La ricerca

Realizzata dal Comune di Torino-Divisione Servizi Sociali,  è stata realizzata, con la supervisione scientifica della professoressa Anna Rosa Favretto, da un gruppo di operatori pluri-professionale composto da 17 persone di cui  7 assistenti sociali, 6  psicologi e 4 educatori appartenenti ai servizi sociali del comune di Torino e delle Asl cittadine.
E’ stata utilizzata una modalità intermedia tra l’intervista semi-strutturata ed il racconto della storia di vita dell’interessato in quanto si è deciso di focalizzare l’attenzione sull’analisi dell’opinione  del soggetto affidato, perché egli ha partecipato attivamente al proprio percorso di affido ed ha quindi attribuito un senso a ciò che è avvenuto.
Si sono quindi raccolte delle informazioni attinenti al tema delle scelte che gli attori adulti dell’affidamento hanno compiuto, viste attraverso gli occhi dell’affidato: non si tratta quindi della verità dell’esperienza, ma della lettura fatta dal protagonista affidato in merito alle scelte di cui egli è stato “oggetto”.

Gli obiettivi

Gli aspetti a cui sembrava prioritario dare una risposta attraverso la interviste degli affidati erano: “Come l’affidamento ha inciso sulle scelte di vita dell’affidato? L’affidato si è sentito ascoltato? Da chi? Come ha vissuto l’appartenenza a due famiglie? Che cosa pensa di aver perso e guadagnato con l’esperienza di affido?”. Per dare una risposta a questi interrogativi l’intervista proposta ad ogni affidato verteva su diverse domande divise in quattro macro-aree: le caratteristiche socio-demografiche; la famiglia d’origine; la famiglia affidataria; l’opinione dell’affidato sulla sua esperienza di affido.
Erano due gli obiettivi trasversali alle quattro aree: valutare l’efficacia della comunicazione e dell’informazione fornite al soggetto affidato e raccogliere la sua valutazione in merito all’azione svolta dagli operatori durante la sua esperienza di affidamento.
Non sembra utile soffermarsi nella descrizione del lavoro preliminare per giungere alla definizione del campione, ma è piuttosto importante descriverne le caratteristiche. Si tratta infatti di un campione composto da 19 persone che avevano vissuto un’esperienza di affidamento residenziale a terzi e che hanno mantenuto contatti con gli operatori del Comune di Torino o con la famiglia affidataria. Si tratta quindi di persone che hanno saputo stabilire legami significativi e duraturi nel tempo.

I dati raccolti

Dall’analisi dei dati abbiamo individuato alcune aree di particolare interesse:

