torna all’indice del Bollettino 01-02/2007 – gennaio / giugno

CONCLUSIONI DELLA RICERCA IN MERITO ALL’ATTUAZIONE DA PARTE DELLE PROCURE DELLA REPUBBLICA PRESSO I TRIBUNALI PER I MINORENNI DEI COMPITI INERENTI LE DICHIARAZIONI DI ADOTTABILITÀ

Considerazioni iniziali

La legge n. 149/2001, con cui è stata modificata la legge n. 184/1983, ha attribuito ai Procuratori della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni importanti funzioni in merito alla verifica degli elenchi dei minori ricoverati negli istituti e nelle comunità, alla vigilanza sugli stessi, alle ispezioni ordinarie e straordinarie nelle strutture suddette, nonché all’apertura del procedimento diretto all’accertamento dell’eventuale stato di adottabilità dei minori (1).
In considerazione del superamento dei ricovero in istituto dei minori entro il 31 dicembre 2006, l’Anfaa nel febbraio 2005 ha deciso di svolgere – d’intesa con la rivista Prospettive assistenziali – una ricerca in merito all’applicazione da parte delle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni delle competenze suddette (2). Ha quindi inviato a tutte le suddette Procure un questionario per raccogliere informazioni al riguardo (3). Numerosi sono stati nei mesi scorsi i solleciti sia scritti che telefonici per ottenere i dati richiesti.
Le Procure che hanno risposto sono state quelle di Cagliari, Campobasso, Lecce, Milano, Potenza, Palermo, Reggio Calabria, Taranto, Torino, Trento e Venezia.
Diverse Procure (Brescia, Bolzano, Firenze, Salerno, ecc.) hanno invece motivato la mancata risposta con la carenza di personale. Ad esempio, il Procuratore della Repubblica del Tribunale per i minorenni di Firenze, Aldo Nesticò, ha scritto che «l’assoluta inadeguatezza dei programmi informatici non permette la rilevazione delle statistiche richieste» ed ha aggiunto che «l’attuale situazione di emergenza dell’ufficio, dovuta a grave carenza di magistrati e a modifiche normative di grande impatto (legge sull’indulto, riforma delle spese di giustizia, imminente riforma della dirigenza amministrativa, rinnovo degli inventari, ecc.) rendono impossibile una ricerca dei dati anche per mezzo di una consultazione “manuale” dei semplici registri cartacei (che sono stati comunque aboliti circa due anni)». Ecco, in breve, una sintesi di quanto è emerso dalla rilevazione curata dal dottor Marco Ventre.

Le visite semestrali e quelle straordinarie. Esistenza di protocolli d’intesa o intese

Le visite vengono di solito effettuate personalmente dal magistrato competente per territorio ove gli istituti sono collocati, poiché l’organizzazione interna delle Procure prevede, di regola, una suddivisione del distretto in tanti comparti quanti sono i Sostituti Procuratori (4).
Sull’esito dell’ispezione viene redatto dal Sostituto Procuratore un verbale depositato in ufficio e trasmesso in visione al Procuratore.
Le visite non solo vengono effettuate con l’ausilio di agenti della Polizia giudiziaria che si occupano dei minori, ma in casi di necessità i magistrati possono delegare agli stessi tutti gli adempimenti di cui sopra.
In questo modo procedono le Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni di Taranto e di Potenza.
Dalla documentazione prodotta dalle Procure non risulta l’esistenza di protocolli d’intesa o di accordi con altre istituzioni (ad esempio con gli enti locali) per l’effettuazione delle visite semestrali e straordinarie. Fra le difficoltà segnalate, c’è anche quella di non aver avuto dalle Regioni un elenco aggiornato delle varie strutture (5). Ricordiamo che solo il Piemonte, la Lombardia ed il Veneto hanno avviato un’anagrafe dei minori presenti nelle strutture residenziali.
La Procura del Piemonte e Valle d’Aosta ha collaborato alla realizzazione della ricerca della Regione Piemonte “Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia” (6), cui sono poi seguiti invii a tutte le strutture del territorio di schede da compilare ed inoltrare ogni sei mesi alla Procura.
Su richiesta della Procura di Venezia, la Regione Veneto, con nota dell’11 febbraio 2002 dell’Asses­sore alle Politiche sociali, ha assicurato alla stessa Procura «collaborazione informativa ed operativa in merito alla verifica dei minori ospiti nelle strutture tutelari nella Regione, utilizzando l’Osservatorio regionale per l’infanzia e l’adolescenza, banca dati minori e centri di servizio. Così i direttori ed i responsabili degli istituti di assistenza pubblici o privati e delle comunità di tipo familiare operanti nel Veneto sono stati invitati a trasmettere ogni sei mesi l’elenco dei minori presenti nelle strutture al Procuratore della Repubblica per i minorenni del Veneto presso l’Osservatorio regionale per l’infanzia e l’adolescenza sito in Bassano del Grappa, utilizzando un apposito modello poi archiviato in Procura. L’Osser­vatorio, a sua volta autonomamente, elabora in via informatica i dati individuali relativi ad ogni minore ospite delle strutture di accoglienza e li archivia in una banca dati accessibile dalla Procura per le iniziative processuali di sua competenza».

