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La legge 184/1983 e successive modifiche, stabilisce che “Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”…

Dall’analisi dei dati disponibili – purtroppo pochi, parziali e non aggiornati – dobbiamo constatare come a distanza di soli due anni da questa scadenza, per troppi bambini il diritto a crescere in una famiglia sia un diritto ancora largamente disatteso.

Secondo gli ultimi dati Istat – aggiornati al 31/12/2001!! – nei presidi residenziali socio-assistenziali (comunità di pronta accoglienza, comunità di tipo familiare, comunità educativa, istituto) erano presenti ancora ben 23825 minori, di cui 4396 stranieri.

In base all’ultima rilevazione effettuata dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza di Firenze, rilevazione ampiamente pubblicizzata dai mezzi di informazione, al 30/6/2003 sono stati censiti in 215 istituti 2066 minori. Questa rilevazione però, riguarda solo i minori ricoverati negli istituti , e non i minori inseriti nelle diverse strutture residenziali. A questo riguardo infatti dobbiamo rilevare come sia in atto da parte di vari istituti, non tanto un’azione di radicale conversione, ma un’opera di trasformazione che consiste meramente in una riorganizzazione interna e in un cambiamento di denominazione, in ciò favoriti dagli attuali provvedimenti normativi.

Infatti, la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano cui era demandata l’individuazione dei criteri in base ai quali le Regioni dovevano provvedere alla definizione degli standard minimi delle comunità di tipo familiare e degli istituti (art. 2, comma 5 della legge 184/1983 successive modifiche) ha deliberato, in data 28 febbraio 2002, che i criteri erano quelli previsti dal decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 308 riguardante i requisiti delle strutture assistenziali diurne e residenziali, già emanato a norma dell’art. 1 della legge 328/2000. Purtroppo questo decreto si era limitato a prevedere per quanto riguarda i minori, comunità di tipo familiare e gruppi appartamento, inseriti nelle normali case di abitazione, con un numero di utenti non superiore a sei (art. 3) e strutture a carattere comunitario con un massimo di dieci posti letto più due per le eventuali emergenze (art. 7). Non ha però precisato che queste strutture non devono essere accorpate tra di loro. Una chiarificazione in tal senso è invece, secondo noi, indispensabile per evitare, ad esempio, ciò che attualmente avviene nella Regione Lombardia, dove strutture come i Villaggi SOS sono classificate come “comunità”, oppure possono sopravvivere istituti come l’istituto Mamma Rita di Monza che è organizzato in tanti gruppi appartamento ed autorizzato dalla Provincia di Milano a ospitare fino a 130 minori!!

E’ necessaria pertanto un’azione nei confronti delle Regioni affinché, così come richiesto nelle petizioni di iniziativa popolare promosse dall’Anfaa e da altre organizzazioni operanti nel settore minorile, approvino disposizioni per definire le caratteristiche di fondo delle comunità alloggio di tipo familiare e delle case famiglia, stabilendo in particolare, che “Nello stesso stabile non possono essere istituite più di una comunità alloggio o di una casa famiglia. Inoltre, devono essere evitati i raggruppamenti di comunità alloggio e di case famiglia nella stessa zona”

Da anni l’Anfaa richiede inoltre l’istituzione, da parte delle Regioni di un’anagrafe regionale dei minori ricoverati nelle strutture residenziali, anagrafe che dovrebbe essere costantemente aggiornata e che consentirebbe un monitoraggio continuo dei minori presenti negli istituti e nelle comunità e una programmazione mirata degli interventi alternativi (aiuti alle famiglie, affidamenti, adozioni ecc.). E’ scandaloso dover constatare come, nell’era della tecnologia e dell’informatica questa anagrafe sia stata attivata fino ad ora solo in tre Regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto).

Fondamentali sono e saranno inoltre, per raggiungere l’obiettivo del superamento del ricovero in istituto entro il 2006 e dell’effettivo riconoscimento del diritto alla famiglia di ogni bambino, le competenze della magistratura minorile in materia di vigilanza e controllo sugli istituti e sulle comunità e sulle condizioni dei minori in essi ricoverati. Inoltre è necessario un’azione forte di pressione nei confronti delle istituzioni per richiamarle ad un impegno maggiore nell’attivare e sostenere gli interventi alternativi quali l’aiuto alle famiglie d’origine, una maggiore promozione dell’affidamento familiare, e il sostegno delle adozioni di bambini grandi, handicappati e malati. Impegno che dovrebbe tradursi in provvedimenti e atti deliberativi che rendano questi interventi obbligatori e non limitati alle risorse finanziarie disponibili, così come invece previsto dalle norme introdotte dalla 149/2001 che ha modificato la legge 184/83.

Per far sì che il diritto di ogni bambino a crescere in una famiglia non rimanga una vuota affermazione di principio, ma si traduca finalmente in realtà, è fondamentale inoltre l’attivazione e l’impegno di tutta la società civile e, in particolare, delle associazioni di solidarietà familiare.

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