torna all’indice del Bollettino 1-2 2014

RUBRICA SCUOLA 

Negli ultimi mesi si sono succeduti nelle varie località molti seminari in riferimento alle tematiche dei BES. Avremo modo di riferire ciò che è emerso dagli incontri ai quali abbiamo partecipato come ANFAA.

Intanto presentiamo le considerazioni legate all’esperienza diretta sul tema da parte di Emanuela.

 

“Sono mamma di una bambina di 12 anni con sostegno e a seguito della partecipazione al convegno “BES e dintorni” ho pensato di raccontare la mia esperienza.

In tutto il periodo delle scuole elementari io non ho mai visto il PEI (Piano Educativo Indivi­dualizzato) di mia figlia, ma sapevo esattamente quali strategie e strumenti venivano applicati per lei, non c’era bisogno di un foglio, c’era una continua collaborazione tra insegnanti, famiglia e nel nostro caso anche con la volontaria che segue Julia nei compiti. Quando necessario l’insegnante di sostegno organizzava degli incontri con me e la volontaria per darci indicazioni su come svolgere i compiti a casa. Questa sì che era vera collaborazione.

Ora alle medie, ho visto, letto e sottoscritto il PEI di mia figlia, ma mi sento più scollegata dalla scuola: pur essendoci un buon dialogo con l’insegnante di sostegno, manca il dialogo con gli insegnanti curricolari: io non so cosa fa Julia in classe al di fuori delle ore di sostegno, se non quel poco che dice lei.

Alle elementari Julia passava la maggior parte del tempo in classe, adesso in prima media mi sono trovata a prendere una decisione tra due proposte:

1) rimanere in classe il più possibile con 8 ore di sostegno alla settimana, che non sono sufficienti per lei, ma privilegiando l’integrazione nella classe; anche se gli insegnanti curricolari non sembrano disponibili a modificare le loro lezioni per i bisogni di Julia;

2) uscire dalla classe nelle ore di sostegno aggregandola ad altri 2 ragazzini di altre classi, portando le ore di sostegno a 16, ma mettendo a rischio la sua integrazione nel gruppo classe.

Sono stata in dubbio su quale opzione scegliere, ma, data la situazione, alla fine ho scelto che avesse più ore di sostegno e questo comporta che ha 16 ore di sostegno che passa fuori dalla classe e le restanti 14 in classe, per lo più nelle materie dove c‘è più attività pratica (motoria, arte, musica, tecnologia). Ancora oggi non sono sicura di aver fatto la scelta giusta, avrei dovuto pretendere che gli insegnanti curricolari la tenessero in classe modificando il loro sistema di insegnamento? Con quali basi un genitore può andare a dire ad un insegnante che è lui che deve cambiare la didattica per adeguarsi al figlio? Avrei fatto il bene di mia figlia a lasciarla in classe e lottare per la personalizzazione, creando una situazione conflittuale tra me e gli insegnanti?

Naturalmente non dico che tutti sarebbero stati contro, ma certamente so che avrei dovuto fare una battaglia con alcuni insegnanti, che fin da subito cercavano di liberarsi del “problema”.

Ecco che per noi genitori le belle proposte di integrazione, di personalizzazione si scontrano con la realtà dei fatti e chi le vive sulle sue spalle sono i bambini. Non sempre è possibile scegliere cosa, in teoria sarebbe meglio purtroppo”.

 

 

Di seguito gli appunti della psicologa Cristina Dessì – che opera nella sezione di Novara e Piemonte orientale – con particolare riferimento ad alcune problematiche scolastiche ed ai possibili interventi:

 

Appunti sulle difficoltà scolastiche e l’intervento educativo a scuola

Gli insegnanti, a volte, con i bambini adottati o affidati si vedono tolto uno strumento educativo: cioè il sistema basato su premi e punizioni (es.: “bambini dopo vi faccio fare un intervallo più lungo se..” oppure “avrete più compiti se..”) poiché con loro non funziona.

Infatti i bambini vengono spesso catturati dall’opzione negativa, colgono tali affermazioni come una sfida per fare l’opposto di ciò che gli viene chiesto.

Soluzione:

  • dare due opzioni positive,una più bella e una meno bella e soprattutto due opzioni tutte e due funzionali. Non bisogna dare al bambino la possibilità di pensare in negativo (l’identità negativa è dietro l’angolo, hanno già un’immagine svalutata di loro stessi);
  • le insegnanti dovrebbero trovare metodi che instaurino una regolarità (ciò è rassicurante) perché spesso questi bambini sono cresciuti, prima di essere accolti, con persone inaffidabili e incoe­renti;
  • per intervenire bisogna innanzitutto prestare attenzione ai comportamenti del bambino, capire quali sono i suoi interessi, le attività in cui meno si trova a proprio agio o che meno ama svolgere;
  • è importante che genitori, operatori psicosociali, insegnanti, educatori ed eventuali specialisti collaborino insieme in un progetto comune.

