Gli Enti Locali, per pubblicizzare l’affidamento familiare, fanno spesso ricorso ad opuscoli recanti immagini colorate e frasi accattivanti che spiegano, in modo conciso ed efficace, alcune caratteristiche di questo servizio sociale, veri e propri slogan per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su un “prodotto” delicato e poco conosciuto. Facciamo qualche esempio.
Il Comune di Como, la Regione Emilia Romagna, la Città di Torino nelle loro iniziative promozionali hanno posto l’accento sulla differenza fra adozione e affidamento, coniando slogan molto simili: “Affido familiare: una famiglia in più per i bambini in difficoltà”, “Affidamento, una famiglia in più”, “La famiglia affidataria: una famiglia in più, non una famiglia al posto di un’altra”. Il concetto che si vuole sottolineare è che, mentre con l’adozione viene meno qualsiasi legame fra l’adottato e la famiglia di origine, con l’affido il rapporto parentale viene mantenuto e anzi rafforzato. Non è raro che gli affidatari si prendano cura, oltre che del minore, anche dei bisogni della famiglia d’origine onde favorirne il recupero sociale.
Il Comune di Roma e la Provincia di Varese, da parte loro, hanno preferito porre l’accento sulla temporaneità dell’affido ed hanno scelto, rispettivamente le seguenti frasi: “Affidamento familiare è prendere per mano un bambino in difficoltà” e”Prendi un bimbo per mano”. Si prende un bambino per mano per fargli attraversare la strada: Quando si arriva al marciapiede opposto la mano si può lasciare. In questa stretta di mano non c’è niente di possessivo.
L’affidamento è infatti oblatività, logica di servizio. Più che un “tendere la mano”, nel significato un po’ pietistico di “soccorrere”, è un “dare man forte”. Gli affidatari, specialmente se il minore è affetto da handicap, devono spesso rivendicare con forza provvidenze e servizi a favore del bambino loro affidato (iscrizione alla scuola materna, appoggio scolastico, servizi di riabilitazione, presidi sanitari, ecc.) Spesso si richiede loro una buona dose di combattività per difendere la causa del minore.
Talvolta gli slogan contengono un forte appello solidaristico, come quello del Comune di Firenze del 1992. Il messaggio “Se smettiamo di pensare all’uomo…smettiamo di essere uomini” era completato dalla foto di due occhi sgranati di bambino. L’uomo cui si alludeva era il bambino ed il riferimento era corretto. Il bambino infatti non è un oggetto, né un’aspettativa di adulto, né un piccolo uomo (un “ometto”). Egli, nella moderna concezione, è un uomo piccolo ma, nondimeno, una “persona”. La dignità umana è comune ad ogni uomo, indipendentemente dall’età, qualunque sia lo stadio di sviluppo raggiunto. Certamente sbagliava Francesco Carnelutti, insigne giurista, quando sosteneva che il minore è “un individuo che attraverso il processo educativo diviene persona”. E’ una persona fin da subito.
Un altro argomento usato per sensibilizzare l’opinione pubblica è quello della relazione esistente fra affidamento e potenzialità di crescita del minore. Ne fanno fede i seguenti slogan: “Una famiglia per crescere” (Comune di Alessandria), “L’importanza di crescere in una famiglia” (Provincia di Trieste). Il minore trova in famiglia il calore, l’affetto, la sicurezza e l’autostima necessari per sviluppare una personalità equilibrata ed armonica.
Qualche anno fa anche l’Anfaa aveva proposto un proprio slogan: “L’affidamento aiuta a diventare grandi: lo sanno anche i bambini”. A parte il gioco di parole, la congiunzione “anche” voleva indicare che la crescita è condivisa dagli adulti (famiglia affidataria, famiglia di origine). L’affidamento è una vera occasione di crescita. Per tutti.
La Regione Liguria ha scelto il seguente messaggio: “Crescere non è un gioco da ragazzi”, volendo mettere in rilievo come la crescita può diventare impossibile senza il sostegno di un ambiente familiare. La parte figurativa dell’opuscolo mostra due bambini. Quello più grande aiuta il piccolo a salire su un triciclo.
Il Comune di Milano, nell’intento di sdrammatizzare l’affido, ha adottato lo slogan “Cerchiamo mamme e papà che sappiano giocare”. La parte illustrata dell’opuscolo riproduce un grosso pallone a spicchi colorati, che evoca un clima di ottimismo e di serenità. L’idea centrale che si vuole veicolare è che gli affidatari non sono eroi, bensì delle persone comuni. Come ha acutamente osservato lo psicologo Alberto Neri, “l’affidatario è un particolare tipo di operatore il cui specifico professionale è rappresentato dalla normalità e che della propria normalità si avvale per partecipare alla risoluzione di problemi eccezionali”.
Con lucida sintesi, il magistrato Lamberto Sacchetti ha espresso un concetto analogo: “lo scopo dell’affidamento è trovare un posto per permettere a dei bambini di vivere da bambini”.
Fabrizio Papini
torna all’indice del Bollettino 01/2004 – Gennaio / Marzo 2004