  • I dati socio demografici

    Sono stati intervistati 10 ragazze e 9 ragazzi di età compresa tra i 18 e i 38 anni.
    Si tratta nella maggior parte dei casi di affidi lunghi, 7 di essi sono durati più di 10 anni ed 11 di essi si sono conclusi oltre il compimento  della maggiore età dell’affidato.
    E’ significativo anche il dato relativo all’età di inizio dell’affido, perché ben 9 affidi hanno avuto inizio durante l’età della pre-adolescenza e dell’adolescenza.
    E’ sorprendente l’indice di gradimento espresso dagli intervistati che sono andati in affido in questa fascia di età. Essi hanno dichiarato di aver apprezzato l’esperienza perché più consapevoli dell’inadeguatezza della loro famiglia d’origine e del bisogno di aver accanto degli adulti che dessero loro regole e fungessero da punto di riferimento e modello nel processo di autonomia e di crescita.
    Questo dato ha fatto riflettere sia gli operatori che le famiglie affidatarie che sono spesso preoccupati nel momento in cui si progetta l’affido di un adolescente perchè temono il fallimento di questa impresa. Tra gli altri dati è emerso che 11 intervistati hanno iniziato l’affido dopo un periodo di ricovero in comunità e, fra tutti, 6 hanno sperimentato più di un affido. Si tratta in generale di persone con un grado di istruzione medio-alto: 8 hanno conseguito un diploma e 4 hanno intrapreso un percorso universitario; 14 lavorano, ed è quindi ipotizzabile che tutti abbiano un inserimento sociale adeguato al proprio ciclo di vita. 7 si sono coinvolti in una vita di coppia e 5 di questi hanno figli. Dai ricordi riportati dagli intervistati emerge che essi ritengono di aver trovato nella famiglia affidataria una vita normale che li ha poi aiutati a progettare la loro dimensione adulta con una propria famiglia. 5 soggetti intervistati hanno sperimentato l’affido presso una famiglia comunità, ovvero una famiglia affidataria che dà la disponibilità ad accogliere fino a 4 minori contemporaneamente (come previsto dalla normativa della Regione Piemonte). Le famiglie comunità sono una risorsa preziosa per il Comune di Torino per l’accoglienza di minori difficili, oppure già grandi e con progetti di affido a lungo termine o già interrotti. Attualmente sono 17 le famiglie comunità che collaborano con il Comune di Torino ed ospitano più di 60 minori in affidamento. Per motivi di spazio non è possibile riportare in questo articolo la sintesi della seconda (famiglia di origine) e della terza (famiglia affidataria) macro-aree delle interviste, che sono diffusamente trattate nella pubblicazione del Comune di Torino. Pare invece degno di nota riportare i dati della quarta macro-area relativa all’opinione dell’affidato sulla sua esperienza di affido. Essa si sintetizza intorno a quattro obiettivi focali: coinvolgimento dell’interessato nel proprio progetto di affido; valutazione della presenza degli operatori di riferimento durante l’affido; bilancio dell’esperienza di affido: aspetti  positivi e negativi; raccolta dei suggerimenti dell’intervistato.

  • La valutazione dell’intervistato in merito al proprio coinvolgimento nel progetto di affido

    varia a seconda dell’età del minore al momento dell’avvio dell’esperienza. Tuttavia un incrocio delle risposte delle varie aree denota che la maggior parte degli interessati ritiene di non aver partecipato alla decisione relativa al proprio affidamento. Dall’analisi del materiale si evince il bisogno degli intervistati di avere maggiore spazio di parola, di ascolto e di confronto con gli operatori sulla decisione dell’affido e sul suo andamento: 8 intervistati su 13 hanno sottolineato l’importanza dell’ascolto del  minore per il quale gli adulti hanno deciso un progetto di affido, uno ha detto:  «Accompagnare il bambino, soprattutto nella fase iniziale: parlare con lui ed ascoltarlo. Dare maggiori informazioni e spiegazioni al bambino per facilitare la sua comprensione delle ragioni dell’affido, su come sarà…» Un intervistato suggerisce modalità di contatto con gli operatori  meno formali perché potrebbero essere più efficaci: «Con la mia assistente sociale NON sono mai andato a prendere un gelato… invece stare a casa, o dentro la stanzetta chiuso con lei le racconti quello che vuoi. Per lo più la vedevo 1 o 2 volte all’anno: cosa dovevo raccontarle? Come va? La scuola, tutto bene? Quello era il discorso!».  Emerge inoltre la necessità di avere un “operatore chiave” che abbia il compito di tenere il filo della storia di vita del bambino/ragazzo e che lo tenga  aggiornato sugli sviluppi e gli eventi significativi che accadono e lo riguardano direttamente o indirettamente. Ci si aspetta quindi che un operatore (di solito l’assistente sociale) faccia da “connettore” tra tutti i pezzi di vita del bambino e della sua famiglia. In merito all’operatore con cui c’è stato un buon rapporto, oltre agli operatori dei servizi (l’assistente sociale, lo psicologo, l’educatore) 7 intervistati hanno citato il giudice del Tribunale per i minorenni che li aveva convocati. Si tratta sempre di incontri brevi, ma molto significativi: «Una volta sono andato nell’ufficio del giudice e gli ho buttato giù dalla scrivania tutto quello che c’era». «E’ stato un incontro solo di mezz’ora, ma è stato molto importante perché chi avevo di fronte mi stava prendendo sul serio e questo è stato molto importante per me percepirlo…».