Insegnanti e genitori non devono

far provare al bambino vergogna, mortificarlo o farlo sentire cattivo:

  • spesso i bambini hanno difficoltà di attaccamento e nel nuovo contesto familiare portano un’immagine di sé svalutante (pensano di non essere degni di amore) e avvertono “l’altro” come un pericolo;
  • sono bambini continuamente sotto stress, allertati (in quanto a volte nel vecchio contesto questo era indispensabile per la loro stessa sopravvivenza), cercano di contare solo su sé stessi. Portano nel nuovo contesto le strategie che hanno permesso loro di sopravvivere in passato (che in contesti adeguati è disfunzionale). Per tali ragioni, a volte, il bambino si comporta bene fino a che non si sviluppa l’attaccamento verso i nuovi genitori.

Attività che “disorientano”…

Per i bambini adottati o affidati vanno programmate attività che si ripetono con regolarità e continuità; infatti anche alcuni periodi di cambiamento che avvengono normalmente a scuola (es. cambio di insegnanti) possono essere vissute con grande sofferenza o disorientamento.

Vi sono situazioni specifiche che generano ansia e richiedono l’intervento dell’adulto di riferimento (genitori, insegnanti ecc..):

  • cambiamento di programma (genera ansia nei bambini perché troppo spesso gli adulti che avevano accanto a loro erano incoerenti); cambio di insegnanti;
  • inizio del nuovo anno (il passaggio dalla scuola materna alla primaria o l’inizio delle scuole medie);
  • momenti dove non sono presenti specifiche attività da fare, o attività strutturate (come l’intervallo);
  • gite scolastiche;
  • malattia, stanchezza, fame (i bambini danno il peggio di sé in queste situazioni perché non sono mai stati confortati in situazioni precedenti la fame inoltre provoca grande attivazione);
  • argomenti specifici, come la famiglia (bisogna trovare dei modi adeguati per spiegare al bambino la sua storia);
  • alcune feste(es. la festa della mamma; chi in precedenza ha avuto una mamma che ad esempio lo picchiava non riuscirà con tranquillità a festeggiarla nonostante la mamma adottiva lo tratti bene. Avrà, in alcuni casi, un’avversità verso quella specifica figura; bisogna trovare un giusto percorso da fare con il bambino).

Come intervenire sulla disregolazione emotiva

Occorre:

  • conoscere il bambino;
  • riconoscere quando inizia a provare ansia (per intervenire prima che essa arrivi a certi livelli, infatti importante è cogliere alcuni segnali);
  • svolgere attività che lo portino a diminuire l’ansia per poi condurlo all’autoregolazione.

Come intervenire ottenendo un’adeguata “autoregolazione” nel bambino:

  • occorre fargli comprendere che è al sicuro e che le persone a lui vicino si occuperanno dei suoi bisogni, necessità. È necessario comunque essere in alcuni casi autorevoli per fargli capire le sue necessità (ad es: “adesso vedo che hai bisogno di fare una pausa”);
  • si suggerisce al piccolo come deve comportarsi per aiutarlo a capire i suoi sentimenti, emozioni e funzionamenti fisiologici (spesso dei bambini nel contesto precedente si facevano male e non prestavano attenzione a ferite ecc.. perché nessuno aveva detto loro di farlo e nessuno si preoccupava per lui e lo medicava);
  • è fondamentale insegnargli che lui è importante e deve tenere a se stesso.

Come intervenire per far calmare il bambino?

Vi sono varie attività utili a questo; ad esempio, esiste un gioco chiamato la “scatola della calma” (da “Feriti dentro” di Louise Michelle Bombèr). L’adulto (il genitore o l’insegnante) quando vede che il bambino si sta per agitare o arrabbiare (coglie quindi tali segnali), invita il bambino a pescare un bigliettino da una scatola contenente varie attività “calmanti” ma anche divertenti.

Esempi bigliettini da inserire nella scatola:

  • fai stretching come un gatto;
  • ascolta una canzone (messa dal genitore o insegnante);
  • ordina i blocchetti di legno sulla base del colore (le attività ripetitive calmano moltissimo i bimbi);
  • immagina un luogo rilassante e bello;
  • schiaccia forte una pallina morbida (pallina antistress);
  • fai un vermicello verde col didò.

Importante: se si stabiliscono delle regolarità bisogna mantenerle perché l’attività rituale e la prevedibilità calmano il bambino (è una necessità per chi è cresciuto in contesti poco prevedibili). Anche se con il tempo bisogna insegnargli ad essere più flessibile.

 

Dobbiamo aiutare i bambini a cambiare rappresentazione di se stessi, degli altri e del mondo che li circonda.