Esame degli elenchi semestrali dei minori ricoverati

Gli elenchi semestrali dei minori inseriti negli istituti e nelle comunità di tipo familiare vengono esaminati personalmente dal Procuratore e dai Sostituti secondo la ripartizione interna dei compiti.
Normalmente all’esame degli elenchi si accompagna anche quello dei fascicoli di volontaria giurisdizione pendenti davanti al Tribunale per i minorenni al fine di una conoscenza più completa delle condizioni familiari ed esistenziali dei minori.
L’Autorità giudiziaria di regola chiede alla direzione degli istituti e delle comunità di essere informata, ad ogni invio semestrale delle relazioni, sulla frequenza degli incontri fra il minore ed i genitori, sugli eventuali rientri periodici a casa, sulle condizioni psicologiche del minore, sul rendimento scolastico.
Ulteriori riscontri sugli elenchi stessi nel corso dell’anno sono effettuati laddove sopraggiungano segnalazioni (da servizi sociali, forze dell’ordine, famiglie, associazioni, ecc.) che suggeriscano l’opportunità di ispezioni straordinarie.
Nel controllo sulla puntualità e regolarità dell’invio degli elenchi da parte degli istituti e delle comunità presenti, e nella relativa ricezione, il Procuratore e i Sostituti sono coadiuvati dal personale della Cancelleria civile dell’ufficio.

I minori presenti nelle strutture residenziali e
l’eventuale divisione degli stessi per fasce d’età

I dati relativi ai minori ricoverati non sono stati elaborati in quanto sono stati trasmessi dai Procuratori all’Anfaa in tempi diversi e sono pertanto disomogenei.

I minori ricoverati e segnalati dalla Procura
al Tribunale per i minorenni
per l’apertura del procedimento di adottabilità

Per quanto riguarda i minori ricoverati che vengono segnalati dalle Procure per l’apertura del procedimento di adottabilità, i numeri sono molto ridotti. Infatti la Procura di Taranto afferma che sono stati proposti nel corso del 2004 ricorsi per l’apertura del procedimento diretto all’accertamento dello stato di adottabilità di 9 minori; quella di Reggio Calabria solo di due minori, quella di Lecce di 5 minori, così come a Cagliari. Altre Procure (Campobasso, Reggio Calabria e Potenza) non hanno segnalato alcun minore per l’apertura del procedimento di adottabilità.
Si discosta dai dati di cui sopra la Procura di Palermo, che segnala 297 richieste di apertura del procedimento inoltrate nell’anno 2004.

I minori dichiarati adottabili ancora ricoverati

Il numero dei minori dichiarati adottabili ancora presenti nelle strutture di accoglienza è limitato: la Procura di Lecce ne segnala 10 (7), Cagliari 6, Taranto 6, Reggio Calabria solo 2, a Campobasso, a Palermo, a Potenza nessun minore (8) risulta ancora ricoverato. Milano ne segnala ben 20, a fronte dei 165 dichiarati adottabili (9).
Occorre, però, escludere da tale elenco i transiti brevi presso i centri di pronta accoglienza dei neonati non riconosciuti alla nascita, che vengono rapidamente inseriti nella loro futura famiglia adottiva.

Notizie circa i procedimenti avviati ex art. 70 della legge 184/1983

Dalla documentazione inviata dalle Procure non risulta che negli ultimi anni sia stata esercitata azione penale per il reato di cui all’art. 70 della legge 184/1983.
L’articolo di cui sopra sanziona penalmente (ai sensi dell’articolo 328 del codice penale) il comportamento dei pubblici ufficiali, degli incaricati di un pubblico servizio che omettano di riferire alla Procura sulle condizioni di ogni minore in condizione di abbandono, non trasmettono semestralmente l’elenco dei minori ricoverati ed assistiti ovvero forniscano informazioni inesatte circa i rapporti familiari concernenti i medesimi (10).

Il superamento del ricovero in istituto

Per quanto riguarda le problematiche relative al superamento del ricovero dei minori in istituto, alla data del 31 dicembre 2006 alcune Procure, nel corso delle visite ispettive, hanno sensibilizzato i responsabili degli istituti in ordine alla previsione di cui all’art. 2 della legge 149/2001 segnalando la vigente normativa relativa ai minori che non possono vivere nella loro famiglia d’origine e che non sono adottabili, che prevede l’affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, l’inserimento in una comunità di tipo familiare con figure di riferimento che svolgano la funzione genitoriale. Circa il superamento degli istituti, il sostituto Procuratore della Repubblica di Campobasso, dott. Finetti, ha osservato che «non sembra sia sufficiente e confacente allo spirito della legge operare una ristrutturazione interna degli alloggi in gruppo-appartamento se non vengono inserite nell’organigramma della comunità figure genitoriali tali che riproducano la stessa organizzazione di una famiglia».
A dire, però, della Procura di Reggio Calabria «nessuna apocalisse è prevedibile all’indomani del 31 dicembre 2006, in quanto si dice che non esistono in pratica minori abbandonati in istituti, ma solo minori in difficoltà per i quali va promosso e non imposto l’istituto dell’affidamento familiare ove non sia possibile un adeguato sostegno alla famiglia di origine».
Pertanto è fondato «il rischio che il mutamento delle strutture sia esclusivamente nominale e formale e non in grado di modificare una cultura, ancora attuale, che non riconosce le profonde esigenze di un minore in difficoltà», come rilevato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano dott. Ingrascì.
Il vero scandalo, che emerge dagli elaborati delle Procure e dai vari colloqui che il ricercatore Marco Ventre ha avuto anche telefonicamente con gli stessi Procuratori, è l’assoluta carenza delle risorse erogate non solo al settore della giustizia, ma anche quelle destinate dallo Stato, dalle Regioni e dagli Enti locali per la realizzazione degli interventi alternativi al ricovero in istituto dei minori (11).

