Sezione di Cuneo
Genitorialità al cinema
Nell’ambito degli incontri di formazione e sostegno alle famiglie interessate o già impegnate sul fronte dell’accoglienza e della famiglia aperta, la sezione ANFAA di Cuneo, in collaborazione con il “Centro per le famiglie” del Consorzio Socio-Assistenziale del Cuneese, la Provincia di Cuneo e con il patrocinio del Comune, ha organizzato nel mese di febbraio due serate e un pomeriggio di proiezione cinematografica sul tema della famiglia accogliente.
La scelta di un linguaggio non convenzionale per dire “accoglienza” quale in questo caso il cinema, è nata dall’esigenza e dalla necessità di aprire il confronto sulle nuove frontiere dell’affidamento e dell’affiancamento a tutta la cittadinanza (cercando di superare così il cerchio ristretto di chi già ci conosce) ed è stata una carta vincente che ha incontrato favorevolmente il nostro pubblico di genitori adottivi, affidatari, single interessati alla tematica, nuove coppie, nonni…
Infatti le tre proiezioni, due per adulti e una per bambini, introdotte da un’esperta in storia e critica del cinema, hanno totalizzato 188 presenze per ogni serata (sala esaurita!).
Si è cercato di “osare” un linguaggio cinematografico per creare quello spazio emotivo nel quale suscitare “genitorialità altra” della quale si ha urgente bisogno, ricercare nuovi volontari come famiglie affidatarie e affiancanti, far conoscere l’attività dell’associazione sul territorio cittadino. In particolare accrescere la consapevolezza delle responsabilità che la nostra società ha nei confronti dei minori privi del calore di una famiglia, fornire elementi di riflessione e di maturazione nella complessa problematica dell’abbandono e del disagio minorile, suscitare possibilità concrete di accoglienza nella famiglia, aumentando così il numero delle disponibilità per la “banca dati affidamenti” dell’ASL 1 Cuneo.
L’obiettivo è stato quello di offrire tre pellicole di qualità, non scontate e introdotte dall’ intervento dell’esperta che ha aiutato il pubblico a gustarle in profondità: “LA PIVELLINA di Tizza Covi, Italia-Austria 2009; VAI E VIVRAI di Radu Mihaleanu, Francia-Israele 2005; UP di Pete Docter e Bobo Peterson, Walt Disney, USA 2009.
LA PIVELLINA di Tizza Covi, Italia-Austria 2009
E’ il racconto di un breve periodo della vita di una famiglia di giostrai e circensi che un giorno accoglie Asia, una bimba di 2 anni lasciata sull’altalena di un parco giochi con un biglietto e una foto della mamma in tasca. La bambina si inserisce perfettamente in questa famiglia che cerca di sopravvivere come può al dilagare della mono cultura, continuando a camminare con dignità sulla propria, fangosa strada.
VAI E VIVRAI di Radu Mihaleanu, Francia-Israele 2005
1984. Centinaia di migliaia di Africani trovano rifugio nei campi profughi in Sudan. Gli Israeliani, con l’aiuto degli Americani, portano in salvo gli etiopi di origine ebrea, i Falasha. Un bambino viene salvato dalla madre che lo fa salire su un convoglio facendolo passare per ebreo. Verrà adottato da una famiglia israeliana e crescerà con il desiderio di rivedere la madre misto al conflitto interiore dato dalla consapevolezza della non appartenenza.
UP di Peter Docter e Bobo Peterson, Walt Disney 2009
Carl Fredricksen è un anziano signore che per tutta la vita ha sognato di girare il mondo, ma ha dovuto scontrarsi coi problemi della realtà quotidiana come le bollette e gli acciacchi dell’età. Quando a 72 anni la vita sembra non offrirgli più tempo per realizzare il suo sogno bussa alla sua porta Russel, un boyscout di 8 anni che deve fare la sua buona azione. Sarà con lui che Carl Fredricksen intraprenderà il viaggio dei suoi sogni in Sudamerica, dove incontreranno animali selvaggi e persino degli inaspettati nemici.
Sull’onda positiva di “linguaggi altri per dire ACCOGLIENZA” e inserendoci a buon titolo nel “Mese della famiglia” promosso dal Comune di Cuneo, per il prossimo maggio proveremo a proporre “CHIAMAMI PER NOME” una serata di letture teatrali, tra parole e musica sul problema dell’affidamento familiare.
