La storia dell’affidamento e Anfaa
“Fin dalle origini della lingua italiana “affidare” è stato uno dei verbi più carichi di significato dal punto di vista affettivo e, quando non si raffredda entrando nell’uso burocratico, indica una delle più antiche ed emotivamente ricche esperienze umane, quella di chi, non potendo, per un tempo determinato o per sempre, provvedere a ciò che gli è caro, lo consegna alla cura, alla custodia, alle capacità di persone di fiducia.”
(Fulvio Scaparro – psicoterapeuta)
Le origini storiche dell’affidamento familiare: il baliatico ed il collocamento
Gli affidamenti alle balie
Il decreto luogotenenziale del 4 agosto 1918 n. 1395 definiva i criteri per l’esercizio del baliatico. Attraverso il baliatico, un ente o una persona privata collocava il minore per motivi di “nutrizione” presso una balia.
Per ottenere l’autorizzazione da parte del Sindaco all’esercizio dell’attività di balia era necessario dimostrare di aver tenuto una buona condotta e di non aver contratto la sifilide. Una disposizione legislativa intervenuta successivamente ha ulteriormente elencato altre malattie, quali: la blenoragia, tubercolosi e altre malattie diffusive.
Non era, invece, prevista alcuna valutazione delle capacità affettive/educative della balia né vi erano prescrizioni sul numero massimo di minori che la stessa potesse accogliere.
Come si può evincere il concetto ispiratore di tale regolamentazione giuridica era unicamente la protezione del minore dalle malattie fisiche. Privi di considerazione restavano invece tutti gli altri legami, non riconducibili al mero sostentamento, che il minore instaurava con la balia. Ad esempio, il momento della separazione, non essendo disciplinato, poteva essere improvviso ed ingiustificato, ed anche protrarsi ben oltre il periodo dell’allattamento, divenendo persino un vero e proprio affidamento definitivo. Secondo un’indagine condotta a Torino nel 1971 dall’Anfaa era prassi di un importante ente pubblico di assistenza separare il minore al raggiungimento del quinto anno di età dalla balia al fine di prepararlo alla vita in internato all’interno di tale istituto.
Il collocamento
Il collocamento può essere definito, come “il baliatico per il bambino non da allattare”. Le sue origini storiche si possono rinvenire nella pratica di affidare bambini, ragazzi e adolescenti a famiglie artigiane o contadine perché imparassero un mestiere e, col lavoro, contribuissero al proprio mantenimento. Esattamente come per il baliatico, la ratio ispiratrice del collocamento non considerava le esigenze dei minori. Lo stesso termine “collocamento” rimanda allo “spirito di carità” del periodo, piuttosto che al riconoscimento che il minore è soggetto di diritti.
Successiva evoluzione storica
In relazione all’evoluzione storica ed ai diversi contesti sociali presenti nel nostro Paese sono state avviate, a partire dagli ’70, esperienze di affidamento familiare da parte degli Enti Assistenziali allora operanti (Onmi, Enaoli, Province …).
Questi affidamenti vennero classificati secondo le seguenti caratteristiche:
- la durata dell’affidamento: affidamenti definitivi e affidamenti a tempo determinato. I primi rappresentavano i casi in cui la famiglia affidataria intendeva tenere il bambino, esattamente come accade oggi per l’adozione. I secondi, la cui durata dipendeva dall’età del minore, duravano dai due mesi ad alcuni anni. Questi ultimi furono concepiti con lo scopo di aiutare i minori a guarire sia da una malattia emotiva (nevrosi, psicosi, infantilismo affettivo) sia fisica.
- l’età del minore: gli affidamenti familiari potevano riguardare bambini piccolissimi (fino ai tre anni), fanciulli (fino ai dieci anni), preadolescenti (fino a dodici – tredici anni), adolescenti (quattordici – diciasette anni), giovani (diciotto – ventuno anni).
- le caratteristiche della famiglia d’origine: in base all’esistenza o meno della stessa. Se la famiglia affidataria era assente, l’affidamento si doveva ritenere definitivo. Se invece la famiglia era presente, le relazioni con la medesima potevano essere interrotte o conservate.
- secondo le caratteristiche della famiglia affidataria: si riferivano alla struttura della famiglia, all’età dei coniugi, al numero dei figli, alla “tradizione di affidamento”.
- secondo il modo in cui aveva avuto origine l’affidamento: poteva essere spontaneo e non sponaneo. Per quanto riguarda l’affidamento spontaneo vi era il consenso della famiglia d’origine all’affidamento che ne promuoveva l’iniziativa. Nel caso invece dell’affidamento non spontaneo vi era un servizio che “sorvegliava” l’affidamento.
- secondo la natura del disturbo del minore
Ulteriori notizie sul tema sono reperibili nel testo di G. Andreis, F. Tonizzo, F. Santanera, “L’affidamento familiare“.
Scheda a cura dell’Anfaa