Un appello conclusivo

Il quadro che emerge da questa rilevazione è decisamente preoccupante e c’è il rischio reale che continuino ad essere disattese da molte Procure le competenze loro attribuite, dalla cui attuazione dipende il futuro delle migliaia di minori ancora ricoverati ai quali viene negato il diritto a crescere in una famiglia. È sconfortante anche la mancanza di dati ufficiali.
Nella lettera inviata il 19 dicembre 2006 al Ministro della giustizia Clemente Mastella, l’Anfaa ha segnalato che nel volume “Ogni bambino ha diritto ad una famiglia. Lo stato di attuazione della legge n. 149/2001” (12), realizzato dall’Istituto degli Innocenti in collaborazione con il Ministero della giustizia nonché quello del lavoro e delle politiche sociali, si legge nella premessa, a firma degli allora Ministri Roberto Castelli e Roberto Maroni, quanto segue: «Nessuna informazione è pervenuta dai Tribunali per i minorenni sulle nuove funzioni di vigilanza affidate al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni; informazione che nell’economia della relazione avrebbe giocato un ruolo di non poco conto, dal momento che al Procuratore è attribuita una funzione d’effettiva garanzia dei diritti del bambino e dell’adolescente a crescere in una famiglia. Infatti, il comma 2 dell’articolo 9 dispone che gli istituti di assistenza pubblica o privati e le comunità di tipo familiare debbano trasmettere semestralmente al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede, l’elenco di tutti i minori collocati presso di loro, con l’indicazione anche dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche, in modo che egli possa chiedere al Tribunale per i minorenni di dichiarare l’adottabilità dei minori che risultino in stato di abbandono».
Ci chiediamo perché debbano sempre essere i bambini a subire le conseguenze delle carenze delle istituzioni!
È evidente che diventano indispensabili un forte impegno, adeguati finanziamenti e personale qualificato da parte del Ministero della giustizia per mettere in grado le Procure di operare.

Risposta a Minorigiustizia

Riportiamo il testo della lettera inviata in data 16 marzo 2006 da Donata Nova Micucci, Presidente dell’Anfaa, al Direttore della rivista Minorigiustizia, chiedendone la pubblicazione.

In merito a quanto pubblicato nell’articolo “A proposito di adozione mite” sul n. 2/2006 di Minori­giustizia preciso quanto segue:

