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In questi ultimi tempi si sono verificati preoccupanti orientamenti da parte di alcuni rappresentanti della Magistratura e di alcune Associazioni – recepiti anche nel Piano Infanzia del Governo –, tesi ad introdurre nel nostro ordinamento l’istituto giuridico dell’adozione cosiddetta “mite”. Ampio risalto è stato dato – anche da parte della rivista “Minori e giustizia” – all’iniziativa assunta dal Tribunale per i minorenni di Bari, in ordine alla istituzione, nell’ambito della cancelleria adozione, di uno specifico servizio relativo all’ “adozione mite”. L’utilizzo di questo termine è quanto meno improprio in quanto non è prevista nel nostro ordinamento un’adozione con questa denominazione.

Nella prassi adottata dal Tribunale per i minorenni di Bari, l’adozione “mite” consiste in un’applicazione estesa – e a nostro avviso impropria ed estremamente preoccupante per le gravi conseguenze cui può condurre – di quanto previsto dal comma “d” dell’art. 44 “Adozione nei casi particolari” della legge 184/83 e ss. mm.

L’adozione nei casi particolari, lo ricordiamo, non conferisce al bambino lo status di figlio legittimo dei genitori adottivi e non interrompe i rapporti con i genitori biologici

Noi concordiamo sulla applicazione del suddetto comma unicamente come forma residuale, per quei limitati casi in cui per un minore dichiarato adottabile, in quanto privo di assistenza materiale e morale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi, non sia possibile l’inserimento in una famiglia adottiva avente i requisiti previsti per l’adozione legittimante.. Quando esiste uno stato di adottabilità accertato sarebbe pericoloso utilizzare questo tipo di adozione al posto di quella legittimante, in quanto priva l’adottato dello status di figlio legittimo con tutte le conseguenze non solo giuridiche, che ciò comporta. Ricorrere all’adozione “mite” in questi casi significa ridare fiato ai legami di sangue, significa misconoscere il fondamentale ruolo educativo della famiglia adottiva e riconoscere una valenza formativo-affettiva a genitori d’origine che pur hanno lasciato il minore privo di ogni sostegno morale e materiale.

Un altro duro colpo all’adozione intesa come genitorialità e filiazione vera e completa. Illuminante al proposito è quanto scritto da Franco Occhiogrosso, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bari in un suo articolo sull’adozione mite: “L’adozione mite si pone nella prospettiva di superare, sia pur parzialmente, la filosofia di fondo che presiede all’adozione legittimante ed alla sua prospettiva di intendere l’adozione come “seconda nascita” del minore con cancellazione di ogni riferimento al suo passato”.

L’adozione per noi rappresenta per il minore sì una “seconda nascita”, che non cancella però la sua prima nascita e i suoi eventuali ricordi legati alla sua storia, ma non ne mantiene alcun legame giuridico. Purtroppo – come abbiamo più volte sottolineato anche su questo Bollettino – l’aver disciplinato per legge, la possibilità di accesso all’identità dei genitori biologici da parte dei figli adottivi, possibilità prevista dall’art.28 della l.149/2001 di modifica della 184/83, ha inflitto un vero ‘colpo al cuore all’adozione’ intesa come genitorialità e filiazione vere e complete e ha aperto un pericoloso varco alle posizioni retrograde di chi tuttora ritiene il legame di sangue, un vincolo indissolubile.

Altrettanto pericoloso, a nostro avviso, è, ricorrere all’adozione nei casi particolari, quando il minore non versa in situazione di privazione di assistenza materiale e morale da parte dei suoi genitori. In questo caso lo strumento corretto da utilizzare per rispondere alle esigenze affettive di un bambino e di un ragazzo che ha una famiglia in difficoltà, è l’affidamento familiare.

Il Tribunale per i minorenni di Bari la propone invece, come modalità da utilizzare nei casi di affidamenti a lungo termine. A nostro avviso questa è una soluzione inaccettabile e fuorviante.

Se il minore non si trova in stato di adottabilità non è corretto, a nostro avviso, ricorrere ad adozioni più o meno miti, anche nei casi di affidamenti a lungo termine. Questo anche e soprattutto, per tutelare i diritti della famiglia di origine, che non deve essere espropriata del suo ruolo genitoriale, anche se per svolgerlo deve contare sull’aiuto di un’altra famiglia.

Se passasse il concetto che gli affidamenti a lungo termine (che sono la stragrande maggioranza degli affidamenti) si trasformano in adozione, anche se “mite”, i genitori in difficoltà si sentirebbero traditi e, ancor meno di oggi, sarebbero disposti a dare il loro consenso all’affidamento e a collaborare con gli affidatari.

Non troviamo etica la prassi avviata sempre dal Tribunale per i Minorenni di Bari che dà la possibilità di presentare domanda per l’adozione “mite” agli aspiranti genitori adottivi: queste domande sarebbero prese in considerazione per gli affidamenti a lungo termine, con la possibilità di tramutarsi, in un secondo tempo, in adozione “mite”.

Famiglie che hanno fatto domanda di adozione possono maturare sì una disponibilità all’affidamento e diventare – ed è quello che l’esperienza di tante famiglie Anfaa insegna – famiglie affidatarie, ma è necessario un lungo e diverso percorso di elaborazione delle proprie motivazioni prima di essere in grado di accogliere un bambino in affidamento familiare, affidamento che implica necessariamente rapporti con la sua famiglia d’origine. Proporre l’adozione mite alle famiglie aspiranti all’adozione, come possibile sbocco di un affidamento familiare a lungo termine, è un messaggio fuorviante e scorretto.

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