Insegnare è come entrare in un labirinto
In un passo della sua autobiografia Norberto Bobbio si interroga sul significato della vita individuale e collettiva per mezzo di tre immagini tratte da Wittgenstein: la bottiglia nella quale la mosca vola a casaccio, la rete in cui si dibatte il pesce, il labirinto entro il quale ci si aggira cercando la via per uscirne.
Al di là del comune malessere, la mosca nella bottiglia, il pesce nella rete e l’uomo che erra nel labirinto sono in condizioni molto diverse. La mosca uscirà dalla bottiglia (sempre che sia senza tappo) solo per un colpo di fortuna. La sorte del pesce è invece segnata e il suo dibattersi non farà che impigliarlo sempre di più, mentre chi è perso nel labirinto può tentare di uscirne con il suo ingegno.
«Chi entra in un labirinto sa che esiste una via d’uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca. Procede a tentoni. Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende un’altra. Talora la via che sembra più facile non è la più giusta; talora, quando crede di essere più vicino alla meta, ne è più lontano, e basta un passo falso per tornare al punto di partenza. Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come si dice, un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro».
Essere nel labirinto richiede che «non ci si butti mai a capofitto nell’azione, che non si subisca passivamente la situazione, che si coordinino le azioni, che si facciano scelte ragionate, che ci si propongano, a titolo d’ipotesi, mete intermedie, salvo correggere l’itinerario durante il percorso, ad adattare i mezzi al fine, a riconoscere le vie sbagliate e ad abbandonarle una volta riconosciute».
Quando a scuola ci troviamo in difficoltà, cerchiamo spesso ricette preconfezionate che, in qualche modo, ci aiutino a risolvere i problemi. Le tecniche didattiche possono aiutare un insegnante, ma sono solo strumenti che non possono sostituire la nostra personale ricerca quando siamo di fronte a bambini o ragazzi problematici per cui spesso non c’è “ricetta” che tenga. Ci si pone, allora, davanti ad ognuno con umiltà e si cerca giorno dopo giorno, passo dopo passo, una strada per raggiungere il suo cuore, per fargli sentire che siamo lì anche per lui, che non lo molliamo.
Possiamo dire “non so cosa fare”, ma non possiamo mai dire “non c’è nulla da fare”. Dire “non so cosa fare” ci predispone alla ricerca, dire “non c’è nulla da fare” ci porta alla rinuncia lasciando solo il bambino, che ha invece bisogno di adulti, che abbiano fiducia in lui e nella sua possibilità di riscatto.
Ecco sono fiducia e pazienza due parole chiave che caratterizzano un atteggiamento democratico nella scuola. Dare fiducia e non arrendersi, significa dare ad ogni bambino o ragazzo la consapevolezza di avere qualcuno a cui affidarsi per intraprendere un cammino difficile, ma non impossibile.
FAMIGLIA e SCUOLA – a cura di Emilia Pistoia e Giuse Tiraboschi
Ci ha detto una mamma ad un incontro dell’ANFAA:
“Siamo i genitori di un ragazzo che è diventato nostro figlio quando già aveva 9 anni compiuti. Lorenzo si portava con sé una serie di esperienze positive e negative, dei vissuti di abbandono che lo avevano profondamente segnato, che gli avevano tolto la fiducia negli uomini e che lo avevano fatto crescere prematuramente (praticamente lui non aveva mai potuto fare il bambino, aveva dovuto sempre lottare, con preoccupazioni che erano già da adulti)…Dopo i primi mesi di relativa tranquillità cominciò a rifiutare prima le regole della scuola e poi quelle della famiglia….Le cose peggiorarono quando entrò nella scuola media ed iniziò un’adolescenza precoce. Al rifiuto delle regole subentrò anche la ribellione e ai problemi propri dell’età si accavallarono quelli legati al suo passato. Che fare? Occorrevano degli aiuti che noi non riuscivamo a trovare. I servizi, oltre al personale della neuropsichiatria infantile, non avevano altro da offrirci; cercammo disperatamente in tutti i settori, laici e cattolici, senza risultato. Si vedeva che il ragazzo soffriva, era sempre agitato e noi volevamo aiutarlo.
