torna all’indice del Bollettino 03/2004 – Luglio / Settembre 2004

Relazione del seminario “Una famiglia in più – Motivazione e ruolo degli affidatari nel progetto di affidamento” svoltosi a Torino il 5 giugno 2004, organizzato dall’Anfaa in collaborazione con: Gruppi di auto-mutuo aiuto di affidatari Rubino, Biancospino, Bambi e Bazar; Fondazione Promozione sociale; Coordinamento Sanità Assistenza fra i movimenti di base di Torino

Obiettivo

Gli obiettivi dell’incontro, dove si è cercato di sviluppare alcuni temi ritenuti fondamentali per le famiglie affidatarie (essere “soggetti attivi” e conseguentemente quale “ruolo sociale” svolgere), sono stati così formulati:

1. ricercare il perché di una scelta di accoglienza.

2. disegnare e riproporre il ruolo degli affidatari.

Struttura

Introduzione al tema, partendo da alcune riflessioni comuni, per definire i confini di riferimento e per mettere in evidenza gli attori del processo e le loro relazioni.

Si è proceduto ad analizzare quindi i seguenti contesti:

Contesto interno:

    • la famiglia;

 

    • i minori: “biologici”, adottivi, affidati, altri;

 

    • i maggiorenni: gli stessi più i parenti, gli amici, i nonni, ecc.;

 

    • il tempo libero

 

Contesto esterno:

    • la scuola: insegnanti, compagni, ecc.;

 

    • i Servizi: sociale, sanitario, anagrafico, ecc.;

 

    • il Tribunale per i Minorenni: giudice, giudice tutelare, ecc.;

 

    • la famiglia d’origine: genitori, fratelli, nonni, parenti, ecc.;

 

    • il tempo libero.

 

Si sono messe in comune le “esperienze” dei partecipanti. Questo ci ha permesso di “ragionare” sui rapporti e sulle relazioni che si instaurano tra idiversi attori del processo.

Mettere in comune le “esperienze“, “ragionare” insieme, dovrebbe aiutare a “crescere“, per trovare nuove forze e nuove risorse, scoprendo nuovi campi di azione per affrontare le criticità quotidiane.

Sviluppo

Per entrare di più nel vivo delle “esperienze personali”, ogni partecipante ha provato a sintetizzare con una breve frase scritta, che cosa volesse dire per lui “scelta di accoglienza”.

Tutte le frasi raccolte sono state suddivise in quattro aree significative (in alcuni casi la suddivisione non è stata facile e quindi si è cercato di capire, discutendo, il significato delle frasi per attribuire loro un’area di riferimento).

Area 1 – Per un impegno personale

  • verificare le proprie capacità;
  • fare un’esperienza di un altro tipo di amore;
  • per dare affetto,….. disponibilità,…… accoglienza; per donare,….. crescere;
  • per mettersi in discussione;
  • dare un’opportunità a chi è in difficoltà;
  • scelta di un servizio mancato;
  • per essere madre; per desiderio;
  • perché ci piaceva.

Area 2 – Per essere una famiglia aperta

  • il dono va condiviso;
  • amore come servizio,…..accoglienza;
  • bisogna essere generosi,…..altruisti;
  • per mettersi in gioco;
  • come impegno personale;
  • sperimentare un progetto di accoglienza;
  • condividere lo spazio;
  • come momento di crescita personale e familiare;
  • impegno sociale, dare tempo agli altri.

Area 3 – Come scelta ideologica

  • continuare un’esperienza di volontariato;
  • per vivere la solidarietà;
  • allargare la famiglia alla solidarietà.

Area 4 – Altro

  • ci sto pensando, non l’ho ancora scelto;
  • mi piace l’idea;
  • per spirito d’avventura;
  • scelta obbligata;
  • perché sono fortunata.

Molti sono i perché di una “scelta di accoglienza” e come si può vedere, molti sono legati alle “esperienze” delle singole persone, al loro “ragionare” sulle esperienze fatte o da fare. È difficile quindi sintetizzare o cercare di trovare parole comuni per semplificare il “ragionamento”.

Però, si può fare riferimento alla voglia che le persone hanno di “mettersi in gioco” e di “ragionare” su che cosa questo voglia dire sia come singolo che come famiglia.

Proprio su questo tema si sono raccolti ulteriori spunti per approfondire la discussione.

Mettersi in gioco vuol dire:

  • scoprire i propri limiti;
  • scoprire le proprie capacità, verificarle;
  • verificare le proprie certezze;
  • rivedere la scala dei valori;
  • scoprire/ricercare l’ignoto;
  • essere aperti al nuovo;
  • affrontare le difficoltà;
  • mettersi nell’ottica del cambiamento;
  • esporsi verso gli altri e verso se stessi;
  • essere un po’ pazzi;
  • affrontare grandi difficoltà, responsabilità.