  • La continuità degli operatori nel progetto di affido risulta essere un elemento significativo

    più volte nelle interviste emerge l’opinione che la continuità o discontinuità degli operatori possa determinare il buon esito o meno dell’affidamento. Alcuni intervistati hanno manifestato un vissuto di abbandono a causa del turn-over degli operatori. Il supporto insufficiente degli operatori non consente agli affidati di affrontare serenamente le difficoltà dell’affido, mentre la continuità degli operatori è fondamentale per stabilire un legame, una relazione che consenta agli affidati di aprirsi,  di sentirsi ascoltati e sostenuti nelle difficoltà. Uno ha riferito: «… Nella mia esperienza gli operatori sono quasi sempre cambiati; secondo me questo è sbagliato perché un bambino deve avere il suo punto di riferimento e deve dire ‘quello lì mi sta aiutando, quindi se ho qualche problema devo chiamare lui». Dalle interviste è emersa molto forte la necessità di mantenere dei legami. Coloro che hanno avuto la fortuna di mantenerli possono dire: «So che posso chiamare l’assistente. sociale. quando voglio, ho il numero di telefono ed ogni tanto la chiamo e la saluto!». “Diciamo che lo psicologo era il mio amico,  un po’ più grande, perché gli potevo raccontare tutto… comunque mi ha insegnato molto; … mi piaceva come persona, per i modi di dire le cose, anche proprio come tono”.

  • A proposito del tema del bilancio dell’esperienza di affido

    la quasi totalità degli affidati esprime una valutazione conclusiva dell’affidamento estremamente positiva (solo 2 intervistati non rifarebbero l’esperienza dell’affidamento). Emerge dalle interviste la sensazione che gli affidati abbiano potuto trovare una guida, ma soprattutto delle persone adulte che hanno offerto quell’attenzione individualizzata che era così mancata soprattutto ai ragazzi  che avevano vissuto l’esperienza di comunità prima di andare in affidamento.  Anche quando nel corso dell’intervista sono comparsi elementi di criticità sia rispetto al coinvolgimento nel progetto di affido, sia rispetto al rapporto con la famiglia affidataria, gli intervistati individuano nell’esperienza di affido un evento che ha permesso una trasformazione in senso evolutivo della loro vita. Anche le regole, viste spesso  come negative, vengono in realtà rivalutate, uno ha detto: «Ci hanno insegnato l’impegno, a lavorare, a tirarsi su le maniche!». L’incontro con persone che hanno accompagnato gli affidati nella crescita e nella costruzione di una vita futura, da cui gli interessati hanno ricevuto insegnamenti e stimoli, ha dato loro la sensazione di essere stati aiutati a trovare la propria strada e a diventare le persone che sono. L’esperienza di affido ha inoltre consentito loro di acquisire un modello di famiglia a cui fare riferimento in cui hanno sperimentato nuove modalità di relazione basate sul dialogo e sullo stare insieme, di avvertire quindi quello che un intervistato definisce: «un senso di famiglia che non fa sentire soli!».     In modo particolare colpisce la consapevolezza espressa da molti intervistati che la loro esistenza avrebbe potuto andare in un’altra direzione. Incombe la sensazione di una deriva imminente, mentre l’affidamento ha rappresentato la scialuppa di salvataggio che ha permesso ai soggetti affidati di salvarsi. Ecco come si sono espressi alcuni  intervistati: «Se non fossi andato in affido sarei un poco di buono, buttato da qualche parte, a fare chissà cosa.. è questo che sono arrivato a pensare»; «Non sarei qui, sarei per strada da qualche parte, non sarei la persona che sono adesso; sono contento di essere quello che sono»; «Gli affidatari possono indirizzarti nella strada più giusta e poi quando hai messo la testa a posto anche senza di loro te la puoi cavare!»; «Grazie all’affido sono ripartito!». In merito al tema del bilancio dell’esperienza di affido, negli aspetti negativi  emergono temi di cui si è già detto  (ad es. la necessità di ascolto del bambino), ma emerge anche il bisogno di un progetto di affido che sia seguito costantemente in tutte le sue fasi, da operatori dedicati che non lo ‘dimenticano’.  Un intervistato ha riferito: «Mi sono sentito abbandonato… avevo l’impressione di essere su un’isola sperduta, raggiunta talvolta da esploratori, l’assistente sociale e lo psicologo venuti per accertarsi delle condizioni dell’isola, di chi ci abita, come si comporta, ecc. ». Altri  intervistati hanno sottolineato l’importanza della cura e l’attenzione necessari nella valutazione e nella scelta delle famiglie affidatarie nonché del sostegno durante il percorso di affido. Emerge la necessità che ci sia un operatore che intervenga nei momenti di criticità, uno ha detto: «E’ necessario seguire di più gli affidi. E’ necessaria la presenza di un’assistente sociale che vada dai ragazzi e che spieghi e che nei periodo critici sia ancora più presente: meglio una visita in più che una visita in meno… “coinvolgimento” è la parola giusta!».  E’ necessario tenere conto del fatto  che negli affidi lunghi si modificano i cicli vitali delle famiglie  e gli affidati  passano dall’infanzia all’adolescenza, con tutte le caratteristiche connesse, uno degli intervistati ha raccontato:«Il fatto di passare i week end alternativamente con la famiglia d’origine e la famiglia affidataria mi faceva pensare che quando io non ero con loro la famiglia affidataria facesse delle cosa più belle: soffrivo ad essere un “pacco postale”.

