Comunicato stampa dell’Anfaa su neonato ritrovato a Bologna
I mezzi di informazione hanno riferito nei giorni scorsi di un neonato ritrovato, fortunatamente ancora vivo, nel cassonetto delle immondizie a Bologna. Tutti noi ci siamo giustamente indignati e preoccupati per questo fatto.
Dobbiamo ora però anche chiederci: quella partoriente disperata potevano essere aiutata? Sapeva di poter mettere al mondo il piccolo in ospedale usufruendo della dovuta assistenza sanitaria e in assoluto segreto?
Su quali sostegni dopo il parto avrebbe potuto contare?
Come mai ancora una volta, i mezzi di informazione oltre a stigmatizzare severamente e giustamente l’accaduto non hanno ricordato la possibilità che ogni donna ha – ivi comprese quelle sposate e le extracomunitarie senza permesso di soggiorno – di partorire in ospedale con la garanzia dell’assoluto anonimato?
Voglio ricordare, infatti, che le donne che non intendono riconoscere il proprio nato hanno diritto di partorire in assoluta segretezza negli Ospedali e nelle altre strutture sanitarie e di essere, quindi, seguite dal punto di vista medico-infermieristico come tutte le altre partorienti assicurando, anche al neonato, le cure di cui necessita.
Nel caso in cui non sia stato effettuato il riconoscimento, l’atto di nascita del bambino è redatto con la dizione “nato da donna che non consente di essere nominata” e l’ufficiale di stato civile, dopo aver attribuito un nome e un cognome, procede entro dieci giorni alla segnalazione al Tribunale per i Minorenni ai fini della dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge 184/1983.
In tal modo a pochi giorni dalla nascita, il piccolo viene inserito in una famiglia adottiva, scelta dal Tribunale fra quelle che hanno presentato domanda di adozione al Tribunale stesso: sono circa 500 all’anno i neonati non riconosciuti che, grazie a queste disposizioni, vengono adottati.
Di fronte a casi drammatici, quali quello avvenuto nei giorni scorsi a Bologna, spesso vengono proposte iniziative quali quelle delle culle/ruote termiche presso ospedali: iniziative come queste non solo sono totalmente inefficaci a realizzare l’obiettivo che i suoi promotori si prefiggono (nessun neonato è stato fino ad ora deposto, subito dopo il parto nelle culle-ruota già attive), ma rischiano di incentivare i parti “fai da te” in ambienti inidonei privi della più elementare assistenza sanitaria con gravi pericoli per la salute e la sopravvivenza stessa della donna e del neonato, oltre a deresponsabilizzare le istituzioni nei confronti dei loro obblighi.
Oltre alla garanzia del diritto al parto in segreto, infatti, la legge 2838/1928, richiamata dalla legge sulla riforma dell’assistenza n.328/2000, obbliga le Province – a meno che la legislazione regionale abbia attribuito detti compiti ad altri organismi – ad assistere gratuitamente non solo le gestanti in condizioni di disagio personale, sociale ed economico, comprese quelle che vivono clandestinamente nel nostro paese, ma anche i loro nati riconosciuti o non riconosciuti.
Occorre quindi che le istituzioni, in ottemperanza della normativa vigente, garantiscano il sostegno di personale preparato (psicologo, assistenti sociali, educatori, ecc,) che aiuti la gestante prima, durante e dopo il parto, la accompagni a decidere responsabilmente se riconoscere o meno il bambino e la sostenga fino a quando è in grado di provvedere autonomamente a se stessa e, se ha riconosciuto il bambino, al proprio figlio. La donna in difficoltà ha diritto a non essere lasciata sola né prima, né durante, né dopo il parto. Spesso l’intervento assistenziale di supporto è necessario anche per le gestanti e madri coniugate con situazioni personali e familiari difficili.
La Regione Piemonte, anche dietro forte sollecitazione da parte del Coordinamento Sanità-assistenza di Torino (coordinamento di cui fa parte l’Anfaa) ha trasferito dalle otto Province piemontesi a quattro istituzioni (Comuni di Torino e di Novara, Consorzi dei servizi socio assistenziali dell’alessandrino e del cuneese) le funzioni relative alle gestanti e alle madri (comprese quelle prive del permesso di soggiorno), nonché ai minori con legge n.16/2006, perfezionata con le disposizioni contenute nella delibera 22-4914 del 18 dicembre 2006.
Mi auguro che La Stampa voglia dare ampia diffusione a queste informazioni .
Grata per la pubblicazione della presente, sono a disposizione per ogni ulteriore chiarimento o approfondimento.Con l’occasione unisco anche una breve scheda giuridica
Con i migliori saluti
Donata Nova Micucci
Presidente Anfaa
Torino, 20 gennaio 2013
I DIRITTI DELLE GESTANTI E DEI LORO NATI
Nota giuridica
In base alla normativa vigente in Italia:
- la donna ha il diritto di riconoscere o meno il neonato come figlio, diritto che vale non solo per la donna che ha un bambino fuori dal matrimonio ma, ai sensi della sentenza n.171 del 5 maggio 1994 della Corte costituzionale, anche per la donna coniugata ;
- il diritto alla segretezza del parto è garantito dai servizi sanitari e sociali coinvolti. Nei casi in cui il neonato non venga riconosciuto, nel suo atto di nascita (che deve essere redatto entro dieci giorni dal parto) risulta scritto: «Figlio di donna che non consente di essere nominata». L’ufficiale di stato civile attribuisce al neonato un nome ed un cognome, procede alla formazione dell’atto di nascita e alla segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni per la dichiarazione dello stato di adottabilità.