Per “mettersi in gioco” occorre, cercare dentro di noi la forza, la voglia di affrontare questi temi, capire se abbiamo le “competenze” necessarie, se possiamo affrontarli da soli o se sia meglio condividere con altri il percorso.

In particolare quando si parla di “competenze” è necessario, però, svilupparne meglio il significato, onde evitare di dare interpretazioni diverse alla stessa parola.

Il concetto di “competenza” deve essere ampliato, analizzando le due parti che lo compongono.

Da una parte si può parlare di competenza specifica o meglio di “conoscenza professionale“, cioè dell’insieme di tutte quelle specificità legate ai modelli, agli strumenti educativi e relazionali, alla pedagogia, alle dinamiche parentali, alla conoscenza delle norme e delle leggi, ai diritti e doveri della famiglia affidatataria, del minore, dei Servizi, della famiglia naturale, ecc.

Dall’altra si deve parlare invece di “capacità e qualità” dei rapporti, delle relazioni, cioè della disponibilità al cambiamento, della voglia di “mettersi in gioco” e di “rimettersi in gioco”.

Nella seconda parte vanno presi in seria considerazione tutti quei comportamenti, atteggiamenti personali e di coppia, che possono portare al successo o, in difetto, porci in situazioni a volte di non ritorno.

“Mettersi in gioco”, per una famiglia affidataria, vuol dire accettare di non essere più una delle tante famiglie, bensì diventare una “famiglia sociale”, che “vive nel sociale” “lavora per il sociale” e, come tale, essere riconosciuta in particolare dai Servizi.

Vuol dire quindi camminare continuamente su un percorso di studio, di analisi, di coinvolgimento e di discussione, dove spesso il “gruppo” fa la differenza perché può essere di aiuto, di supporto, di verifica.

Il “gruppo” è un supporto fondamentale sia per i momenti di successo sia per quelli di crisi, per sé e per gli altri. Alcuni percorsi fatti da soli possono essere molto faticosi e a volte dare l’impressione di essere un po’ onnipotenti: è molto più difficile mettersi in discussione da soli.

Al gruppo dei partecipanti è stata quindi formulata un’altra domanda:

“Che cosa ci servirebbe per diventare più competenti?”

Di seguito alcune risposte emerse dopo un breve lavoro di gruppo:

A livello personale

    • maggiore apertura verso l’esterno;

 

    • sviluppare una forte motivazione;

 

    • sentirci ascoltati da “tutti”;

 

    • essere aiutato e guidato nella scelta per diventare famiglia affidataria;

 

    • avere “più peso” nei confronti dei Servizi, del Tribunale per i Minorenni, della scuola;

 

    • approfondire e sviluppare temi riguardanti le norme e le leggi, ecc.

 

Dai Servizi

    • informazioni più precise sul “caso”;

 

    • definizione del “contratto” per un maggior coinvolgimento della famiglia affidataria;

 

    • definizione, chiarezza e aggiornamento del “progetto” riguardante il minore e la famiglia naturale;

 

    • una maggiore attenzione ai “problemi” e un aiuto per affrontarli;

 

    • maggiore sostegno sia individuale che di gruppo.

 

Organizzativi

    • gruppi di A.M.A. (auto-mutuo-aiuto) più omogenei;

 

    • uscire dai gruppi chiusi, essere più di esempio per gli altri (maggiore pubblicità).

 

Su questi argomenti si è chiuso l’incontro dopo una breve discussione e una messa in comune dei temi emersi durante i lavori dei sottogruppi.

Conclusioni

La sfida che ci eravamo dati all’inizio dell’incontro era molto ambiziosa, ma il gruppo ha saputo reagire molto bene.

La difficoltà di mettere in discussione un gruppo di persone così elevato (circa 60 partecipanti), non è stata percepita. Fin dall’inizio le persone sono state disponibili e hanno collaborato efficacemente perché si potessero sviluppare gli obiettivi che ci eravamo posti.

Molti sono i temi e gli argomenti emersi dai lavori sia singoli sia di gruppo che non devono essere dispersi.

Le potenzialità dei partecipanti devono servire da stimolo per i Servizi, per le associazioni, per affrontare un cammino non solo di assistenza, ma anche formativo e di sviluppo.

È auspicabile che le richieste emerse possano avere prossimamente risposte sia sottoforma di incontri personali che di dibattiti o attraverso interventi formativi.

Le famiglie così stimolate e formate possono diventare “strumenti sociali” e quindi esempi da imitare per uno sviluppo sempre più consapevole dell’istituto dell’affidamento familiare.

“gruppi” esistenti devono essere potenziati, devono essere guidati almeno con una supervisione costante. È necessario formalizzare periodicamente il lavoro svolto dai gruppi, analizzarne i percorsi fatti, relazionare e divulgare.

Come è successo nell’incontro che abbiamo svolto, le persone imparano dall’esperienza” degli altri, ragionano” sull’esperienza propria e altrui, rimettendosi ogni volta in gioco“,con un ruolo sociale rivolto al sociale.

a cura di Mario Aliberti

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