La compagnia è tutta cuneese “Il Melarancio” e così ci dice…”Ci sono esperienze, che sono proprie di tutti i bambini, per esempio la caduta di un dentino o l’arrivo di Babbo Natale, e altre che capitano soltanto ad alcuni, come per esempio avere “un’altra famiglia che accoglie” per un po’. Questo spettacolo è dedicato a tutti quei bambini lì, che “… come Tex hanno rischiato di morire di sete nel deserto, di sfracellarsi giù da una scarpata o di congelare in una tormenta…”, ma poi qualcuno si è preso cura di loro quando qualcun altro, in quel momento non poteva farlo.
Parole e musica per raccontare le storie di tanti “affidamenti”, partendo dall’inizio, assaggiandone i desideri (da quelli del bambino, a quelli delle famiglie coinvolte), le fatiche e i piccoli miracoli quotidiani, con uno sguardo che ne fotografa la complessità e i significati, attingendo a suggestioni letterarie, testimonianze, e alla ricchezza del meraviglioso immaginario infantile”.
Cinema, teatro, musica, suggestioni …. parlano al cuore. Forse soprattutto di questo abbiamo bisogno!
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Sezione Lombarda
Grazie Giancarlo
Ho condiviso con Giancarlo Lesmo, Presidente della Sezione Lombarda per anni, un lungo periodo di intenso lavoro a favore dei minori, di incontri con le istituzioni, dove la sua lunga esperienza aveva sempre la meglio sul linguaggio “politichese” dei diversi Assessori alla famiglia.
Le serate a tema su affido e adozione, rivolte a sensibilizzare il pubblico su questi temi, lo hanno sempre visto un protagonista di primo piano nel difendere il diritto dei bambini a vivere e crescere in una famiglia.
Le sue esperienze personali e di famiglia come volontario “puro”, l’umiltà con la quale ha svolto la sua attività nell’associazione, il tempo che ha messo al servizio degli “altri”, in questo caso dei minori per dare voce a chi non ha voce, per obbligare all’ascolto chi preferisce girare la faccia dall’altra parte, tutto questo è sempre stato un esempio forte che ha permesso a me e a tutti gli altri amici della Sezione di portare avanti il nostro impegno sempre “dalla parte dei bambini”.
Grazie Giancarlo, con affetto.
Mariagrazia e gli amici dell’Anfaa Lombarda
Perché il gruppo di auto – aiuto per i genitori adottivi?
Il primo giorno, a casa insieme: le fantasie lasciano il posto alla realtà. Comincia la vita di tutti i giorni, ma accanto alla felicità di aver realizzato un desiderio nutrito per tanto tempo, ci si trova a dover rispondere a tante domande: domande che riguardano il bambino (o la bambina o i bambini) e domande che riguardano se stessi.
La prima è come capirlo, e non solo perché questo piccolo a volte non parla la nostra lingua ma perché bisogna imparare a decifrare cosa vogliono dire i suoi atteggiamenti: i suoi silenzi, la sua acquiescenza o i suoi rifiuti, le richieste d’affetto, insomma quali sono i suoi bisogni. La seconda è come fargli capire quanto si vorrebbe che si sentisse accolto e amato, come fargli accettare le regole e le piccole imposizioni, quanto si desidera che abbia fiducia in coloro che non chiedono che di sentirsi i suoi genitori.
I genitori adottivi si accorgono presto che le tante cose che ci si è sentiti dire sulle possibili difficoltà dell’adozione, che le indicazioni e i suggerimenti ricevuti sono sì un prezioso capitale, ma che questo capitale va utilizzato in modo personale perché quelle sono argomentazioni generali, sia pure dedotte da anni e anni d’esperienza, ma lì ci sono loro, ognuno con le proprie diverse sensibilità, modalità d’approccio ai rapporti affettivi, desideri e aspettative: tante e diverse, quanti sono i genitori e i bambini.
Si sa che ci vuole tempo e pazienza: tempo e pazienza che variano a seconda dell’età del bambino, la sua storia precedente, il suo carattere, tempo e pazienza che mettono alla prova la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità.
