torna all’indice del Bollettino 02/2004 – Aprile / Giugno 2004

Gent.ma dott.ssa De Rienzo,

mi rivolgo a lei per sottoporle un quesito che riguarda i nostri ragazzi e il mondo della scuola e dello studio.

Come spesso capita, confrontandomi con altri genitori, ho verificato che la costante che contraddistingue i nostri ragazzi è un basso o a volte bassissimo rendimento scolastico e una certa inadeguatezza scolastica.

Pur avendo figli con una intelligenza più che normale, verificata in più occasioni anche dagli insegnanti stessi, ecco che alla resa dei conti ci ritroviamo però con pagelle “sull’orlo di una crisi di nervi”.

Questa situazione, ovviamente, è molto pesante per i ragazzi che con il passare degli anni tendono a perdere la stima in se stessi, sfociando in alcuni casi con rendimenti sempre più bassi e in altri con atteggiamenti comportamentali difficili da gestire.

La mia domanda è quindi:

“Esiste una relazione fra ragazzi adottati e inserimento scolastico?”

e inoltre:

“Quale può essere il giusto atteggiamento da tenere nei loro confronti?”

La seconda domanda è quella che mi sta più a cuore, perché avendo tentato molte strade:

· Colloqui ripetuti con gli insegnanti;

· Cambio della scuola;

· Atteggiamenti di comprensione e aiuto;

· Atteggiamenti rigidi e con precise richieste;

· Aiuti esterni

devo dire che a tutt’oggi ancora non sento di aver trovato la via giusta.

Quando dico giusta, intendo fondamentalmente per loro, che gli assicuri un futuro sereno dove possano trovare la loro dimensione di persone realizzate.

La ringrazio e confido nel suo parere di esperta.

Fulvia Scorta Nobile – mamma adottiva

 

Il problema posto dell’inadeguatezza di molti bambini con storie particolari (adozione, affidamento o altro) di fronte alle richieste della scuola e del conseguente rendimento basso è uno dei nodi fondamentali sia di chi lavora nella scuola sia delle famiglie.

John Bowbly fa riferimento alla “fatica di pensare” dei bambini che, quando hanno avuto una storia più difficile, possono perdere anche se non in modo irreversibile, spazi di elaborazione mentale nel timore che ricompaiano quei ricordi che “non devono ricomparire”. La scuola può avere, in questo senso, come la famiglia, delle responsabilità se non aiuta il bambino a rielaborare i propri vissuti e a razionalizzarli. Ma ci vuole tempo e attenzione al mondo emotivo del bambino. Purtroppo sia come insegnanti sia come genitori abbiamo troppa “fretta”, inseguiamo programmi. I programmi devono essere in funzione dei bambini e non viceversa. Pensare solo alla sfera intellettiva del bambino e non al suo mondo affettivo ed emotivo equivale a credere che si possano separare in un individuo la sfera cognitiva da quella affettiva, la lezione dalla formazione, il sapere dal comprendere. L’apprendimento non può sicuramente prescindere da una relazione stretta tra funzione affettiva e funzione cognitiva.

E tempo bisogna spenderlo per creare un buon clima di classe. Se, infatti, il bambino si sentirà accettato per quello che è dagli insegnanti e dai compagni, non dovrà spendere energie per difendersi, per reagire a stimoli negativi, ma nella sua mente ci sarà lo spazio per apprendere cose nuove, cose che lo aiutano a crescere come persona non solo come alunno.

La valutazione, inoltre, può essere vista come un momento di crescita del bambino o di svalutazione. Bisogna verificare se il giudizio si misura in relazione ad un programma generale o al percorso che il bambino sta facendo. Uno stesso risultato in realtà può avere diversi significati: può essere un gran punto d’arrivo, un momento di stallo o un passo indietro. E il giudizio dovrà essere dato per aiutare il bambino a crescere, partendo dalla sua individuale situazione per spronarlo a realizzare quello che credibilmente può fare: deve, cioè, aiutarlo a sviluppare appieno, secondo i suoi ritmi, le sue potenzialità, a diventare quello che lui vuole e può credibilmente essere in armonia con la sua dotazione naturale, come risultante della sua individualissima storia. Ognuno racchiude in sé un progetto personale e riuscirà a realizzarlo se si aiuterà ogni bambino a sviluppare le sue potenzialità.

