torna all’indice del Bollettino 2 2013

Gli aspetti fondanti del rapporto adottivo 

Convegno 12 dicembre 2012 

La voce dei protagonisti: figli e genitori si raccontano
Roma, Sala della Mercede (Camera dei deputati) Via della Mercede 55  

La salvaguardia del diritto alla segretezza del parto e il sostegno alle gestanti e madri in gravi difficoltà

relazione tenuta da Marisa Persiani, Psicologa e Psicoterapeuta, Responsabile dell’Uffi­cio Piani­fi­cazione Territoriale e Sistema Informativo della Provincia di Roma, Giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Roma (*)

Quale nesso c’è tra adozione, salvaguardia del diritto alla segretezza del parto e sostegno alle gestanti e madri in difficoltà?

Il nesso è dato dall’ evidenza che la struttura fisica e psichica di un bambino si costruiscono a partire dalla gravidanza, inoltre la condizione della nascita rappresenta una variabile che può segnare in modo determinante l’esistenza di un individuo sia nel significato che nella direzione che andrà ad assumere.

E’ ormai scientificamente provato, rimando agli studi del neurofisiologo Mauro Mancia (“Sull’inizio di una vita mentale nel feto”1982) che nel feto le funzioni sensoriali si sviluppano a partire dal 5°, 6° mese di gravidanza , la costanza e la ritmicità sono le caratteristiche dell’interazione senso- motoria materno-fetale. “Per tutta la durata della gravidanza questo insieme di funzioni dominerà la relazione materno fetale e permetterà alla madre di trasmettere al feto non solo gli elementi del proprio stato biologico, ma anche quelli attinenti alla sfera emotiva e mentale.

Ciò vuol dire che una gestante che si trova a vivere una gravidanza incompatibile con la propria condizione psichica o con quella storico-esistenziale, la vivrà in condizioni di grave conflitto e ambivalenza, sperimenterà sentimenti di paura, disorientamento, rifiuto, colpa, tali da poter indurre sentimenti di angoscia fino a scelte difensive non ponderate.

I sentimenti della donna circa il bambino che metterà al mondo non sono neutri, essi produrranno su di lui effetti significativi.

Il feto, come rilevato da A. Meneghetti, nel bene e nel male, subisce tutte le alterazioni delle variazioni endotimiche della madre di cui è colonia organica e, in quanto tale, luogo naturale degli effetti psicosomatici; egli reagisce nel corpo della madre esattamente come un suo organo, conseguentemente, come un qualsiasi organo può ammalarsi per l’infiltrazione di emozioni negative: questo è il modo in cui si determina la lesione all’integrità del futuro bambino e costituisce una chiave di lettura delle frequenti patologie riscontrate alla nascita in bambini dichiarati in stato di adattabilità.

Queste considerazioni appaiono di tale portata da richiamare la responsabilità pubblica su ciascun nascituro che deve essere riconosciuto non solo per il valore di persona che porta in sé come progetto potenziale di vita, ma anche come bene sociale su cui l’intera società, di cui è cellula, ha appunto responsabilità.

La tutela di ciascun nascituro, indipendentemente dal mezzo con cui giunge alla vita, dal modo in cui nasce o dalla pancia che lo ha contenuto, deve essere garantita già dalle prime fasi della gravidanza. Ci sono leggi che già lo consentono, alle quali auspichiamo possa aggiungersi la recente proposta di legge (già approvata dalla Commissione Affari Sociali della Camera) che intende garantire, in ambito nazionale, uniformità di interventi e prestazioni socio- assistenziali rivolte alle gestanti e alle madri che si trovano in condizioni di difficoltà, qualsiasi sia la loro condizione, appartenenza etnica e residenza. Ciò che appare indispensabile è la mediazione di operatori “esatti”, specializzati che, con atteggiamento rispettoso, professionale e laico, le sostengano nell’assumere la decisone di riconoscere o non riconoscere il bambino generato, valutandone la compatibilità con la condizione di vita di quel momento della loro esistenza e ricevendo tutte le informazioni sulle misure di sostegno cui possono accedere, nel rispetto dei bisogni di ciascuno in quanto persona e a garanzia del benessere di entrambi.