Come per qualsiasi genitore, di fronte alla crescita dei figli, ogni esperienza con loro, ogni tappa è una novità che mette in gioco, perché se razionalmente si sanno tante cose, viverle in prima persona è un’altra questione. Man mano che passa il tempo i genitori adottivi si confrontano con quell’evento particolare che è l’adozione, e si chiedono spesso che cosa veramente essa comporti, oltre al fatto di accogliere un bambino che non è nato da loro e che ha una parte di storia che non appartiene alla loro: quanto tenerne conto, fino a che punto attribuire ad essa le difficoltà che si possono incontrare, come in questo bambino l’adozione e la sua storia possono influire sulla normale vicenda del crescere, come stargli accanto nel modo migliore e vivere questa esperienza con serenità.
Capita, quindi, di sentirsi soli, talvolta pieni di dubbi, in difficoltà a confrontarsi con gli altri genitori, che non si pongono le stesse domande, e a chiedersi dove trovare risposte e chiarezza e rinsaldare la propria fiducia.
L’incontro con altri genitori che stanno facendo la stessa esperienza è un’opportunità preziosa. Avere occasione di fare il proprio percorso di genitori condividendo gli avvenimenti, le emozioni, i dubbi, non è solo un aiuto nei confronti dei figli, ma è la risorsa per affrontare il percorso della genitorialità adottiva in modo più consapevole e sereno.
Nel gruppo si può raccontare ciò che accade ed esprimere ciò che si sente a qualcuno che è in grado di comprendere perché sta affrontando lo stesso cammino; ascoltando e sentendosi ascoltati, ci si riconosce negli altri e si può attingere, pur nelle differenze, dalle esperienze altrui. Se è vero che ciascuno porta avanti la propria vicenda in modo personale, nelle parole e nei racconti dei partecipanti, infatti, si scoprono sempre spunti e suggestioni che poi ognuno può utilizzare, adattandoli a se stessi e alla propria realtà. E, reciprocamente, sentirsi utile, offrendo le proprie esperienze e le proprie riflessioni, in un rapporto di scambio che consente di sperimentare l’adozione non più come una storia un po’ particolare e da vivere in solitudine perché ha aspetti che gli altri non possono comprendere, ma come una vicenda comunicabile e comprensibile. Ci si riconosce e ci si aiuta nei dubbi e nei timori su quei genitori biologici che non si sa quanto contino nella vita dei figli, sulle loro domande, sul loro silenzio a proposito della loro origine. Ma soprattutto, nel rapporto con gli altri, si rafforza il proprio sentirsi genitori e diventa meno gravoso l’impegno di fronte alla difficoltà del quotidiano, la scuola, le amicizie, la socialità, i conflitti che costellano la vita con i figli, perché è così per tutti.
Partecipare ad uno di questi gruppi, consente – in virtù della comune natura di genitori adottivi – di fare un’esperienza preziosa per ogni individuo, quella di potersi identificare con la storia e le emozioni degli altri e di sentire gli altri identificarsi con le proprie. E’ questo che fa sì che nel gruppo si riesca ad andare alla ricerca e alla scoperta del significato di ciò che avviene con i propri figli e in se stessi e trovare le chiavi per dare contorni meno confusi a ciò che a volte sembra quasi impossibile da capire e a rendere accettabili le difficoltà.
Essere nel gruppo implica rinunciare alla fantasia di poter fare tutto da soli, ma fa scoprire la ricchezza che l’aprirsi agli altri mette a disposizione per sé e per i propri figli.
A cura di Maria Pia Gardini, psicologa
Chi è interessato a iscriversi ai gruppi che si tengono a Milano, contatti la Segreteria al n. 02.4985528 oppure via mail aanfaamilano@libero.it
Sezione di Novara e Piemonte Orientale
Convegno: “la violenza intrafamiliare – rimedi civili e penali”
Nell’autunno scorso è stata inaugurata la sede di Novara della Camera Minorile in CamMiNo. Si tratta di un’associazione nazionale di avvocati e praticanti che operano prevalentemente nel campo del diritto minorile e di famiglia che ha tra gli scopi associativi lo studio, la ricerca, la formazione e l’aggiornamento professionale di figure altamente specializzate nell’ambito delle suddette discipline. Poiché l’obiettivo prioritario della Camera è la promozione e la tutela dei diritti delle persone, soprattutto dei soggetti deboli, nell’ambito della famiglia e delle formazioni sociali, l’inaugurazione è avvenuta con un Convegno su “La violenza intrafamiliare -rimedi civili e penali”.
