NON LASCIAMO SOLE LE PARTORIENTI E I GENITORI IN DIFFICOLTA’ E PREVENIAMO GLI ABBANDONI E GLI INFANTICIDI

Vorremmo fare alcune considerazioni sul delicato tema del ritrovamento di neonati che vengono abbandonati, come di recente accaduto a Verona, e avanzare specifiche richieste ai mezzi di informazione rispetto alla modalità con cui questi drammatici episodi vengono riportati.

Quando avvengono questi ritrovamenti di neonati fortunatamente vivi, oppure, talvolta, purtroppo  senza vita, gettati nei cassonetti o nei bagni pubblici, si solleva nell’opinione pubblica un’ondata di indignazione e di condanna; pochi, però, si interrogano sui motivi che hanno determinato la condotta degli autori di questo atto; pochi pensano alla solitudine in cui le  partorienti vengono lasciate in momenti così drammatici della loro vita e al dolore che può accompagnare questo loro gesto così disperato. .

I mezzi di informazione stigmatizzano severamente l’accaduto, ma tralasciano spesso di  ricordare che le partorienti – comprese le donne extracomunitarie senza permesso di soggiorno – che non intendono riconoscere e provvedere personalmente al proprio nato, hanno diritto a partorire in assoluta segretezza negli ospedali e nelle strutture sanitarie, garantendo, in tal modo, a se stesse e al neonato, la necessaria assistenza e le opportune cure: in questi casi l’atto di nascita è redatto con la dizione “nato da donna che non consente di essere nominata” e l’ufficiale di stato civile, dopo aver attribuito un nome e un cognome, procede entro dieci giorni alla segnalazione al Tribunale per i Minorenni ai fini della dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge 184/1983. In tal modo, a pochi  giorni dalla nascita, il piccolo viene inserito in una famiglia adottiva, individuata dal Tribunale fra quelle che hanno presentato domanda di adozione al Tribunale stesso. Sono stati 243  nel 2018 ( ultimo dato disponibile) i neonati non riconosciuti che, grazie a queste disposizioni sono venuti alla luce in luoghi sicuri e , sono stati  prontamente adottati.

Troppe poche volte vengono richiamate le autorità competenti ai loro precisi compiti istituzionali per garantire alle donne in gravi difficoltà la dovuta assistenza prima, durante e dopo il parto: sempre più frequentemente, purtroppo, di  fronte a questi episodi, vengono attivate iniziative quali le culle/ruote termiche, che oltre a deresponsabilizzare le istituzioni,  rischiano di incentivare i parti in ambienti inidonei, privi della più elementare assistenza sanitaria, con gravi pericoli per la salute e la sopravvivenza della donna e del neonato.

Come già evidenziato nell’ l’8° Rapporto CRC[1], presentato nel giugno 2015 “nell’intenzione dei loro promotori, le culle dovrebbero contrastare l’abbandono dei neonati, tuttavia non solo si sono rivelate inefficaci a realizzare tale obiettivo[2], ma rischiano di incentivare i parti in ambienti privi della più elementare assistenza sanitaria, con gravi pericoli per la salite e la vita stessa della donna e del neonato”. Infatti, come è ovvio, le donne in condizione di grave disagio personale e socio-economico non hanno alcuna possibilità di sopportare le spese che comportano i parti a domicilio effettuati con le necessarie garanzie sanitarie per la donna e il neonato: presenza costante di una ostetrica durante tutta la durata del travaglio e nella giornata successiva al parto, possibilità di ricorso all’intervento immediato di un ginecologo e di un neonatologo in caso di complicazioni impreviste, ecc. Inoltre le culle, a differenza dei parti in ospedale, non offrono la possibilità di raccogliere i dati sanitari della partoriente, relativi ad esempio a possibili malattie geneticamente trasmettibili o altro, la cui conoscenza potrebbe rivelarsi utile, in futuro, per il loro nato.

A proposito delle competenze istituzionali in materia, va segnalato che la Legge 328/2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” all’art. 8, comma 5, ha attribuito alle Regioni il compito di disciplinare il trasferimento ai Comuni o ad altri Enti Locali delle funzioni di cui al Regio Decreto citato. Alle Regioni compete, quindi, di definire il passaggio ai Comuni o ad altri Enti Locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali occorrenti per l’esercizio delle funzioni suddette.

A tutt’oggi ci sono Regioni che non hanno ancora legiferato in materia ed altre (come Lombardia ed Emilia-Romagna) che lo hanno fatto, attribuendo però indiscriminatamente a tutti i Comuni tali competenze, non tenendo conto della complessità e varietà delle problematiche coinvolte. Spesso le partorienti a causa delle loro difficile condizione, necessitano di interventi specifici, altamente specializzati, che i piccoli Comuni non sono in grado di garantire. Inoltre, accanto a gestanti che hanno deciso di riconoscere il loro nato e prendersene cura, potendo contare sul supporto dei servizi socio-assistenziali del proprio territorio e degli interventi sopra richiamati, ci sono anche donne incerte, che  al momento del parto non hanno ancora preso la decisione di riconoscere il figlio o meno, e altre ancora che hanno già deciso di non riconoscerlo, avvalendosi del diritto alla segretezza del parto. Infine ci sono donne che non sono a conoscenza del loro diritto di partorire in anonimato e, dunque, non accedono ai servizi preposti.

Vogliamo esprimere inoltre una considerazione in merito all’abbandono  avvenuto nei giorni scorsi a Verona, di un neonato di quattro mesi: questa drammatica circostanza   denota  la profonda solitudine in cui  i genitori evidentemente in gravi difficoltà,  sono stati lasciati dalle istituzioni e da tutta la comunità

Ribadiamo la urgente necessità che le Istituzioni preposte assumano i necessari provvedimenti per garantire alle gestanti  in difficoltà, il sostegno attraverso personale adeguatamente preparato (psicologo, assistenti sociali, educatori, ecc,) che le aiuti prima, durante e dopo il parto, le accompagni a decidere responsabilmente se riconoscere o meno il proprio nato e le sostenga fino a quando sono in grado di provvedere autonomamente a se stesse e, se hanno riconosciuto il neonato, al proprio figlio.

Analoghi aiuti e sostegni vanno garantiti a tutti i neo-genitori in difficoltà  soprattutto nei primi mesi di vita del loro neonato

Infine, sollecitiamo i giornalisti che riportano queste tristi vicende sui media, ad astenersi dall’esprimere facili giudizi di condanna sulle partorienti che arrivano a compiere questi drammatici gesti: sono donne lasciate sole dai loro familiari e dalla comunità. Chi per mestiere si occupa di “fare informazione” dovrebbe, invece, fornire precise indicazioni sul diritto riconosciuto a tutte le donne di partorire in anonimato, evidenziando che, per una donna, avvalersi di questo diritto non significa “abbandonare” il proprio nato, bensì  rappresenta una scelta estremamente difficile, che deve essere rispettata e che denota un grande senso di responsabilità e di rispetto  verso la vita nascente.

Torino, 19.10.2020  La Presidente Anfaa Donata Nova Micucci

[1] CRC è l’acronimo di Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rights of the Child)  [2] Finora sono stati pochissimi i neonati depositati

Qui il testo in pdf Lettera aperta su neonati ritrovati