, direttore de La Vita Scolatica – Sesamo e Scuola dell’infanzia, ha messo in evidenza come anche le riviste di settore possano contribuire non solo ad acuire la coscienza professionale e ad arricchire la riflessione culturale sui temi sensibili dell’educazione a scuola, ma anche fornire preziosi spunti didattici nati da esperienze di scuola vissuta e sperimentata, che possono costituire nuovo stimolo per la comunità professionale docente. Perché questa operazione sia seria e dotata di senso è necessario però che sia governata da soggetti esperti del mondo della scuola e dell’educazione, e non solo da professionisti dell’editoria, in un mix di competenze didattiche ed editoriali che Giunti Scuola si impegna da anni a garantire.

Come potrete immaginare, il compito di moderare tale ricchezza di contributi, nel quale sono stata affiancata dalla attenta presenza di Frida Tonizzo, assistente sociale dell’Anfaa, è stato grato e lieto, in quanto non ho potuto che trarre grande arricchimento da questa intensa giornata di lavoro.

I temi mi erano noti, in quanto da anni me ne occupo come ricercatrice, ma l’intensità dei lavori mi ha permesso di scoprire aspetti nuovi e inesplorati, riaccendendo il desiderio di proseguire nella ricerca e nell’approfondimento che va nella direzione della semplificazione, della ricerca dell’essenziale perché di questo, credo, il nostro impegno educativo consapevole ha bisogno.

Marcel Proust sintetizza quello che io ritengo sia l’importante e affatto scontato apporto che un convegno può dare a ciascuno quando, il mattino dopo, rientra nella sua propria classe, magari problematica, certamente impegnativa, trasferendo nel proprio sguardo tutti gli spunti recepiti: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel vedere nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi». Questo è l’augurio che rinnovo ai presenti del 16 ottobre, ed auspico per me, ogni giorno.

* Ricercatrice presso Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, psicopedagogista.

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