Puff, una tappa è raggiunta: sono maggiorenni. Tutti e quattro.

Si è genitori per tutta la vita ma il lavoro più faticoso e più carico di responsabilità è completato: abbiamo contribuito alla formazione di quattro uomini! Ci saranno ancora preoccupazioni, consigli richiesti o rifiutati, aiuto spirituale e materiale, cura dei nipotini (speriamo!)… ma sarà ormai un rapporto fra adulti. Quanto sembrano lontani i furtarelli dal portafoglio della mamma, il diario pieno di note gettato spavaldamente nel bidone della raccolta carta (figlio delinquente ma ecologico…) fuori da scuola, le abbuffate compulsive, la notte fuori casa senza avvisare, le bugie difese nonostante l’evidenza, i musi ostili che duravano giorni. Situazioni sulle quali oggi sorridiamo, ma che sono state veri e propri drammi che ci hanno messi in crisi.

Ma adesso possiamo permetterci di ripercorrere, con serenità e indulgenza, il nostro cammino di genitori gioiosi e casinisti, attenti e distratti, con qualche intuizione azzeccata e tanti errori.

Il nostro è sempre stato un progetto di famiglia numerosa, in cui avrebbero trovato posto figli biologici e figli adottati. Siamo stati molto fortunati perché ci è capitato proprio così: nati i primi due figli, abbiamo dato la prima disponibilità all’adozione, pensando, nella nostra beata incoscienza, di cavarcela in poco tempo. Come invece ben sanno tutti coloro che hanno fatto questo percorso, i tempi si sono molto allungati e solo dopo 4 anni e mezzo siamo arrivati al nostro terzo figlio. Passato un altro anno, cocciutamente, abbiamo presentato una nuova disponibilità e in tre anni e mezzo è arrivato il quarto.

In quel momento, la famiglia che sentivamo ormai completa comprendeva quattro bambini fra i 5 e i 12 anni, un cane e un gatto, e una solida rete di parenti e amici.

Li guardiamo adesso e vediamo 4 giovanotti diversi fra loro per carattere, corporatura, attitudini, statura, interessi e … attaccatura dei capelli (ah, sì: anche per il colore della pelle).

Eppure, quante volte gli amici al citofono o al telefono li scambiano fra loro o con il loro padre, a causa della voce.

La voce è una caratteristica profonda delle persone, che dice molto della loro essenza: è in parte “genetica”, nel senso che dipende dalla forma delle corde vocali e delle fosse nasali, dalla potenza dei polmoni e così via, ma in larga parte è “ambientale” e dipende dai modelli che abbiamo intorno crescendo.

In pratica, la voce dei nostri figli è una “voce di famiglia”, il segno evidente di qualcosa che li accomuna al di là dei cromosomi, di qualcosa che li ha formati tutti e quattro al di là del DNA.

E’ così facile per noi genitori capire che cos’è, sembra così evidente, lapalissiano: sono tutti nostri figli, li amiamo, si amano. Ed è questo il loro comune denominatore.

“Ma due sono nati da voi e due da altri, non avete mai sentito una differenza?”, ci hanno chiesto spesso.

Possiamo rispondere con un bel sorriso convinto che NO, nel nostro cuore non c’è mai stata differenza fra loro. Addirittura, certe volte, parlando in famiglia o con amici, ci siamo clamorosamente dimenticati se QUELLO era un figlio biologico o adottato, ad esempio indicando l’ospedale vicino a casa come luogo di nascita dell’uno (adottato!) o il tribunale come luogo del decreto di adozione dell’altro (biologico!).

Questo non significa negare le differenze di esperienza che possono condizionare la vita di un bambino adottato rispetto a uno biologico: il secondo è sempre vissuto con le persone da cui è nato, il primo no, e questo provoca mancanza di autostima e necessità di essere continuamente rassicurato sull’amore dei genitori, magari sfidandoli con comportamenti problematici. Nell’adolescenza, ripercorrendo come tutti “criticamente” la propria infanzia e le proprie origini per porre le basi al futuro adulto, il ragazzo adottato si chiede, spesso per la prima volta , da dove viene e perché è stato abbandonato. Fantastica sui genitori di origine, attribuendo loro qualità o colpe, e si sente ambivalente con i genitori adottivi (vuole staccarsi e contestarli, ma anche testare il loro amore). I primi “abbandoni” (da parte delle fidanzatine o degli amici) fanno bruciare molto di più le ferite del “primo” abbandono (da parte dei genitori biologici)…

Per una madre e un padre, l’unico modo per affrontare questi problemi del figlio è essere sereni e ritenersi a tutti gli effetti, pacificamente e senza ombra di dubbio, i suoi genitori. In questo modo ci si può mettere a disposizione per aiutarlo a rispondere alle domande che si fa, per farlo sfogare, per rassicurarlo sul fatto che noi lo ameremo per sempre, per aiutarlo a sdrammatizzare le delusioni d’amore e di amicizia ed anche per chiedere aiuto allo specialista giusto, nel caso ce ne fosse bisogno.

Proprio come faremmo (e facciamo) per i problemi di un figlio biologico.

Perché alla fine sono davvero tutti uguali, affettuosi e mascalzoncelli, egoisti e pieni di slanci, scarrafoni così belli per la loro mamma!

M. e F.