Puntavamo molto sulla scuola (mamma insegnante che viene da una famiglia di insegnanti), che purtroppo non era strutturata per casi come il nostro: Lorenzo non poteva essere considerato fra i disabili poiché era intelligente ed i problemi erano di comportamento. Dopo qualche timido tentativo ci sentivamo dire le solite frasi “Sa…noi dobbiamo svolgere il programma…Dobbiamo pensare agli altri studenti…e poi ci sono i genitori!!!” quindi dopo le note arrivava la sospensione, la non ammissione.
Tentammo in tutti i modi di ottenere disponibilità e aiuto dalla scuola: ogni volta all’inizio sembrava che qualcosa funzionasse, poi tutto tornava come prima. Si cambiò anche scuola, ma senza esito. Alla fine decidemmo di prendere un educatore privato che lo seguisse sul piano scolastico, affiancato da uno psicologo (sempre privato) che ci diedero veramente una mano, soprattutto quest’ultimo.
Furono anni molto difficili, anche se il ragazzo si manteneva sempre sul piano del lecito,
non cadde in situazioni irreparabili.
Finalmente ci fu un cambiamento nei servizi sociali. Incontrammo un assistente sociale che prese in mano la situazione e con professionalità ed umanità studiò un piano di intervento con l’aiuto di un educatore, che si rivelò professionalmente preparato, ma soprattutto in grado di entrare nella psicologia del ragazzo. Nostro figlio accettò queste nuove figure come amici, ebbe fiducia in loro e, a partire dai sedici anni, famiglia e servizi poterono lavorare insieme a Lorenzo: ci furono degli inserimenti positivi nel mondo della scuola e delle esperienze lavorative molto significative.
Lorenzo maturò pian piano ed i primi risultati si ebbero ai 18 anni e poi ancora più avanti. Ora che ha vent’anni si può dire che è un figlio molto affettuoso, attaccato alla famiglia, disponibile e generoso verso gli altri, abbastanza rispettoso delle regole, anche se con un carattere un po’ ribelle”
C’è da considerare che attualmente i minori che vengono accolti in adozione (sia nazionale che internazionale) sono sempre più avanti di età e pertanto le problematiche di vera e propria aggressività sia in famiglia che a scuola si moltiplicano. Segnalo tutto questo affinché si comprenda che certe pesanti situazioni non sono vissute solo dalle famiglie problematiche ma le si ritrovano nelle famiglie che hanno accolto minori con vissuti di maltrattamenti e abusi di vario tipo; nel contempo la scuola si ritrova con situazioni di bullismo già dalla scuola materna.
Per questo come associazione qualche tempo fa abbiamo realizzato il Corso di formazione “Capisco che sei arrabbiato…” Di seguito segnaliamo le motivazioni del corso:
<<Agli insegnanti sono sempre più richieste capacità relazionali oltre che tecnico-professionali, con l’obiettivo di costruire un ambiente di lavoro chiaro e preciso, in cui l’alunno si senta accolto e protetto. Riconoscere una tale importanza all’aspetto relazionale nella situazione di apprendimento significa anche confrontarsi con esperienze difficili, comportamenti particolari, per imparare a comprenderli ed accettarli, passando, da insegnanti, per le proprie esperienze emotive.
Quasi sempre, i comportamenti particolari sono espressione di forti emozioni, difficili da gestire sia per gli insegnanti che per i bambini che le vivono: in particolare i vissuti di rabbia e i comportamenti aggressivi degli alunni richiedono da parte degli adulti un reale impegno di ascolto ed accoglienza.
Ascoltare un bambino significa , prima di tutto, accogliere la naturalità dei suoi sentimenti: solo con l’accettazione, e non la negazione, delle emozioni, anche nelle loro manifestazioni più distruttive, è possibile aiutare i bambini ad orientare positivamente il loro comportamento ed insegnare loro modalità non violente per esprimere il disagio
Occorre allora vedere oltre il comportamento aggressivo …
Ma per farlo è necessario riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri oltre che accettare il disagio all’interno del contesto scolastico.>>
Gli incontri hanno permesso di “entrare nelle emozioni” sia individualmente che in gruppo e – con l’aiuto delle nostre brave psicologhe e di un’arteterapeuta – hanno dato la possibilità di confrontarsi anche su esperienze difficili.