1) Il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, Franco Occhiogrosso, nell’articolo “L’adozione mite due anni dopo” (Minorigiustizia n. 3/2005) ha presentato l’adozione mite come «prassi giudiziaria autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura», sostenendo che «la sperimentazione» dell’adozione mite ha «ottenuto il benestare del Consiglio superiore della magistratura».
In verità, invece, il Segretario generale del Consiglio superiore della magistratura (Csm), Donatella Ferrante, ha comunicato all’Anfaa il 23 maggio 2006 che il Csm «non ha autorizzato la prassi giudiziaria per l’“adozione mite” presso il Tribunale per i minorenni di Bari, essendosi limitato a prendere atto della nota in data 6 maggio 2003 del Presidente di quel Tribunale con la quale veniva comunicato che era stata istituita l’“adozione mite”, trattandosi, peraltro, di attività giurisdizionale e di interpretazione di norme giuridiche su cui il Csm non ha alcuna competenza». Con questa deliberazione il Csm ha quindi smentito quanto affermato da Franco Occhiogrosso.
2) Di fronte all’evidenza dei fatti, nel sopraccitato articolo di Minorigiustizia “A proposito di adozione mite”, la redazione ha tentato di rimediare alle (false) affermazioni del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, sostenendo che «il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari con nota 6 maggio 2003 informa il Consiglio superiore della magistratura, perché ne prenda atto, anche per la conseguente variazione tabellare, della istituzione del servizio dell’adozione mite».
3) Devo inoltre rilevare che l’affermazione di Franco Occhiogrosso riguardante la inesistente au­to­riz­zazione del CSM è stata, nel corso degli ultimi anni, ripresa in particolare:
• nel “Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva in materia di adozione e affidamento” della Commissione parlamentare per l’infanzia, in cui si afferma che «la sperimentazione è stata posta in essere a seguito di autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura» (cfr. “Indagini conoscitive e documentazioni legislative”, n. 18, Atti parlamentari, XIV legislatura, pag. 292).
• nella relazione introduttiva della proposta di legge n. 5724 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione aperta e di adozione mite”, presentata il 16 marzo 2005 dall’on. Bolognesi ed altri alla Camera dei Deputati, dove si sostiene che «la sperimentazione citata è stata posta in essere a seguito di autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura»;
• nel volume L’eccezionale quotidiano, rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, pubblicato nel 2006 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza (alla cui stesura lo stesso Occhiogrosso ha collaborato), in cui si ricorda che «è in corso una sperimentazione dell’adozione “mite”, autorizzata dal Csm presso il Tribunale per i minorenni di Bari» (pag. 89).
Per la cronaca l’Anfaa già il 17 novembre 2004 aveva richiesto al Csm di avere copia del provvedimento con cui aveva autorizzato la sperimentazione dell’adozione “mite” del Tribunale per i minorenni di Bari, ma solo il 27 maggio 2005, dopo numerosi solleciti, ha ricevuto copia degli atti e, presane visione, ha scritto nuovamente il 7 ottobre 2005 al Csm. Ricevuta la sopra citata risposta il 23 maggio 2006, l’Anfaa, lungi dall’avere una concezione autoritaria e gerarchica della giurisdizione che le si imputa nell’articolo, ha scritto ai Presidenti dei Tribunali per i minorenni, ai Procuratori della Repubblica presso gli stessi Tribunali per i minorenni, ai Presidenti delle Sezioni per i minorenni presso le Corti di appello e ai Procuratori Generali della Repubblica presso le Corti di appello, per segnalare loro quanto precisato dal Csm e per smentire le ripetute affermazioni dello stesso presidente Franco Occhiogrosso in merito alla mai concessa “autorizzazione” del Csm.
Nonostante la puntualizzazione del Csm, nel “Protocollo d’intesa per il percorso dell’adozione mite tra il Tribunale per i minorenni di Bari e la Procura della Repubblica per i minorenni di Bari, Comune e Provincia di Bari, aperto alla sottoscrizione da parte degli altri Enti locali territoriali”, riportato nella Rivista di diritto minorile, n. 2/2006, e sottoscritto il 14 giugno 2006 dal Presidente della Corte di Appello di Bari, dr. Giacinto De Marco, si fa ancora riferimento all’«autorizzazione alla sperimentazione dell’adozione “mite” presso il Tribunale per i minorenni di Bari di cui alla nota n. P13713/03 del 4/7/2003 del Csm». È evidente anche in questo caso l’intento di voler continuare a presentare la “presa d’atto” del Csm in termini ben diversi da quelli reali.
Concludendo, non ritengo ci sia stata nessuna “caduta di stile” da parte dell’Anfaa e mia in quanto i nostri interventi in merito all’adozione mite sono stati dettati dalla necessità di contrastare una procedura a nostro avviso contraria agli interessi dei bambini. Infatti, l’adozione “mite” continua ad essere disposta dal Tribunale per i minorenni di Bari nei confronti di minori che non sono stati preventivamente dichiarati adottabili e che sono sottratti alle loro famiglie in difficoltà senza i necessari accertamenti previsti per l’adozione dalla stessa legge n. 184/1983. L’applicazione dell’art. 44, lettera d) è stata prevista dal legislatore unicamente come forma residuale, per quei limitati casi in cui non sia stato possibile l’affidamento preadottivo del minore dichiarato adottabile. Addirittura il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, nell’articolo “L’affido-infinito e l’adozione mite” in Vita, del 16 settembre 2005, ha dichiarato che le adozioni miti vengono pronunciate «quando la famiglia d’origine, pur essendo incapace di rispondere alle esigenze educative del proprio figlio, non lo ha del tutto abbandonato e, anzi, mantiene con lui un rapporto affettivo significativo», il che significa, secondo l’Anfaa, sottrazione illegittima di minori ai loro congiunti in difficoltà.
Se il minore non si trova in stato di adottabilità, non è certamente corretto ricorrere ad adozioni più o meno miti, soprattutto allo scopo di tutelare i diritti della famiglia di origine, che non deve essere espropriata del suo ruolo genitoriale, anche se per svolgerlo deve contare sull’aiuto di una famiglia affidataria e sul sostegno degli operatori dei servizi socio-assistenziali e sanitari. La tutela del minore, della sua famiglia d’origine e degli affidatari, da parte delle istituzioni, è peraltro prevista dalla normativa attualmente in vigore che, pur considerando l’affidamento familiare un servizio assistenziale tendenzialmente temporaneo, non esclude la possibilità di affidamenti a lungo termine.
Ritengo infine che i giudici minorili “professionali ed onorari” debbano applicare, nell’interesse preminente dei minori, la normativa vigente, senza forzarne l’interpretazione.