Purtroppo intorno alla maternità si intrecciano ancora stereotipi e tabù che connotano il “non riconoscimento”del nato come “abbandono”, e il bambino “non riconosciuto” come “abbandonato”; questi termini non sono neutri, tutt’altro veicolano un radicato giudizio di condanna morale e sociale della donna che non riconosce perché non si omologa allo stereotipo della “sacralità” della maternità.

E’ da questa visione di condanna e di colpa di un atto ritenuto “contro natura” che originano le varie ipotesi di istituire culle più o meno differenziate per la “raccolta dei bambini non riconosciuti”, tali prospettive rappresentano la forma meno rispettosa della persona e della vita, perché presuppongono la vergogna e la colpa, tanto da relegare nel segreto e nella solitudine con la sola mediazione di una macchina, il momento così denso di valore e significato dell’affidare il bambino messo al mondo ad una forma di protezione sicura.

Non si comprende infatti perchè tale circostanza, per la rilevanza del significato che assume e assumerà per quella donna e per quel bambino non possa essere mediata da un umano, non possa essere accompagnata da uno sguardo e da parole rassicuranti per quella donna e da una carezza protettiva per quel bambino. Dobbiamo ricordare, come sottolinea Cyrulnik, che un trauma per essere tale ha bisogno di due colpi, l’uno è il fatto reale che provoca la ferita , l’altro è dato dalla rappresentazione mentale dell’evento e dal significato socialmente attribuito a quel fatto. Il fatto in sé è un fatto, il suo valore è determinato dalla codifica sociale che assume. Forse dobbiamo chiederci se non sono questi i semi che andranno a generare l’angosciosa ricerca delle origini di cui alcuni figli adottivi sono portatori.

Generare è un fatto biologico che si può determinare anche in modo indipendente dalla volontà, essere genitore, invece, implica una specifica intenzionalità che si precisa anche attraverso la decisone volontaria di riconoscere come figlio il bambino generato, atto che anche giuridicamente è distinto dalla denuncia di nascita.

Per la mia esperienza posso testimoniare che spesso è proprio il riconoscimento di quel bambino come persona che ha diritto a crescere in modo adeguato ai suoi bisogni, cui la donna che lo ha messo al mondo non è in grado di rispondere, a determinare la scelta di non riconoscerlo, sempre difficile sofferta, dunque paradossalmente è proprio dal riconoscimento dell’altro che origina il non riconoscimento e allora forse dovremmo iniziare ad usare termini più consoni parlando di “dono” e non di “abbandono”, perché quella donna ha scelto di donare quel bambino alla vita, la prima grande madre che tutti ci pone. Prima di essere figli di qualcuno, infatti, tutti siamo figli della vita perché lei ci ha voluto e ad essa apparteniamo, la famiglia rappresenta il mezzo di mediazione storica con funzione di evolvere verso l’autodeterminazione.

Dunque se vogliamo occuparci di adozione e di sostegno alla vita perché si manifesti secondo il progetto che la natura vi ha posto, è necessario intervenire precocemente attraverso informazioni corrette e capillari sui diritti di chi genera e di chi nasce e sulle possibilità di ricevere adeguate forme di sostegno nel corso della gravidanza, del parto e in epoca neo-natale, promuovendo l’assunzione responsabile della funzione di genitore.

Da tali considerazioni è nato il “Piano provinciale per la tutela della nascita a rischio psico-sociale”, realizzato sette distretti socio sanitari del territorio provinciale sede di un centro nascita ospedaliero e, per la città di Roma in via sperimentale, nella ASL RM D.

 

 

(*) Nei numeri precedenti del Bollettino d’informazione abbiamo pubblicato l’intervento introduttivo della attuale Presidente Donata Nova Micucci, una nota inviata al Convegno da Francesco Santanera e le relazioni a cura di Iliana Totaro e di un gruppo di figli adottivi su: “ Gli aspetti fondanti del rapporto adottivo: la voce dei protagonisti: figli e genitori si raccontano”, e l’intervento di Andrea Riccardi, allora Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione nonché Presidente della Commissione adozioni internazionali, e le considerazioni inviate da Francesco Santanera, fondatore dell’Anfaa.