Tra le interessanti relazioni introdotte dall’evento, ci è parsa di particolare rilevanza “Gli interventi restrittivi e ablativi sulla potestà” tenuta dal Dott. Francesco Sirchia del Tribunale per i Minorenni di Torino. I temi trattati hanno riguardato gli interventi d’urgenza del TM di fronte al danno psicologico ed evolutivo che il minore ha quando subisce maltrattamenti o abusi in famiglia, sia direttamente o anche quando è presente ad episodi violenti tra il padre e la madre pur non essendone direttamente coinvolto. Il relatore ha approfondito gli strumenti che vengono di volta in volta presi in considerazione come:
• limitazione della potestà di uno o entrambi i genitori
• prescrizioni ai genitori stessi
• qualora i genitori risultassero collaboranti: sostegno al domicilio con l’inserimento di educatori nella famiglia
• collocamento del minore presso familiari (nonni o altro)
• valutazione per un eventuale affido etero familiare con alcune precisazioni: non è facile reperire le famiglie affidatarie che si facciano carico di bambini o ragazzi che hanno subito maltrattamenti ed in ogni caso devono essere famiglie preparate e supportate.
Qualora questi strumenti risultassero insufficienti o inadeguati si procede a
• decadenza della potestà parentale
• allontanamento del minore in modo meno traumatico possibile
• dichiarazione dello stato di abbandono e conseguente adottabilità del minore
La relazione è continuata con precisazioni relative al ruolo dei difensori, alle relazioni periodiche dei servizi, sottolineando l’importanza delle audizioni sia della famiglia sia – nel particolare – del minore se ha compiuto gli anni 12 ma anche di età inferiore se ritenuto in grado di sostenere il colloquio, in quest’ultimo caso il bambino verrà sentito con una differente modalità (luogo protetto, presenza di una psicologa competente in materia ecc.)
Sono state sottolineate nel particolare le procedure seguite:
• incarichi ai servizi socio-assistenziali locali
• l’importanza del progetto con obiettivo primario recupero della famiglia di origine
• successivo riadattamento del progetto in relazione alle dinamiche intervenute
La relazione è terminata con l’indicazione che l’affido etero familiare ha senso se non si trasforma in un’adozione mascherata ma anche con un piccolo aneddoto: “Un ragazzina di 14 anni è stata sentita dal TM in relazione alla sua situazione di affidata (già da alcuni anni) presso una famiglia. Alla domanda «ma tu come chiami i tuoi affidatari?» la ragazza risponde «Mamma e papà» aggiungendo subito «perché un bambino ha il diritto di avere vicino qualcuno da poter chiamare mamma e papà».
Quando le parole “contano”: il senso dell’adozione.
L’AUTOSTIMA CORRISPONDE ALLA “CONSIDERAZIONE CHE UN INDIVIDUO HA DI SE STESSO” (Galimberti U., 1999)
Nei corsi di formazione predisposti nel corso degli anni sia per genitori che per insegnanti si è spesso parlato di autostima in quanto coinvolge grandi e piccoli riguardo al “concetto di sé”.
Si è anche predisposto uno schema con frasi negative di svalutazione e frasi positive di valorizzazione. A questo riguardo ci siamo interrogati sia come genitori adottivi che insegnanti sul linguaggio usato in alcuni contesti che coinvolgono sia la scuola che la società, vedi concorsi per la scuola (es. “adotta un bosco” promosso dal Corpo forestale dello Stato e approvato dal MIUR) o le iniziative promosse da Enti pubblici e privati per stimolare l’interesse (e i contributi) della gente verso monumenti o altro (“adotta una piazza, un vigneto, una panchina…” e chi ne ha più ne metta).
Il linguaggio usato in questi contesti non è certamente appropriato e non è sicuramente di aiuto rispetto all’autostima di una bambino nato in adozione.