CIRCOLARE DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI TORINO SUGLI AFFIDAMENTI

A seguito della lettera inviata dall’Anfaa al Tribunale per i minorenni di Torino e pubblicata su Prospettive assistenziali n.154/2006, il Presidente Cesare Castellani ha inviato agli Assessori alle Politiche sociali delle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta e all’Assessore alla famiglia e ai Servizi sociali del Comune di Torino la circolare allegata.
L’Anfaa si è rivolta al Tribunale per i minorenni per rappresentare alcune difficoltà nell’organizzazione e gestione degli affidamenti familiari realizzati a seguito di provvedimento dell’Autorità giudiziaria minorile. In particolare viene segnalato che:
1) nel volume La tutela giudiziaria dei minori in Piemonte, stampato e diffuso dalla Regione, viene spiegato (paragrafo 5.3 a pagina 34) che l’affidamento familiare disposto dal Tribunale per i minorenni non può avere una durata superiore a ventiquattro mesi (richiamandosi l’art. 4, comma 4° della legge 184/1983, modificato dalla legge 149/2001), affermazione ritenuta dalla citata Associazione troppo perentoria, in quanto nella pubblicazione non viene ricordato che la misura, scaduto il termine, può essere, in presenza di determinate condizioni, prorogata;
2) al termine del periodo di affidamento familiare troppo poco viene fatto per assicurare che il minore, rientrato nel nucleo di origine o, comunque, collocato in altro contesto, possa comunque mantenere rapporti con gli ex affidatari, che potrebbero risultare, invece, molto importanti per il suo benessere in forza dei legami affettivi stabiliti con i componenti della famiglia;
3) alle famiglie affidatarie non viene notificata o comunicata copia del decreto con il quale il Tribunale per i minorenni dispone l’affidamento, sicché tali persone, pur impegnandosi con dedizione all’accoglienza ed educazione del minore, non sono informate sui loro diritti e prerogative, né sulla durata dell’affidamento.
Tanto premesso, si ritiene opportuno fornire, all’esito di un confronto tra i magistrati del Tribunale, alcune indicazioni sui punti sopra indicati:
1) in effetti pare utile ricordare ai Servizi sociali della Regione, affinché i cittadini interessati all’esperienza dell’affidamento familiare siano informati in modo il più possibile completo che, fermo restando l’impegno per il superamento, attraverso ogni forma di sostegno, delle condizioni di disagio della famiglia di origine del minore che hanno reso necessaria la misura di cui trattasi, allo scopo di favorire il rientro del figlio minore, l’affidamento familiare, come stabilito dall’articolo 4, commi 5° e 6° legge 184/1983, modificato dalla legge 149/2001, può essere prorogato dal Tribunale per i minorenni, dopo il periodo iniziale sopra indicato, nei casi in le difficoltà della famiglia di origine non siano venute meno. Infatti, in queste situazioni, il Tribunale può adottare «ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore», tra i quali rientra certamente l’affidamento familiare;
2) il Tribunale si impegna, con i propri provvedimenti, a prendere posizione, qualora ciò corrisponda all’interesse del minore, in merito ai rapporti tra i minori stessi e l’ex famiglia affidataria. A tal fine, tuttavia, appare necessario che i Servizi locali forniscano al Giudice delegato le opportune informazioni (sul piano sociale e psicologico), possibilmente con congruo anticipo rispetto al momento conclusivo dell’affidamento familiare;
3) il decreto che dispone l’affidamento familiare di un minore ai sensi dell’art. 4 legge 184/1983, modificato dalla legge 149/2001 non può essere notificato (salvo eccezioni in casi del tutto particolari) alle persone degli affidatari, in quanto non si tratta di “parti”, in senso tecnico, del procedimento di limitazione della potestà. Tuttavia, tenuto conto dell’importanza del ruolo che la famiglia affidataria esplica e per favorire l’attuazione della misura in condizioni di miglior chiarezza e serenità, il Tribunale per i minorenni ritiene di segnalare alla Regione e agli Enti gestori l’opportunità che, al momento dell’avvio dell’affidamento, sia consegnato a ogni famiglia affidataria un documento che, sintetizzando il dispo­sitivo del provvedimento giudiziario, fornisca le informazioni più importanti circa l’affidamento disposto (prevedibile durata, diritti della famiglia di origine, misure psico-sociali a sostegno del mi­nore).

RIFLESSIONI E PROPOSTE PER INIZIATIVE
SUI TEMI DA APPROFONDIRE NEI CORSI
DI AGGIORNAMENTO PER INSEGNANTI

Si è notevolmente intensificata a livello nazionale e locale l’attività dell’Anfaa sui temi della scuola, su cui si è costituito anche un gruppo di lavoro specifico, cui collabora anche Emilia De Rienzo, autrice del libro Stare bene insieme a scuola si può?
Riportiamo le riflessioni elaborate dalla stessa Emilia De Rienzo dopo l’ultima riunione del gruppo.