    Poi a 16/17 anni ho deciso di fare tutti i fine settimana con mio padre perché la famiglia affidataria non voleva darmi le chiavi di casa perché non tornassi a casa tardi. Ho scelto di stare con mio padre durante i week end solo perché facevo quello che volevo!». Continuando sul tema del bilancio dell’esperienza di affido,  6 intervistati  su 13 hanno sottolineato tra gli aspetti negativi l’eccessiva rigidità del modello educativo proposto dalle famiglie affidatarie, che in alcuni di loro ha creato molta sofferenza, unita alla sensazione di non essere accolti e compresi: «Si doveva stare entro schemi di una rigidità impressionante… Ero protetto, mangiavo, dormivo, studiavo, ma non mi sentivo me stesso, mi immaginavo diverso, ero represso, non hanno coltivato le mie vere passioni!». Un altro nodo critico risulta essere quello della chiusura dell’affido al compimento del 18° anno di età, emerge la sensazione di dover ricominciare da capo, ed in alcuni casi da soli. Uno di loro riferisce: «La cosa più brutta (dell’affidamento n.d.r.) è stata che il giorno in cui ho compiuto 18 anni, con le valigie in mano, me ne sono dovuto andare… Tuttora, se ci penso,  mi vengono ancora i brividi. Perché di solito uno arriva a 18 anni e festeggia… i genitori, la patente, la macchina…Invece io no: a 18 anni devo prendere e fare trasloco, devo cambiare totalmente mentalità, stile di vita, devo cambiare le mie abitudini…secondo me bisogna fare le cose più graduali…anche se hai 18 anni». Emerge quindi la necessità di una cura particolare dell’affido in concomitanza con il raggiungimento della maggiore età ed una rivalutazione del progetto, prevedendo una chiusura o la prosecuzione dell’affido oltre i 18 anni. In effetti il compimento della maggiore età non coincide oggi con il raggiungimento di un’autonomia personale ed economica.  Per questo il Comune di Torino ha approvato due deliberazioni, nate dall’esperienza delle famiglie affidatarie e dal tavolo di lavoro con le loro associazioni che vedevano il momento del raggiungimento della maggiore età come un momento molto critico, che talvolta impediva al giovane di fare progetti per la sua vita futura. Nel marzo 1990 è stata prevista la possibilità di proseguire l’affidamento fino a 21 anni per i giovani che al compimento della maggiore età non possono rientrare in famiglia e la possibilità di riconoscere alla famiglia affidataria  il rimborso spese. Inoltre nell’aprile 2001 è stato predisposta la realizzazione dei “Progetti autonomia” per giovani che si trovano ancora in affidamento familiare oltre il compimento della maggiore età, per i quali sia possibile avviare un percorso per il raggiungimento dell’autonomia personale, lavorativa ed abitativa. L’Amministrazione comunale partecipa a tali progetti con un contributo ‘una tantum’ di 5 mila Euro. Tali progetti devono essere prenotati al compimento del 18° anno, devono essere attivati al massimo entro il 21° anno e devono concludersi non oltre il compimento del 25° anno di età. Dall’attivazione della delibera ad oggi i progetti autonomia conclusi sono 22, 8 sono ancora in corso e quelli prenotati sono 21. Il 60% di essi riguarda l’autonomia abitativa e lavorativa, mentre il 40% si riferisce alla realizzazione di un progetto formativo universitario o di specializzazione.