Con la pronuncia dell’adozione il minore (dopo un anno di affidamento preadottivo) assume il cognome degli adottanti di cui diventa figlio legittimo e cessano «i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvo i divieti matrimoniali» (articolo 27, comma 3 della legge 184/1983);
- il Tribunale per i minorenni può inoltre (v. articolo 11 della legge 184/1983) disporre la sospensione dello stato di adottabilità per un periodo massimo di due mesi, su richiesta di chi afferma di essere uno dei genitori biologici «sempre che nel frattempo il bambino sia assistito dal soggetto di cui sopra o dai suoi parenti fino al quarto grado permanendo comunque un rapporto con il genitore naturale». Se il neonato non può essere riconosciuto perché il o i genitori hanno meno di 16 anni, l’adottabilità può essere rinviata anche d’ufficio dal Tribunale per i minorenni fino al compimento dei sedici anni di almeno uno dei genitori; un’ulteriore sospensione di due mesi può essere concessa al compimento del 16° anno di età dallo stesso Tribunale per i minorenni.
Le competenze istituzionali
– La legge 6 dicembre 1928 n. 2838 stabilisce che le Amministrazioni provinciali devono assistere i fanciulli esposti, i figli di ignoti ed i bambini nati fuori dal matrimonio riconosciuti dalla madre e in condizione di disagio socio-economico. È altresì previsto che «nelle Province, nelle quali lo consiglino le condizioni locali, l’assistenza del fanciullo deve, ove sia possibile, avere inizio all’epoca della gestazione della madre».
– Ai sensi del 5° comma dell’articolo 8 della legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” alle Regioni è stato attribuito il compito di disciplinare il trasferimento ai Comuni o ad altri enti locali delle funzioni di cui alla legge 6 dicembre 1928 n. 2838 concernente le prestazioni obbligatorie relative alle gestanti e madri, ai nati fuori dal matrimonio, ai bambini non riconosciuti, nonché ai ciechi e sordi poveri rieducabili (così definiti dal regio decreto 383/1934). Con la legge di cui sopra le Regioni devono, inoltre, definire il passaggio ai Comuni o ad altri enti locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali occorrenti per l’esercizio delle succitate funzioni.
– Ai sensi dell’articolo 93 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali” il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica in cui siano contenuti dati personali che rendono identificabile la donna che non ha riconosciuto il proprio nato, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi ha interesse in conformità della legge, solamente dopo che siano decorsi cento anni dalla formazione del documento.
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Di seguito riportiamo un articolo di Luigi Fadiga, Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Emilia-Romagna, apparso su “La Repubblica” del 23-1-2013 in relazione al fatto di cui al comunicato stampa precedente.
TUTTO QUELLO CHE CI INSEGNA IL PIANTO DI QUELLA PICCOLA
HA RAGIONE, Marilisa Martelli, quando ci parla della “piccola bimba forte” e ci invita a leggere e a interpretare quel pianto e quelle storie di dolore e di sofferenza, così vicine a noi eppure così lontane. E ha ragione quando ci ricorda che solo col pianto un neonato riesce a farsi sentire, che più forte è il pianto più facile è per lui salvarsi, e che dobbiamo tutti – cittadini e istituzioni – acuire i nostri sensori per dare aiuto a chi non sa o non può chiederlo esplicitamente, e prima che la tragedia avvenga. MA ALTRE cose forse ci dice il pianto di quella bambina. Prima di tutto, con quel pianto lei ci chiede che la sua vicenda umana non sia più del necessario spettacolarizzata o strumentalizzata. Anche un neonato, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo, ha diritto al rispetto della vita privata e della privacy. E se certamente è legittimo e doveroso riportare la notizia, perché tutti sappiano quali drammi accadono tra noi e perché ci sentiamo stimolati a prevenirli, non lo è altrettanto dare particolari superflui che rischiano di farle danno, come dirne il nome o peggio rivelare il luogo in cui è ospitata e curata. Poi, quel pianto ci prega di non scatenare la caccia alla madre. Le sue ricerche spettano alla polizia e la valutazione del suo gesto alla magistratura. Una condanna a priori sulla spinta emotiva non spetta a noi, che non sappiamo le ragioni del suo gesto e neanche possiamo immaginare il dramma che ha vissuto. Mentre una cosa è certa: quel piccolo margine di ripensamento che la donna poteva o potrebbe avere, rischia di essere soffocato dalla paura delle minacciate sanzioni. Ancora ci dice, quel pianto, che la bimba ha diritto a crescere in una famiglia: la cui scelta spetta alla magistratura minorile, come previsto da un’ ottima legge che permette di farlo in tempi molto rapidi, dato l’ alto numero di aspiranti genitori da tempo in attesa. E infine ci dice che non sarà la tecnologia a risolvere o ridurre simili drammi in futuro, ma solo una costante, capillare, chiara, multilingue informazione che la gestante anche straniera, anche non residente, anche senza permesso di soggiorno, anche clandestina, ha diritto di partorire in pieno anonimato in ospedale, e ha prima ancora diritto di conoscere i suoi diritti, fra cui quello di essere aiutata a decidere liberamente e consapevolmente se riconoscere il bambino come figlio; quello di ricevere supporto socio assistenziale per accudirlo ed allevarlo; quello di permettergli invece di essere rapidamente affidato per adozione a una valida famiglia scelta dal giudice con le procedure di legge.
LUIGI FADIGA