Come associazione facciamo un lavoro ad ampio raggio con insegnanti, educatori, famiglie, per far sì che i nostri bambini “stiano bene a scuola” oltre che per far loro superare le difficoltà ed i vuoti dell’ambiente in cui hanno vissuto prima di diventare nostri figli, nati dal cuore. Infatti, l’adozione è l’atto sociale e giuridico in base al quale i bambini diventano figli a tutti gli effetti di genitori che non li hanno procreati e, parallelamente, i genitori diventano padre e madre di un figlio non nato da loro.
Siamo entrati nella loro vita a piccoli passi perché i bambini adottati, anche quando hanno una piccola storia alle spalle, avvertono l’ambiente che sta loro intorno con una grande profondità in quanto – avendo vissuto il trauma dell’allontanamento da una situazione particolarmente difficile – non hanno sperimentato il senso di fiducia. Ci chiediamo allora se Enti prestigiosi (come ad es. il FAI) o educativi (come il MIUR) non possano usare termini differenti per sensibilizzare i progetti di cui si occupano. In particolare Enti pubblici e privati usano la parola adozione per raccogliere fondi a sostegno delle loro pur lodevoli iniziative ed a maggior ragione non ci sembra corretto questo collegamento.
Vogliamo allora denunciare gli effetti deleteri che le sempre più diffuse “adozioni” fasulle propagandate da mass media per pubblicizzare i più svariati prodotti (adotta una strada, un monumento, un albero, ecc.) hanno su una corretta concezione dell’adozione ma soprattutto sull’autostima dei nostri figli (quale concezione di sé può avere un bambino se paragonato a una panchina o a una villa da restaurare?). È anche scorretto utilizzare la denominazione adozione a distanza per indicare iniziative dirette a supportare progetti nei confronti di bambini e dei loro familiari nei Paesi del sud del mondo e in questo contesto già molti hanno modificato la frase in “sostegno a distanza”.
Siamo consapevoli che stiamo parlando di un processo culturale da verificare su tempi lunghi, e che dietro a queste che noi giudichiamo “scorrettezze” si nascondono pregiudizi e non conoscenza del tema delicatissimo delle adozioni. Proprio perché l’esperienza dell’adozione è alla fine quella di una “ famiglia sociale “, aperta agli altri e alle diversità, il nostro impegno continua ad essere quello di farne conoscere e apprezzare il valore, anche lavorando perché i protagonisti di queste storie siano felici.
a cura del gruppo di lavoro della sezione di Novara
Sezione di Reggio Emilia
Un progetto rivolto ai preadolescenti e ai genitori: “Stessi luoghi, sguardi differenti”
Viaggio alla Scuola di Barbiana (FI), sulle orme di Don Lorenzo Milani
Quando succede, le prime volte, è un po’ una mazzata per noi genitori: ciò che proponiamo ai nostri figli non li interessa più, sembra che viviamo su due pianeti distanti, loro e noi. Dobbiamo rassegnarci quindi a vite parallele, a porte chiuse, a commenti sarcastici sui nostri gusti? Noi pensiamo di no. D’altronde, non è così facile avere occasioni e argomenti di confronto che ci portino a scavare un po’ più a fondo rispetto alla routine degli orari quotidiani..
“E se, senza esagerare con le spese, organizzassimo un viaggio in comitiva?” Ci siamo detti. “E se invitassimo tutte le famiglie che incontriamo, anche se non si conoscono tra loro, basta che abbiano uno o più figli pre-adolescenti?”
“E se quel viaggio avesse come mèta un posto bello, in cui avesse per giunta vissuto un personaggio interessante? E se là ci accogliessero dei testimoni avendo una storia da raccontare?”
Difficile annoiarsi, in questo caso. Perché poi per i ragazzi c’è anche un compito da svolgere: raccogliere le impressioni dei coetanei, riferirle ai genitori ed ascoltare infine ciò che di questa esperienza ha colpito loro, gli adulti. C’è una sfumatura di gara tra due squadre in tutto questo, è un linguaggio che può essere divertente…
La nostra prima tappa è stata Barbiana, sulle colline toscane, una chiesa con una canonica annessa che si raggiunge con un’ora di cammino in salita e che conserva intatte le due stanze in cui Don Milani faceva scuola ai figli dei contadini del circondario.