Se il voto in pagella arriva a intaccare l’autostima, questo può diventare per il bambino un vero problema. Educare dovrebbe esser aiutare i ragazzi a dare il meglio di sé, e non aderire ad un bambino “ideale” a cui pochi possono assomigliare.

Un insegnante attento ai modi e ai ritmi di apprendimento dell’allievo, al processo e non solo al risultato, permetterà al bambino di sentire che la stima dell’adulto non è legata esclusivamente a ciò che egli realizza a scuola, ma è attenta a tutta la sua persona. Solo in questo modo egli potrà attivare dentro di sé la fiducia necessaria per affrontare le difficoltà che può incontrare nel suo percorso.

Certamente nessuno, comunque, può avere delle risposte preconfezionate adatte a risolvere tutti i problemi. Come i genitori che hanno più figli sanno bene che ciò che si è verificato positivo per uno magari non lo è per l’altro, così a scuola non si può pensare che la stessa soluzione possa andare bene per ogni bambino.

So molto bene come la realtà spesso sia difficile da affrontare. Secondo me non esiste una relazione tra ragazzi adottati e inserimento scolastico. Non è per lo meno così, che dobbiamo affrontare il problema, ma esiste una scuola che spesso è inadeguata ad affrontare “la diversità”, qualunque essa sia, una scuola che non sa affiancare i ragazzi e aiutarli passo per passo a scoprire la loro strada, il loro percorso individuale che non è quasi mai uguale a quello dell’altro. Lei giustamente chiede cosa fare? Io vivendo all’interno della scuola so che esistono insegnanti più o meno disponibili, scuole più o meno aperte ad affrontare i problemi.

La prima attenzione che i genitori possono avere è quella di cercare le situazioni e anche la scuola più adatta ad un bambino che sappiamo in difficoltà perché ha avuto una storia di sofferenza, una scuola in cui è possibile trovare insegnanti disposti al dialogo, disposti a investire nella relazione e nella creazione di un clima favorevole allo star bene, una scuola che non riduce tutto al profitto. La seconda è quella di cercare altri genitori con lo stesso problema, di formare piccoli gruppi che, magari affianchino gli insegnanti più disponibili, per portare all’interno della scuola questa cultura dell’accoglienza. Ricordo tanti anni fa, quando sono stati inseriti nella scuola i bambini portatori di handicap, che era proprio così che si faceva. Si lottava, si dialogava, non si mollava. Ora siamo troppo chiusi e isolati.

Se già cominciaste a trovarvi tra genitori adottivi, se cominciaste a formulare proposte, insomma se provassimo a buttare qualche pietra nello stagno, forse qualcosa si muoverebbe.

Ogni situazione sembra uguale all’altra, ma in realtà non lo è. Bisogna cercare, conoscere le persone, gli insegnanti, interpellarli, costringerli ad uscire dall’apatia in cui molti sono caduti e non solo per colpa loro. Bisogna valorizzare la loro funzione. Criticarli soltanto li costringe ad arroccarsi in una funzione solo difensiva. Non so se quello che dico è fattibile. Ma bisogna pur cominciare da qualcosa. Ed allora parliamone, facciamoci venire delle idee. Nessuno è esperto, tutti siamo portatori di esperienza, di lì dobbiamo partire per tornare ad essere costruttivi e positivi.

Vorrei, però, mettere in guardia anche voi genitori da un atteggiamento che vedo sempre più diffondersi e che ritengo avere dei pericoli.

Non bisogna lasciarsi prendere troppo dal problema rendimento scolastico mettendo a rischio il rapporto affettivo genitore – figlio.