Premessa

Proprio perché la scuola è così importante, oggi più che mai è necessario che la riflessione su di essa sia più collettiva, che si sentano coinvolti gli insegnanti, i genitori, ma anche gli operatori del territorio e gli amministratori locali. È importante che la riflessione parta dal basso, dalle realtà concrete di vita, che ci si interroghi su dove la scuola sta andando e su quali finalità si pone.
Bisogna affiancare la scuola, offrirle risorse e mezzi, saperi ed esperienze. Bisogna lavorare insieme perché la scuola diventi veramente una risorsa per l’integrazione. Il ruolo dei servizi su questo terreno può essere fondamentale.
Dobbiamo allora porci alcune domande. Vogliamo lavorare per una scuola che pensi al bambino solo in termini cognitivi o che pensi al bambino nella sua interezza mettendo quindi al suo centro la relazione educativa? Vogliamo lavorare per una scuola fatta di tante classi isolate una dall’altra o per una scuola in cui gli insegnanti imparano a lavorare in équipe? La scuola deve diventare, come diceva una direttrice didattica, “un supermercato delle offerte” oppure deve imparare a rispondere ai bisogni reali dei bambini? Vogliamo costruire una scuola della quantità o una scuola di qualità per tutti? Un’educazione che ha come finalità, come già diceva Montaigne, una “testa ben fatta” o una testa piena; un sapere che sappia trasformarsi in saggezza o in erudizione? Vogliamo una scuola isolata dal contesto in cui vive o che sappia integrarsi in esso e sappia quindi, insieme alle altre risorse, costruire una rete di comunicazione e di interazione? Vogliamo una scuola chiusa in se stessa o con tante finestre aperte che sappiano guardare la realtà in tutte le sue sfaccettature: la realtà dei bambini che cambiano, la realtà delle famiglie. Oggi le famiglie sono diverse, ci sono famiglie adottive, affidatarie, genitori separati, famiglie monoparentali, famiglie immigrate.
Stiamo lavorando per una scuola in cui si abituano i bambini a competere ad ogni costo o a cooperare. Stiamo costruendo una scuola dove il compito dell’insegnante è quello di “travasare” sapere o anche di educare alla buona convivenza e all’accettazione dell’altro?

1. Noi siamo per una scuola che ricostruisca la corresponsabilità, che ristabilisca il principio della partecipazione che oggi ha un valore molto spesso puramente formale e non di sostanza.
Dice Morin: «L’indebolimento di una percezione globale conduce all’indebolimento del senso di responsabilità così come all’indebolimento della solidarietà, poiché ciascuno tende a essere responsabile solo del proprio compito specializzato».
È necessario costruire una relazione stretta tra famiglia, insegnante e operatori. Quello che oggi sembra dominare è un gioco di reciproche diffidenze e paure, troppo spesso si scarica gli uni con gli altri la responsabilità innescando un circolo vizioso molto pericoloso e soprattutto controproducente. Incon­trarsi, parlare, partendo dai bambini e non dalle nostre diffidenze e paure porterebbe a grossi risultati, spezzerebbe il cerchio della solitudine che spesso ci tiene segregati nelle nostre case e nei nostri ruoli. Bisogna lavorare per questo obiettivo, per costruire un rapporto solidale tra genitori e insegnanti e operatori nell’interesse del bambino. Non è un punto di partenza, ma un percorso che bisogna fare con fiducia e costanza e che si costruisce con un dialogo continuo e assiduo.

2. Il compito dell’insegnante è, secondo noi, di educare alla buona convivenza e all’accettazione dell’altro. Bisogna costruire una scuola accogliente. Le nuove sfide che la scuola deve affrontare, richiedono una diversa organizzazione per andare incontro ai problemi che man mano si presentano. L’immigrazione, l’interculturalità sono degli esempi sotto gli occhi di tutti. Il cambiamento della famiglia: le famiglie adottive, quelle affidatarie, le famiglie separate e monoparamentali sono un altro.
La gestione dell’accoglienza implica all’interno dell’istituto un lavoro costante di formazione del personale, attraverso gli strumenti che la scuola nella sua autonomia riterrà di adottare. Ci dovrebbero essere, per esempio, spazi al di là delle aule e dei laboratori. Spazi per incontrarsi, per ricevere i genitori… Scritte in tutte le lingue… L’ideazione, la creazione e la gestione di alcuni spazi dovrebbero a mio avviso essere progettati e condivisi dagli allievi e dai loro genitori. Ma soprattutto deve esserci un insegnante accogliente, un insegnate che sappia costruire una buona relazione educativa con ogni bambino. La conoscenza del bambino, infatti, avviene nella relazione quotidiana, in un colloquio costante e attento, direi instancabile

3. Per prevenire fenomeni di “bullismo” è importante che l’insegnante sappia per prima cosa creare un “buon clima di classe”, il che vuol dire:
• che nessuno si senta mai solo;
• è compito di noi adulti far comprendere la differenza tra scherzo e offesa, tra divertimento e aggressione dell’altro, far notare che ciò che noi soffriamo è sofferenza anche nell’altro, che la sensibilità può essere diversa, che qualcuno può essere più vulnerabile di un altro;
• insegnare, quindi, l’ascolto e il dialogo;
• educare i bambini a “dare risposte”, a essere responsabili dei loro comportamenti non per “punirli”, ma per far loro prendere coscienza di quanto ogni piccolo gesto può far del bene o del male;
• renderli partecipi della vita degli altri, per aiutarli a sentirsi “individui” tra altri ”individui” e non parte di un gruppo in cui comanda chi alza di più la voce per farsi sentire.