Si era nei primi anni ’60, Firenze e il mondo da lassù parevano lontanissimi; eppure, non essendoci niente da perdere, si poteva osare di tutto. Don Milani faceva in modo che fosse la vita stessa a fare scuola.
Ebbene sì, alla fine abbiamo parlato di scuola, tra di noi e con i nostri figli: e quanti stimoli da questa domenica, fortunatamente luminosissima di sole, vissuta insieme!
Dopo aver ridisceso il monte, abbiamo costituito due gruppi, uno dei ragazzi e l’altro dei genitori, per commentare l’esperienza e poi unire i nostri sguardi. Proviamo a fornire un riassunto, sotto forma di dialogo, di ciò che ci siamo “portati a casa”:
Ragazzi: La scuola è un posto strano, tutti sono uguali, non ci sono differenze né razzismo. Anche Don Milani, che non aveva la Laurea, sbagliava le operazioni e i ragazzi ridevano. Loro non avevano paura del Professore, era un loro amico ed imparavano insieme. Andare a scuola significa imparare a vivere.
Adulti: Abbiamo visto una scuola senza libri, dove si studiavano degli esempi, non delle teorie. Abbiamo imparato che si possono fare cose grandi anche con piccoli mezzi.
Ragazzi: Le scuole di oggi sono noiose e sembrano dei riformatori. La scuola dovrebbe essere un posto bello in cui studiare e socializzare. Il racconto su Luciano era molto interessante: quel bambino con la sua voglia di studiare e di imparare è un personaggio “contagioso”…
Adulti: A volte le nostre scuole indulgono un po’ all’infantilismo, coi disegni colorati alle pareti, i giochi… A Barbiana c’è solo e sempre l’essenziale, si “prendono sul serio” le persone.
Ragazzi: (1) Dal mio punto di vista la serietà della scuola è cambiata; ai vecchi tempi i ragazzi erano in difficoltà, incapaci di capire ma con tanta voglia di imparare. Oggi si pensa al divertimento…
(2) … per me la scuola è un luogo di sfogo, in cui posso scatenarmi (ma non troppo) e mi diverto con gli amici per tutto il tempo che voglio; ed è anche un luogo di studio…
(3) La scuola di Don Milani, così “a tempo pieno” è bella, trascorrevano così tanto tempo insieme…. Immagino che questi ragazzi si conoscessero davvero molto bene, e con il tempo forse hanno capito le difficoltà e le qualità di ogni membro della “grande famiglia”.
Adulti: Don Milani non aveva il concetto di selezione, lavorava con “quello che c’era”. Era esigente con i ragazzi, e al tempo stesso grandemente rispettoso dei loro bisogni. Non era interessato a trasmettere nozioni, ma ad educare, con lo stile dell’ascolto, dell’amore….in fin dei conti, è stato un grande genitore!
Ragazzi: Don Milani fu per i suoi alunni una sorta di luce che li guidava, un padre che amorevolmente si occupava di loro, un maestro che credeva nelle loro capacità ed ogni giorno portava avanti la sua missione.
Adulti: A Barbiana si cercavano le idee capaci di formare le persone alla libertà, ad essere cittadini, a difendere dei valori anche se controcorrente..
Ragazzi: La scuola, sì, è un po’ noiosa, ma se non ci fosse non potremmo diventare ciò che vorremmo fare da grandi.
Adulti: Chi insegna si ritrova ad imparare tanto dai ragazzi che crescono.
Ragazzi: la scuola e’ vivere insieme, aiutarsi a vicenda e condividere l’impegno e la fatica, ma anche il divertimento e la compagnia degli altri.
Beh, lo confessiamo: proprio in quell’età in cui ci paiono preda della pigrizia più totale, ancorati a ciò che è di moda fare o pensare tra i loro coetanei, i nostri figli possono essere migliori di noi nelle riflessioni, nell’ascolto e nel lavorare in gruppo!
Tra i foglietti da loro scritti, ne abbiamo trovati due che ci sembra possano riassumere il livello di raggiungimento del nostro obiettivo.
Uno recita: “La giornata mi è piaciuta molto perché c’erano dei vecchi che raccontavano”
L’altro addirittura va aldilà delle nostre rosee aspettative e così sintetizza:
“Vorrei che la scuola di un tempo si unisse alla scuola di oggi, per creare la scuola perfetta…”.