La scuola, infatti, non deve pregiudicare il rapporto genitori-figli. Il rendimento scolastico rischia di diventare un momento di scontro in famiglia e di non lasciare quindi al ragazzo altre possibilità di successo. Non avere risultati scolastici positivi non vuol dire non essere intelligenti, non essere persone valide. Ci sono piani diversi che non vanno confusi e per un genitore è primario il suo rapporto educativo ed affettivo che non può essere messo in secondo piano rispetto alla scuola. Questo non vuol dire che il genitore non darà importanza alla scuola, che non guiderà il figlio allo studio o che assumerà un atteggiamento permissivo. Dobbiamo prima di tutto dare sicurezze, far sentire il proprio figlio accettato ed amato comunque, anche con i suoi insuccessi scolastici. Se il bambino sentirà il proprio genitore ansioso, lo diventerà ancora di più lui e questa è una catena che va spezzata. Bisogna ritrovare comunque la serenità, solo in un clima di fiducia e ottimismo si può costruire un cammino che non deve essere necessariamente quello che ci eravamo prefigurati.

Le difficoltà di apprendimento in chi ha avuto una storia di sofferenza, di abbandono non sono delle invenzioni, sono reali, anche quando in apparenza tutto sembra normale e tranquillo. Non possiamo inoltre pensare: ecco, adesso ci sono io, il suo vuoto è stato colmato e quindi tutto deve andare al proprio posto.

Come genitori forse non dobbiamo avere bisogno della conferma data dal successo scolastico per dire a noi stessi che abbiamo fatto bene il nostro lavoro di genitori.

Dobbiamo essere coscienti che i tempi di crescita possono essere più lunghi del previsto e le strade da percorrere diverse da quelle che noi abbiamo prefigurato.

Il passato non si cancella, ma dovrà piano piano essere accettato, condiviso ed elaborato.

Non si possono evitare i problemi ai bambini, ma aiutarli ad affrontarli nella consapevolezza che a volte possano non trovare una soluzione definitiva. Il bambino non deve, però essere lasciato solo nell’affrontare le sue paure, il suo dolore di fronte a domande che non hanno risposte. Credo che, su questo terreno, famiglia e scuola possano creare quella alleanza solidale a favore del bambino che affiancano ed aiutano a crescere.

Ci sono alcuni presupposti fondamentali che dovrebbero essere all’attenzione di noi insegnanti o genitori:

1. Gli aspetti cognitivi e gli aspetti affettivi-relazionali sono in stretta correlazione

2. E’ importante costruire all’interno della classe un clima solidale, cooperativo e non competitivo

3. Considerare il bambino non come una scatola vuota, e quindi saper tener conto dei suoi problemi, delle sue difficoltà, della sua individualissima storia

4. Essere convinti che non è la diversità ad essere un problema, ma come questa diversità viene recepita dagli altri

5. Lavorare per un dialogo proficuo insegnanti-genitori

6. Non bisogna arrendersi, né perdere il senso del nostro agire di fronte agli insuccessi. I processi di crescita sono più lenti di quanto noi pensiamo. Siamo spesso troppo pronti a dimostrare che “non è possibile”, mentre a volte si tratta di perseverare, di studiare altre modalità di approccio, di imparare ad attendere o a seminare senza pretendere di vedere subito i frutti.

7. I risultati probabilmente ci saranno ma non nei modi e nei tempi che noi abbiamo prefigurato. Se il nostro atteggiamento non è aperto rischiamo di non riconoscerli solo perché sono fuori dai nostri schemi.

8. Tutti i bambini che entrano nella scuola si aspettano qualcosa,

*si aspettano di essere riconosciuti per quello che sono,

*che li si aiuti a scoprire e valorizzare le loro potenzialità,

*si aspettano di imparare, di faticare,

*di essere aiutati e guidati nel loro cammino,

così come un figlio si aspetta di essere amato dai suoi genitori

E proprio il bambino più difficile, con una storia alle spalle più problematica dovrà capire che il posto dove è entrato, è un posto speciale dove anche lui che si sente a volte triste, arrabbiato, solo, senza spesso neanche capire fino in fondo perché, troverà nella scuola un luogo caldo e disponibile ad ascoltarlo, ad ascoltare non solo quello che sa, ma anche quello che sente.

Emilia De Rienzo

Invitiamo tutte le persone interessate a proseguire nel dibattito aperto su questa rubrica (genitori, ragazzi, insegnanti, educatori, ecc.), ad inviare lettere, testimonianze, richieste di chiarimenti inerenti la scuola, alla redazione del Bollettino Anfaa, presso la Sezione Lombarda, P.za Piemonte 8, 20145 Milano, tel. 02-4985528 e-mail lombardia@anfaa.it

 

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