  • Alla luce delle criticità emerse

    nelle interviste è stato chiesto agli affidati di esprimere dei suggerimenti utili per migliorare l’operato degli attori dell’affido ed essi hanno espresso le seguenti considerazioni, indirizzate a: operatori, famiglia affidataria, famiglia d’origine e affidato. Suggerimenti per gli operatori socio sanitari: «Fare il proprio dovere come operatori»; «Tenere in considerazione prima di tutto il bambino in tutte le varie tappe dell’affidamento», «Non dare troppo possibilità ai genitori naturali ed intervenire tempestivamente, non tenere troppo i bambini in comunità e decidere in fretta!», «Non mandare un bambino prima in comunità, ma subito presso una famiglia affidataria, per avere attenzioni più individualizzate e non avere due traumi», «Secondo me dovrebbero (gli operatori n.d.r.) girare un po’ di più in casa e valutare se è necessario portare via subito i bambini dalle famiglie, perché delle volte basterebbe mettere una persona lì… perché questo togliere i bambini ai genitori fa peggio che altro!», «Non avere fretta nella scelta della famiglia affidataria per un bambino: occorre pensarci bene e valutare se la famiglia sia adatta per quel bambino», «Formazione per tutti i componenti della famiglia affidataria per prepararli all’affido ed alle sue criticità: maggiori informazioni alla famiglia affidataria sulla storia del bambino per poterlo aiutare di più e meglio». Suggerimenti per la famiglia affidataria: «Non attuare linee educative troppo severe ma trovare la linea educativa appropriata al caso. Essere affettivi, avere un rapporto di complicità tra affidato e famiglia affidataria», «Ciò che conta in definitiva per il minore è ricevere tanto amore, tanti baci, tanti abbracci… Prima cosa devi farlo ridere, scherzare, cantare, ballare… Devi fargli vedere che la vita non è un errore, come magari l’ha vista e vissuta e che le cosa che capitano si superano se le prendi allegramente con un sorriso!!». Suggerimenti per la famiglia d’origine: «Il figlio riesce ad elaborare le cose in modo più veloce e migliore e a farsi aiutare se i suoi genitori hanno compreso di aver bisogno di essere aiutati, perché il bambino percepisce intorno a sé un clima tranquillo e disponibile». Ed infine un suggerimento per gli affidati: «Non compiangersi tanto, cercare di tirarsi su, avere voglia di tirarsi su e non guardare troppo indietro… se uno riesce a ragionare così, va avanti meglio!».

Queste osservazioni possono offrire molto materiale di riflessione: è raro infatti avere a disposizione le opinioni ed i pareri dalla viva voce dei protagonisti, materiale prezioso per ripensare una progettazione condivisa dell’affidamento familiare.

In sintesi

Alla luce di questa ricerca e confortati dalle parole degli intervistati, si può dire che gli affidamenti a lungo termine sono possibili e possono dare anche ottimi risultati, a patto che vi siano alcune condizioni fondamentali: sono infatti necessari degli operatori presenti e vigilanti, un progetto di affido realistico, monitorato nel tempo e delle risorse  economiche a sostegno degli affidamenti, soprattutto quelli dei ragazzi che si avviano verso la maggiore età e verso l’autonomia personale e professionale.

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