Il successo di questa prima tappa ci ha spinto a prepararne altre due per il prossimo autunno. E ci spinge anche a riparlare di scuola……
Sezione di Torino
Sostenere le adozioni difficili
Una coppia che si accosta all’adozione difficilmente pensa spontaneamente a un bambino “diverso”; di fronte a lui si sente investita da una responsabilità e da un impegno molto grandi. A volte gli operatori sociali e i giudici, convinti a priori della difficoltà di trovare famiglie disponibili anche per questi bambini, non le cercano e si arrendono con molta facilità, non fanno nulla per sensibilizzare l’opinione pubblica a questo problema.
Indubbiamente l’adozione di questi bambini non può avere luogo con le stesse procedure che si seguono per gli altri. Per una scelta di questo genere non basta una motivazione che scaturisca da una scelta “dalla parte degli ultimi” e/o di impegno civile: è necessario che scatti un coinvolgimento interiore che permetta di vedere al di là della “diversità”. Ci sono bambini che, gravemente handicappati, malati o duramente provati dalle gravissime violenze ed abusi subiti, l’hanno trovata, anche attraverso l’Anfaa; il nostro pensiero va a Fabrizio, Andrea, Vincenzo, Ilaria, Federica …
Ma tanti altri la stanno ancora aspettando e forse non l’avranno mai …
Sul versante istituzionale, va ricordato che stiamo ancora aspettando la Banca dati prevista dall’articolo 40 della legge 149/2001, non ancora operativa a distanza di quasi dieci anni, che sarebbe utile anche per poter conoscere le situazioni dei minori dichiarati adottabili e non adottati e per assumere le necessarie iniziative per cercare loro una famiglia.
Non ci sono neppure dati relativi all’età e alle condizioni psico-fisiche dei minori adottabili e adottati in Italia: i dati ISTAT, peraltro fermi al 31 dicembre 2007, riportano solo il numero complessivo.
Sappiamo unicamente che il Capo dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia nella lettera inviata il 17 marzo 2008 al Presidente dell’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza ha segnalato che, secondo i dati forniti dai Tribunali per i minorenni, erano 191 i minori «adottabili in via definitiva per i quali non era intervenuto da almeno sei mesi, per la difficoltà a reperire una idonea collocazione familiare, un provvedimento di affidamento preadottivo» . Il loro «mancato affidamento a scopo di adozione è dovuto, in primo luogo, alle condizioni sanitarie gravi o gravissime del minore, le quali, in alcuni casi, comportano la necessità di assistenza medica specialistica e, in secondo luogo, all’età adolescenziale». Alcuni di loro sono stati affidati a famiglie o inseriti in comunità, di moltissimi non viene specificata l’attuale collocazione (viene utilizzata sovente la generica formula “in struttura”) (1).
E’ spesso un incontro a determinare una scelta: una famiglia viene a conoscenza, attraverso i canali più diversi, della storia di un bambino e si lascia interrogare. Così può iniziare un’esperienza, un cammino certamente faticoso, ma che può dare la gioia di vivere a un bambino al di là delle sue oggettive menomazioni e molta ricchezza alla famiglia che lo ha accettato.
Non si può però pensare che l’adozione di un bambino “diverso” possa riuscire fidando solo sulla disponibilità della famiglia: è indispensabile poter contare su una rete di rapporti umani e sociali intorno ad essa che arricchisca la vita del nucleo familiare e ne impedisca l’isolamento. La loro disponibilità deve essere accompagnata e sostenuta da tutta la società civile e, in primo luogo, dalle istituzioni.
Il comma 8 dell’art. 6 della legge 149/2001 recita: «Nel caso di adozione dei minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992 n. 104, lo Stato, le Regioni e gli enti locali possono intervenire nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, con specifiche misure di carattere economico, eventualmente anche mediante misure di sostegno alla formazione e all’inserimento sociale, fino all’età di diciotto anni degli adottati»e quindi purtroppo non impegna le istituzioni a fornire gli aiuti previsti in quanto gli stessi sono subordinati alle «disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci».