4. Insegnare ai bambini a raccontarsi e a rispettare le storie dell’altro. La scuola può, in questo modo, diventare un luogo dove ogni bambino si incontra con altre realtà di vita e può ritrovare la propria diversità in mezzo ad altre diversità, i propri problemi in mezzo ad altri problemi. Il racconto della propria vita è sempre vicinanza alle proprie emozioni e per questo bisogna accostarsi in punta di piedi alle loro storie. Raccontarsi non vuol dire “ricostruire l’albero genealogico della famiglia”, portare fotografie, ecc. La storia di sé è legata sempre alle emozioni, ai sentimenti ed è quindi importante accostarsi in punta di piedi. È quindi importante parlare delle emozioni, dei sentimenti, fare letture che li aiutino ad esprimere quello che sentono o provano, che gli diano il linguaggio per dire.
Solo se le emozioni e i sentimenti degli allievi sono accolti e riconosciuti come aspetti strettamente legati all’esperienza e non come ostacolo o disturbo allo svolgimento del programma, il bambino può trovare la forza di raccontarsi, di appropriarsi della propria storia, anche se a volte dolorosa, come un valore e non come un motivo di esclusione da tutti gli altri. Ogni bambino potrà trovare una spiegazione alla sua storia personale solo se capirà che la sua storia è compresa, accettata e non si sentirà aggredito da domande e commenti inopportuni.
Se il bambino sa che ogni vita ha la sua dignità, ogni storia può essere raccontata e trovare degli ascoltatori e non dei giudici, allora il bambino dentro di sé potrà tentare di indagare su se stesso, di accettare ciò che dentro di sé è un’ombra. Non racconterà necessariamente una storia, ma dialogherà con gli altri sui propri ed altrui vissuti perché c’è uno spazio psicologico in cui farlo.

5. Scuola come luogo dove non si stigmatizzi la diversità. Scoprire la propria unicità vuol dire essere un bambino in mezzo ad altri bambini. La sua diversità non sarà stigmatizzata.
È inimmaginabile lo stato di frustrazione derivante dall’essere inchiodati a una definizione che distorce e mutila la propria complessità psichica. «Il pericolo è quell’ essere “denominati” – come afferma Binswanger – cioè etichettati e cristallizzati in una forma che tradisce sempre la nostra ricchezza interiore. Settorializzare la visione del bambino vuol dire veder spesso le difficoltà come insormontabili, ci impedisce di vederlo nella sua vera luce, nella sua specificità psicologica e coglierne quindi le potenzialità».
Bisogna aiutare i bambini a scoprire le proprie potenzialità. «Non ci si può basare su quello che manca in un certo bambino, su quello che in lui non si manifesta, ma bisogna avere un’idea di quello che possiede, di quello che è»: così dice Vygotskj, ma questo può essere possibile solo se avere delle difficoltà non significa essere isolati dal contesto sociale.

6. Prepararsi ad accogliere un bambino adottato o affidato vuol dire conoscere le sue specificità. Siamo riconoscibili, a partire proprio dalla nostra nascita, dalla nostra appartenenza o meno ad un gruppo sociale. E per determinate nostre caratteristiche, possiamo essere soggetti, però, a pregiudizi. Un bambino adottato soprattutto se straniero può dover superare, più di altri, una serie di ostacoli per sentirsi inserito all’interno della propria famiglia e in seguito all’interno del contesto più ampio di appartenenza. La sicurezza che pian piano riesce a costruirsi nella sua famiglia a volte può vacillare di fronte al non riconoscimento esterno dell’“altro”.
A scuola si trova a dover affrontare le domande, le curiosità o le richieste degli insegnanti e dei compagni e può trovarsi in difficoltà nel dare una spiegazione della sua situazione: il genitore non è presente ed è lui che deve trovare le parole per rispondere. Avrà difficoltà a raccontarsi perché è difficile per i bambini capire che al mondo siamo tutti diversi se non è l’adulto ad insegnarglielo e se non è l’adulto a fargli comprendere che ogni diversità contiene in sé una ricchezza.
Se i bambini non sono abituati a capire, ad accettare e valorizzare la diversità, nei momenti di conflitto e non solo, la stigmatizzeranno.
A questi problemi si aggiunge nel bambino l’iniziale difficoltà nell’uso della lingua italiana. Anche se è stato preparato al nuovo ambiente e alle sue regole, gran parte di questo viaggio avviene in solitudine e richiede un grande lavoro interiore. è prevedibile che spesso si troverà smarrito, impaurito e potrà reagire con comportamenti che non sempre sono facili da decifrare (per es. l’isolamento, l’aggressività, l’iperattività, l’accentrare l’attenzione su di sé). Proprio per seguire questo momento delicato è importante che ci sia un lavoro coordinato tra servizi, famiglia e scuola.
È importante che gli operatori facciano parallelamente nella scuola con il capo d’istituto e con gli insegnanti un lavoro preventivo di informazione su che cos’è l’adozione, sulle buone prassi nel rapportarsi sia al bambino che alla famiglia adottiva, su come si può informare la classe su cos’è la genitorialità in generale e sulle sue varie forme.
Alla luce poi dei cambiamenti della composizione familiare bisogna sollecitare gli insegnanti all’attenzione nell’affrontare l’argomento nascita e famiglia. Gli argomenti da svolgere dovrebbero tener conto degli alunni e della loro storia, della loro sensibilità e delle loro difficoltà. Su questi argomenti si possono costruire percorsi specifici di aggiornamento eventualmente con strumenti didattici che prevedano anche la preparazione di eventuali libretti esplicativi.

