A Campi Bisenzio l’ANFAA e la locale Sezione Soci COOP stanno portando avanti una serie d’iniziative tendenti a far conoscere l’affidamento familiare.Il primo incontro risale al dicembre 2003 nei locali della sezione soci di Campi.
Nell’aprile 2005 è ripreso il ciclo d’iniziative itineranti: il primo all’interno della Sezione Soci COOP, alla fine di giugno in un bellissimo giardino al centro polivalente del Rosi (frazione di Campi Bisenzio) e il 17 luglio a Legri nell’ambito delle iniziative della festa de l’Unità. Paola Lupparelli, socia Anfaa e vicepresidente della sez. Soci Coop di Campi, ha interessato l’Unicoop Firenze affinché vengano sensibilizzate le sezioni della zona per poter promuovere ed esportare iniziative analoghe.
Agli incontri partecipano,oltre ad affidatari dell’Anfaa, rappresentanti del Centro Affidi di zona per fornire informazioni sull’argomento ed illustrare le situazioni dei minori per cui cercano affidatari. Molto significativa la presenza di alcune mamme affidanti che hanno dato la disponibilità a testimoniare la loro esperienza.
Al primo incontro è prevalsa la commozione, loro (mamme affidanti) e dei presenti, la seconda volta sono state già più “disinvolte”e soprattutto consapevoli dell’importanza della loro testimonianza. In poche parole cercherò di sintetizzare la loro storia (mi hanno entrambe chiesto di farlo per loro e ne autorizzano la pubblicazione).
Jasmine è nata in Marocco 32 anni fa, da 6 anni in Italia, è sposata con un connazionale (regolare e con lavoro) ed ha un bimbo di 2 anni.
Si sono trasferiti a Firenze, da Verona, quando il bambino aveva due mesi.
L’inizio è stato molto difficile, soprattutto a causa della solitudine e della difficoltà ad organizzarsi e la paura di non saper provvedere al piccolo.
Quando l’assistente sociale, alla quale si era rivolta, le ha parlato di affidamento ha subito accettato senza nemmeno voler sapere di cosa si trattasse tanto era la sua disperazione.
L’impatto con gli affidatari è stato buono, ha capito che si poteva fidare e li ha subito presentati a suo figlio (all’epoca aveva cinque mesi e mezzo!) come i suoi nuovi genitori. Il difficile è stato quando sono andati via con lui da soli per circa due ore; non sapeva come far trascorrere il tempo oltre che piangere.
L’intera famiglia affidataria (con due figli di 18 e14 anni) ha instaurato un bel rapporto, oltre che con il bambino, anche con i genitori e affettuosamente li chiamano ” il ramo sestese della loro famiglia” (abitano a Sesto Fiorentino).
Si tratta d’un affidamento part-time.
Le difficoltà sono diminuite, il legame affettivo aumentato e se gli chiedono fino a quando vorrebbe suo figlio fosse in affidamento, lei risponde “fino al matrimonio”.
Il ruolo dei servizi è stato molto importante: sollecitati dalla famiglia affidataria all’inizio dell’affidamento, hanno risposto con attenzione e professionalità e si sono impegnati fattivamente ad aiutare la mamma a superare le difficoltà presenti.
In seguito, essendosi creato con la famiglia affidante un rapporto affettivo e di fiducia molto stetto, hanno lasciato gestire l’andamento agli affidatari, comunque garantendo la presenza e il supporto dietro richiesta e nei momenti di crisi, e sempre in un clima collaborativo.
Magnolia invece l’affidamento non lo voleva proprio, non riusciva a concepire come mai delle persone fossero disposte, quotidianamente, ad occuparsi di suo figlio, volergli bene, senza l’intento di portarglielo via.
Ha 26 anni, nata in Albania, un matrimonio fallito, un marito violento e una mamma assente, un figlio di tre anni e mezzo non riconosciuto dal padre.
Incinta d’un mese viene cacciata dalla casa del padre del bambino e dai di lui genitori. Viene ospitata in una struttura, di sole donne, gestita da una suora laica e vi rimane fino all’età di 3 anni del bimbo.
La vita è difficile, il bambino nato prematuro (di sei mesi), deve subire difficili interventi chirurgici, una segnalazione della struttura in cui vive al Tribunale per i minorenni allo scopo di sollecitare i servizi ad intervenire, viene da lei vissuta come un tentativo di toglierle definitivamente il bambino.
L’affidamento le viene proposto nell’ambito d’una serie d’iniziative che mirano a farla uscire dalla struttura: cambiare lavoro per potersi occupare del figlio in maniera migliore e trovare un’abitazione.
Il bambino vivendo in famiglia riuscirà a stabilire rapporti con altre persone che non siano la madre, verso la quale ha un attaccamento viscerale, e potrà conoscere l’affetto unito all’autorevolezza e ad un po’ di regole.
L’inizio è disastroso: “Perché lo fate?” è il suo saluto rivolto con lo sguardo torvo agli affidatari, il bambino è incontrollabile in presenza della madre, non vuol saperne di lasciarla (temporaneamente), non reagisce, non parla, non risponde quando sta con gli affidatari e dondolandosi ripete in continuazione “voglio Lola, voglio Lola, voglio Lola” (non l’ha ancora mai chiamata mamma in tre anni di vita).
La madre vive l’affidamento come un’espropriazione e il bambino lo vede come una punizione (però solo al momento del distacco, perché dopo poco tempo, in famiglia è tranquillo, ha acquisito fiducia, è ubbidiente e addirittura affettuoso).
Anche questo è un affidamento part-time.
Dopo 2 mesi il cambiamento è evidente: quando non è presente la madre è tranquillo, sorridente e riesce a giocare con altri bambini.
La mamma nel frattempo ha incontrato un compagno, hanno insieme trovato casa e il padre del piccolo ha chiesto il riconoscimento; un nuovo lavoro della mamma sembra chiudere un quadro positivo.
La mamma dice di rimpiangere il tempo perso in dubbi e paure, ha capito i lati positivi dell’affidamento e assicura che appena potrà darà la sua disponibilità come affidataria.
Per ora l’affidamento è concluso e non rinnovato, dopo l’estate verrà valutata la situazione e la necessità eventuale d’una ripresa.
L’esperienza delle testimonianze delle mamme affidanti è stata molto importante perché utile a loro stesse per poter esprimere le paure, le aspettative e i risultati ottenuti.
Per chi le ha ascoltate è servito a chiarire lo scopo dell’affidamento e ad attenuare l’eventuale prevenzione nei confronti di chi si trova nella necessità di affidare il proprio figlio che spesso significa momento di difficoltà unito a grande solitudine e non necessariamente incapacità o mancanza di volontà nell’accudimento del proprio bambino.
Si sono sentite importanti perché (così come detto da loro) si sono trovate ad avere uno spazio di dialogo e di confronto ed hanno capito che le famiglie affidatarie sono famiglie normaliche spesso hanno vissuto anche loro momenti di difficoltà e che mettono a disposizione parte del loro tempo e il loro amore per aiutarle a superare periodi bui prendendosi cura dei loro figli senza nessuna intenzione di appropriarsene né fisicamente né affettivamente.
Paola Lupparelli
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