Relazione di Maria Cristina Tischer al Convegno “VIVERE E’ ABITARE NEL CUORE DI QUALCUNO” organizzato dalla Sezione ANFAA di Como
(dal Periodico della Federazione Italiana Medici Pediatri)
La legge prevede la presenza in carcere della madre con uno o più minori fino all’età di 3 anni, senza precisare quale sia il destino di questi minori al compimento del 3° anno di vita.
Tale situazione vede infatti un minore di tre anni, che ovviamente non ha alcuna pena da scontare, vivere e maturare in un contesto innaturale, qual è il penitenziario, dove le condizioni igieniche e ambientali ed i ritmi di vita imposti dal carcere sono incompatibili con la permanenza di un bambino.
Attualmente, nel totale delle carceri italiane sono presenti circa cinquanta bambini: il fenomeno non ha ampie dimensioni statistiche ed epidemiologiche, ma riveste un aspetto particolarmente rilevante per la società a causa delle ripercussioni imprevedibili sulla popolazione infantile interessata, in cui è coinvolta, disgregata e trasformata negativamente l’unità sociale fondamentale madre-figlio-padre.
E’ importante che la medicina, ed in particolar modo la pediatria, si occupi della vita di relazione di questi bambini, del loro sofferto rapporto con la madre e con l’ambiente e del danno psico-fisico che subiscono.
Il bambino, costretto a vivere in una dimensione spazio-temporale deprivata e coercitiva, manifesta con la crescita una richiesta sempre più pressante di uscita dal carcere per incontrare altri familiari, altri bambini ed altre situazioni di socialità. La madre, detenuta invece, diviene col tempo sempre più protettiva ed esclusiva: questo atteggiamento, comprensibile in considerazione delle deprivazioni che la madre vive in carcere nel rapporto col figlio per ciò che riguarda pericoli ambientali, scarsa igiene, fornitura e preparazione degli alimenti, nuoce alla conquista dell’autonomia del bambino.
Fondamentale è quindi individuare le modalità con cui sostenere la madre nel percorso di una progressiva separazione dal proprio bambino per migliorare la loro particolare condizione di attaccamento. Questo affiancamento alla madre da parte degli educatori, degli psicologi e dei pediatri, operanti nelle carceri, diviene ancora più importante se si considera che, a tre anni di età,il bambino viene allontanato dalla madre in modo poco graduale e con l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria. Se questo distacco è per legge inevitabile, si rende altresì indispensabile che questo momento sia sostenuto da figure professionali diversificate, psicologo, pediatra, neuropsichiatra, opportunamente preparate alla gestione di una situazione vissuta drammaticamente dalla diade madre-bambino.
Accanto alle problematiche relazionali con la madre, i bambini in carcere soffrono anche di disturbi comportamentali legati alle loro condizioni di vita: irrequietezza, facilità al pianto, inappetenza, apatia, difficoltà di sonno. In uno studio è stata rilevata un’alterazione del ritmo sonno/veglia con una stretta correlazione al tempo di chiusura delle porte blindate delle celle.
La legge 8 marzo del 2001 n. 40, denominata “legge Finocchiaro”, ha tentato di risolvere il drammatico problema dei bambini in carcere con la proposta di istituire sul territorio nazionale alcune “case carcerarie” per madri detenute e bambini..
La “legge Finocchiaro” tutela il rapporto genitore-figlio ed introduce due nuovi istituti: la detenzione domiciliare speciale e l’assistenza all’esterno di figli minori (art.47 quinquies, sexies e art.21 bis O.P.), con lo scopo di dare compiuta attuazione al principio costituzionale di cui l’art. 31, che officia lo Stato a predisporre gli strumenti giuridici e sociali a tutela della maternità e dell’infanzia. La legge precisa che la concessione di tali benefici non è automatica, dovendo essere valutata caso per caso, in quanto subordinata all’assenza di un pericolo concreto di reiterazione del reato commesso.
Cionostante, per la Magistratura ordinaria risulta difficile l’applicazione della norma di legge in quanto di difficile interpretazione con conseguente frequente condanna alla reclusione carceraria di madri con bambini.
In attesa dell’abolizione dei nidi penitenziari con istituzione di case di detenzione, la legge indica alcuni interventi di carattere provvisorio a riguardo della pena, della strutture e dell’assistenza del minore. Per quanto riguarda l’assistenza al minore:
• Applicazione della convenzione per la pediatria come previsto dalla legge 419/98, i bambini in carcere non sono detenuti,
• Attivazione e creazione di una rete assistenziale sociale dei Comuni dove risiedono gli istituti penitenziari,
• Migliore presa in carico dell’intero problema sul territorio attraverso l’attivazione da parte del Dipartimento Materno Infantile delle ASL dove verranno reintegrati i bambini.
La struttura edilizia delle aree nido è attualmente molto variabile: da un unico stanzone camerata a diverse celle singole con due letti; in ogni caso gli standard di igiene sono molto bassi. Assente del tutto la privacy, almeno come la si intende nella condizione di libertà.
La legge precisa che le madri detenute ed i loro bambini devono usufruire di tutte le risorse di personale medico infermieristico presenti negli istituti, assicurando loro l’intervento anche di altri operatori sanitari appositamente dedicati: pediatra, ginecologo e psicologo, quest’ultimo possibilmente con competenza in problematiche dell’età evolutiva.
Tuttavia per molteplici problemi, soprattutto di natura economica, non è stato possibile dare attuazione a molti dei punti considerati nella “Legge Finocchiaro”. Solo 13 Regioni, delle 20 d’Italia, hanno almeno un istituto di pena con area nido all’interno. In alcune Regioni gli istituti non hanno previsto aree nido. I dati ufficiali più recenti pubblicati dal Ministero dell’Interno indicano che soltanto 11 asili nido, dei 17 nelle carceri previsti sul territorio nazionale, sono funzionanti ed i rimanenti ancora in allestimento.
La scarsa importanza data al problema della tutela della salute psicofisica dei bambini in carcere è testimoniata dall’incremento praticamente nullo che hanno avuto queste strutture nel corso degli ultimi tre anni.
Una sistemazione detentiva migliore, laddove non fosse applicabile la pena alternativa, sarebbe costituita dalle cosiddette “custodie attenuate”; queste sono istituti o sezioni penitenziarie con norme peculiari e regime di bassa custodia. Ma fino ad oggi nessuna di tali strutture è attrezzata per accogliere bimbi. Altre soluzioni giudiziarie potrebbero essere rappresentate da una più estesa applicazione degli arresti domiciliari e dalla realizzazione di strutture protette al di fuori del carcere.
Conclusioni
La diffusa conoscenza del problema consentirà di far leva sulle istituzioni perché vengano create aree nido nelle carceri delle Regioni sprovviste, in attesa di far trovare completa attuazione dei propositi della “Legge Finocchiaro” con la realizzazione sul territorio nazionale delle “case carcerarie” per madri detenute e i loro bambini.
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