La Regione Piemonte è l’unica che abbia assunto provvedimenti per rendere operative queste disposizioni, erogando attraverso gli Enti gestori degli interventi assistenziali, un contributo spese equiparato a quello per l’affidamento familiare a favore dei genitori adottivi di minori sopra i 12 anni o con handicap accertato, sino alla maggiore età. Secondo gli ultimi dati erano 97 i minori seguiti. Sono questi alcuni degli aspetti trattati nel corso del seminario ‘Come sostenere le adozioni difficili. Il ruolo delle istituzioni e delle associazioni’ promosso da Cismai, Fondazione Paideia e Anfaa a Torino il 26 maggio scorso presso la sede della Fondazione Paideia.
Sono interventi Marisa Pedrocco Biancardi, psicologa psicoterapeuta, autrice del libro “La cicogna miope, dalla famiglia che violenta alla famiglia che ripara” (Franco Angeli ed.), Antonella Caprioglio, dirigente in staff alla Direzione Politiche Sociali Regione Piemonte, Alberto Astesano, giudice onorario Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d’Aosta, Roberto Maurizio, collaboratore Fondazione Paideia, Dario Merlino, presidente Cismai, Emilia De Rienzo, insegnante e scrittrice, Mauro Perino, direttore Consorzio Cisap Collegno – Grugliasco. Ha coordinato i lavori Frida Tonizzo, consigliere Anfaa.
Questo Seminario ha rappresentato un primo momento di confronto fra operatori, giudici e associazioni di volontariato, che i promotori si sono impegnati a proseguire sulla base di un documento condiviso. Gli obiettivi sono: individuare ulteriori proposte e percorsi per conoscere tempestivamente le situazioni di questi bambini (prima si interviene, meglio è!), cercare loro le famiglie più idonee e per garantire, anche in questi tempi di crisi, i necessari supporti per il loro miglior inserimento non solo in famiglia, ma anche nella scuola di tutti, insieme agli altri allievi, e nella vita sociale.
Coloro che fossero interessati ad approfondire con noi questi temi possono contattare la sede anfaa di Torino (mail: segreteria@anfaa.it).
L’ANFAA al salone del libro di Torino
Nel corso del 24° Salone del libro che si è svolto a Torino dal 12 al 16 maggio 2011, l’Anfaa è stata invitata ad intervenire alla presentazione del libro “La porta spalancata. Accogliere conviene” (Ed. Sei, 2011) di Adriano Moraglio e Sandro Bocchio. Il volume raccoglie i racconti di una giovane adulta cresciuta in affidamento e di nove coppie che raccontano le loro esperienze di accoglienza di bambini, adolescenti, giovani, anziani, ex tossicodipendenti, ex prostitute.
Nel corso della serata gli autori hanno chiamato ad un confronto due realtà associative ben radicate nel territorio torinese: l’Anfaa e Famiglie per l’accoglienza (di cui le famiglie che si raccontano nel libro sono rappresentanti). Per l’Anfaa ho partecipato io insieme a Luisella Guasco (famiglia affidataria socia), mentre per Famiglie per l’accoglienza era presente Agnese Massa e alcune famiglie protagoniste del libro.
É stato un momento di confronto importante, in cui è emersa in modo a mio avviso molto significativa la sostanziale differenza di impostazione tra l’Anfaa e Famiglie per l’Accoglienza che definisce la propria associazione “una compagnia di amici” in cui si avverte forte l’ispirazione cattolica. Il mio intervento mirava a sottolineare l’importanza della matrice giuridica dell’affidamento e dell’adozione, in cui la Fede può rappresentare un valore aggiunto per le persone e le famiglie che si aprono all’accoglienza, ma non può e non deve sostituirsi al nucleo fondante questi istituti di tutela, ovvero il riconoscimento di un diritto di ogni minore a crescere in una famiglia. Questa prospettiva, che oserei definire “laica” dell’accoglienza extrafamiliare di minori, rappresenta una risorsa fondamentale che è prima di tutto espressione vera, concreta, sentita, genuina di responsabilità istituzionali coniugate con la corresponsabilità di adulti nella costruzione di genitorialità sociale e di comunità locali solidali e accoglienti.
Alessia Ponchia
(1) V. al riguardo il Notiziario ANFAA in Prospettive Assistenziali, n. 162/2008.