Note


(1) L’art. 9 della stessa legge ai commi 2 e 3 dispone quanto segue: «2. Gli istituti di assistenza pubblici o privati e le comunità di tipo familiare devono trasmettere semestralmente al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede l’elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, chiede al Tribunale, con ricorso, di dichiarare l’adottabilità di quelli tra i minori segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza pubblici o privati o presso una famiglia affidataria, che risultano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi. 3. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, che trasmette gli atti al medesimo Tribunale con relazione informativa, ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza pubblici o privati ai fini di cui al comma 2. Può procedere a ispezioni straordinarie in ogni tempo».

(2) Il testo integrale della lettera inviata dall’Anfaa alla Procura della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni è riportata sul n. 149, 2005 di Prospettive assistenziali.

(3) I quesiti erano i seguenti:
a) da chi vengono effettuate le visite semestrali e quelle straordinarie?
Al riguardo si chiede di segnalare eventuali protocolli di intesa, accordi o altre intese sottoscritte con altre istituzioni per l’effettuazione delle visite stesse;
b) gli elenchi semestrali dei minori ricoverati vengono esaminati da lei personalmente? Questo incarico è stato da lei attribuito ad altri? Se la risposta è affermativa può precisare la loro qualifica professionale? Vengono effettuati dei riscontri sugli elenchi stessi nel corso dell’anno?
c) quanti minori risultavano presenti nelle strutture residenziali al 31 dicembre 2004? È possibile averli divisi per fasce di età (0-5, 6-10, 11-14, 15-17 anni)?
d) quanti minori ricoverati nelle strutture residenziali sono stati segnalati dalla Procura al Tribunale per i minorenni per l’apertura del procedimento di adottabilità nel corso del 2004?
e) quanti minori dichiarati adottabili erano ancora ricoverati nelle strutture residenziali al 31 dicembre 2004?
f) è a conoscenza di eventuali procedimenti avviati negli ultimi anni nei confronti di pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio o rappresentanti di istituti di assistenza pubblici o privati, ai sensi dell’articolo 70 della legge n. 184/1983 e s.m.?

(4) Tale organizzazione si rende necessaria per la distribuzione del carico giudiziario sia civile sia penale, come ha ricordato il Procuratore della Repubblica di Palermo, dott.ssa Ambrosini.

(5) Vedi la segnalazione del Procuratore di Cagliari dott. Angioni: «Non è infrequente il caso che, nel recarmi alle ispezioni, vengo a conoscenza del fatto che la comunità ha cessato l’attività o ha trasferito il proprio recapito».

(6) Vedi al riguardo in Prospettive Assistenziali, n. 135, luglio-settembre 2001 “Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia: una lodevole iniziativa della Giunta della Regione Piemonte”.

(7) Il Procuratore di Lecce, dott. Gustapane, mette in evidenza che i minori sono di difficile affidamento per ragioni di età o per condizioni di salute particolarmente gravi.

(8) Molti dati enucleati nel presente paragrafo sono aggiornati al 2005.

(9) Va anche segnalato che non è ancora entrata in funzione la Banca dati dei minori dichiarati adottabili e degli aspiranti genitori adottivi, prevista dall’art. 40, terzo comma della legge n. 149/2001 che avrebbe dovuto essere realizzata entro il mese di dicembre 2001 e che consentirebbe di avere dati costantemente aggiornati.

(10) Il Sostituto Procuratore di Reggio Calabria, dott. Tripodi, aggiunge in merito al paragrafo in esame che «la norma penale di cui al primo comma appare simbolica e di difficile se non impossibile applicazione, mentre quella al secondo comma, vessatoria e sostanzialmente inutile» in quanto, a suo parere, il fatto punibile dovrebbe essere commesso con dolo.

(11) Si pensi che la retta giornaliera, secondo quanto riferito dal Sostituto Procuratore di Reggio Calabria, dott. Tripodi, in Calabria è ancora da anni ferma a 10 euro circa (20 per le case famiglia). Le famiglie affidatarie ricevono rimborsi irrisori a distanza di mesi o non ricevono nulla. Sulla non esigibilità del diritto dei minori a crescere in famiglia, ripetutamente denunciata dall’Anfaa, rinviamo a quanto evidenziato nel Notiziario Anfaa.

(12) Il volume, a cura di Ermenegildo Ciccotti e Adriana Campa, è stato pubblicato nel settembre 2006, nei Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza dell’Istituto degli Innocenti.

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